Meo Porcello compie gli anni e qui da noi si fa festa.
Quasi quasi chiamo gli amici e si suona alla grande, stasera.
Si va alla Casa della Cultura di Guanabacoa, si fa un misto di regetón, salsa e vecchio son stile Benny Moré, tanto per far vedere che siamo felici anche noi. Se non ci fosse Meo Porcello ci toccherebbe partire davvero per Bayamo e approfittare della Riforma Agraria 2 - La Vendetta, stile film horror di qualche tempo fa.
– Alejandro, ma quando arrivano i soldi dall’Italia? – chiede mio padre dalla cucina. Il vecchio aiuta mia madre a separare i fagioli buoni da quelli cattivi, non sa cosa fare, è disoccupato, non ci sono turisti da portare a spasso in questo periodo. Quando il vecchio è disoccupato rompe, dà una mano alla vecchia, non gli va mai bene niente, ogni tre per due viene da me e chiacchiera dei bei tempi andati, tipo quando c’era Fidel e la Russia ci dava tutto si stava bene, cose che io non lo so se sono vere, mica ero nato negli anni Sessanta, potrebbe pure raccontare balle. Ma io gli credo, povero vecchio, gli credo e l’ascolto. Mica voglio farlo sentire inutile con la sua laurea in medicina spesa a portare turisti in giro per L’Avana e a sperare che prima o poi lo inseriscano in qualche progetto venezuelano. Lui sa che è un periodo così, sa che passerà, che tutto si aggiusta, Raúl si dà parecchio da fare, sta cambiando Cuba, ci dà persino la terra, fa operare i froci, regala telefonini come se piovesse, tra poco saremo tutti contenti. Basta avere pazienza.
–Babbo, non è che in Italia regalano. Cinquecento chavitos sono già arrivati. Adesso bisogna vedere il libro come va, speriamo che venda. Il camaján dice che ne ha parlato un giornale importante, quello dove pubblicano pure Yoani Sánchez.
Il babbo torna a fare l’aiuto cuoco. Sa un cazzo lui chi è Yoani Sánchez, però finge d’aver capito. Tanto i soldi non ci sono e questa cosa l’ha sentita bene. Tutto il resto conta poco. Mamma mi guarda e scuote la testa come per dire non ci far caso, lo sai com’è, quando non sa che dire rompe. Lo so mamma, lo so com’è fatto, ormai lo conosco bene, però ha ragione pure lui, povero babbo. Tutto il giorno in casa con te, i fagioli da separare, il riso da scegliere e la televisione che spara le solite menate. Mica fa una bella vita.
– Senti che dicono in televisione! – esclama.
– Il vecchio ha tirato il calzino? – chiedo allarmato.
– Porta rispetto, Alejandro. Scherzi su tutto… – dice mia madre.
Pure questo lo so, ormai. Il vecchio va lasciato stare. Scherza coi fanti ma lascia in pace i santi. Il vecchio non si tocca.
– Chávez compie gli anni e per regalo Fidel e Raúl gli hanno spedito un quadro di Che Guevara – dice mio padre.
– E lui in cambio manda barili di petrolio? – ironizzo.
– Come sei venale! È un simbolo. Il quadro raffigura Che Guevara che emerge dalla terra, così come lo vede un pittore della provincia più occidentale di Cuba – dice mio padre.
– Non comprendo il significato.
– Il Che, simbolo della rivoluzione, esce dal sottosuolo. Vuol dire che vinceremo la nostra lotta solo tornando alla terra…
– Vuol dire che ci stiamo facendo il culo per niente, babbo.
– Con te non si può ragionare. Sei un materialista senza valori.
– Senza valori di sicuro. Non ho un peso. Pure tu non campi di sogni, però. Non mi hai chiesto quando arrivano i soldi italiani?
– Cosa c’entra! Questo è un altro discorso…
Mi soffermo davanti allo schermo televisivo. Cubavision trasmette il notiziario, famoso programma di fantascienza dove non ci sono problemi, come canta Carlos Varela tutti vogliono vivere nel telegiornale, perché là non manca niente e non serve denaro. Dicono che Fidel scrive ancora Riflessioni, guarda la televisione venezuelana e soprattutto il programma Alo presidente, dove Meo Porcello esibisce il suo faccione tondo, va in campo con le ragazze del softball e porta fortuna alla nazionale che vince contro Cuba.
Se non fossimo internazionalisti ci dovremmo rammaricare di aver perso, ma siccome siamo internazionalisti applaudiamo le giocatrici venezuelane e ci rallegriamo con il loro presidente, ha detto Fidel.
Ci giravano i coglioni al vecchio, me ne sono accorto dalle frasi stringate messe in bocca al giornalista coi baffi spioventi alla Pecos Bill. Peccato che Lui non c’era, in televisione. Lui non c’è mai, da un po’ di tempo a questa parte. Finirà che mi mancherà, come fa il babbo che parla di bei tempi e io mica me li ricordo quei tempi là, sarà che sono troppo giovane. So solo che mi sono laureato in letteratura spagnola e mi tocca pubblicare in italiano, so assai come mi traducono, guarda, capace mi traducono male e io mica lo so l’italiano. So solo che mi sono laureato in spagnolo e per campare guido un sidecar sovietico, turisti a caccia di fica e via andare.
– Regalami un quadro, papà! – esclamo improvvisamente.
– T’ha dato balta il melone, chico? – fa lui.
– No, papà. No davvero. Regalami un quadro che Meo Porcello è contento. Regalami un quadro che lo metto sui carri per carnevale. Regalami un quadro che ci dipingo una zattera. Regalami un quadro che c’ho le palle piene… – canticchio.
Potrei andare avanti tutta la sera sulle note di Regalame maní, a tempo di son, ma mi fermo. Pure con le cazzate ci vuole misura.
Mio padre mi guarda allibito, osserva mia madre e scuote la testa.
– Che figlio strano che hai fatto, Maria – dice.
– Tutto suo padre – risponde la vecchia.
E io continuo a canticchiare, per non abbandonarmi alla nostalgia, per passare il tempo e far passare la malinconia, per fare notte che anche oggi la vedo dura. Regalami un quadretto, compay! Regalami un quadretto, compay! Meo Porcello festeggia il compleanno con il quadro del Che mentre zappa la terra, magari c’insegna come si fa una rivoluzione bolivarista, che quella comunista è passata di moda e quella martiana ha martirizzato abbastanza.
Alejandro Torreguitart Ruiz
L’Avana, 30 luglio 2008
Traduzione di Gordiano Lupi