«Marco Pannella è il solo uomo politico che costantemente dimostri di avere il senso del diritto,della legge, della giustizia.
«Ce ne saranno altri, ma senza volto e senza voce, immersi e sommersi in partiti la cui sensibilità ai problemi del diritto soltanto si manifesta quando qualche mandato di cattura raggiunge uomini del loro apparato: per il resto se ne stanno in silenzio…
«Pannella, e le non molte persone che come lui (e con le quali mi onoro di stare) si trovano dunque ad assolvere un compito ben gravoso e difficoltoso: ricordare agli immemori l’esistenza del diritto e rivendicare tale esistenza di fronte ai giochi di potere che appunto nel vuoto del diritto, o nel suo stravolgimento, la politica italiana conduce…».
(Leonardo Sciascia)
Primo evviva per Rosy Bindi: ieri ha presentato all’ufficio di presidenza della Camera la relazione sull’inammissibilità del conflitto di attribuzione nei confronti della Corte di Cassazione, in relazione al “caso Englaro”: «Si può discutere e e criticare il contenuto delle sentenze che intervengono su una materia densa di implicazioni etiche e sulle quali sono possibili diverse opzioni di valore», si legge nella relazione. «Ma questi argomenti non mettono in discussione la legittimità della decisione assunta dalla Corte di Cassazione».
Rosy Bindi ricorda che la questione non riguarda il merito della vicenda, ma solo la delimitazione delle sfere costituzionali delle Camere e della magistratura, e nella sua relazione richiama il principio generale dell’ordinamento giuridico per il quale «il giudice non ha la facoltà di non pronunciarsi in ordine a una istanza sottoposta al suo esame adducendo l’inesistenza di una norma di legge”. Nel caso in esame, si spiega che “ogni affermazione dei giudici appare confortata da un rinvio diretto o indiretto, per analogia, alle norme vigenti, secondo la relativa giurisprudenza interpretativa. Le motivazioni delle sentenze, evidenziano con chiarezza le argomentazioni di fatto e di diritto alla base delle decisioni, e dimostrano il carattere indefettibile della loro natura giurisdizionale».
Prosegue la relazione: «C’è da chiedersi se il conflitto di attribuzione non riguardi piuttosto il merito della decisione. Se così fosse, si tratterebbe di un improprio e anomalo mezzo di impugnazione della decisione della Corte di Cassazione ed anzi, configurandosi come una censura da parte di un diverso potere, rischierebbe di porre in discussione proprio quella indipendenza della magistratura sancita dall’art. 110 della Costituzione a tutela del principio della divisione dei poteri».
La relazione di Bindi contesta anche la tesi che l’esercizio dell’attività giurisdizionale possa aver menomato la sfera di attribuzione del Parlamento: «Le decisioni dell’autorità giudiziaria costituiscono pieno ed esclusivo esercizio della funzione giurisdizionale e, anche quando assumono carattere innovativo, lasciano del tutto inalterato il potere delle Camere».
Infine, si auspica che sia presto colmato «il vuoto legislativo su questa materia…». Pertanto, «in questo contesto sollevare un conflitto di attribuzione a tutela della libertà di non decidere del Parlamento significa in realtà implicitamente dichiarare la propria impotenza,auspicando, attraverso lo strumento del conflitto, una diversa composizione degli interessi in sede di interpretazione giurisdizionale. Una strada che comporta forti rischi sul piano del rispetto del principio della divisione dei poteri. Neanche i valori più alti, come il diritto alla vita possono essere tutelati al di fuori della legge o contro la legge. Per questo, come osserva Zagrebelsky, occorre stabilire la mite coesistenza di legge, diritti e giustizia, perché il diritto non è proprietà di uno ma deve essere oggetto delle cure di tanti».
Evviva dunque la cattolica Rosy Bindi: che anche oggi ci ha dato una buona, importante, preziosa lezione di vera laicità e senso delle istituzioni (con buona pace dei tanti “laici in gonnella” in circolazione).
Secondo evviva, per il condirettore di Europa, Federico Orlando. Perfetto, il suo editoriale di mercoledì. Coglie nel segno, individua con precisione il succo della questione, il senso della partita che si sta giocando.
È un lusinghiero riconoscimento il suo («L’unica battaglia liberale combattuta ai 40 gradi di Roma in queste settimane...»). Ma se quella in cui sono impegnati i radicali in queste ore è l’unica «battaglia liberale» in circolazione, non converrebbe interrogarci e domandarci perché si sia soli, isolati nel farla? Cosa fanno, in cosa sono impegnati (o non fanno e non solo impegnati) gli altri?
«Altissima è la voce della pattuglia radicale, al punto che nemmeno l’ermetica congiura del silenzio di tutti i Goebbles della libera stampa riesce a soffocarla interamente…», annota Orlando. Sì, ma a che prezzo, ogni volta, si riesce ad emettere qualche suono che sia percepibile? È da un mese, quasi, che Marco Pannella è in sciopero della fame, per scongiurare la possibile, probabile condanna a morte di Tarek Aziz. A parte (rari) francobolli e incisi, quanti servizi, quante trasmissioni sono state dedicate alla questione? Chi tace acconsente: con il boia.
Terzo evviva, per Paolo Pillitteri. Su L’Opinione osserva che Veltroni dà l’impressione «di voler giocare sotto banco, azionando ora i pedali del vulnus berlusconiano alla libertà di scelta, ora quelli della trattativa (sotterranea) globale per Rai e Commissione, sperando di portare a casa posti per la prima e presidenza, sua e non dell’ldv, per la seconda. Da manuale». Poi aggiunge: «L’occupazione radicale non è illegale, non è con la doppia kappa, ma, al contrario, una mossa politica interna alla opposizione per inviare un promemoria chiaro e forte allo stesso Veltroni. E alla sua “bella” politica».
Anche Pillitteri coglie uno degli aspetti della questione. Se ne potrebbe e dovrebbe parlare: magari partendo dalla concezione e proposta radicale di Partito Democratico, e dalla concezione e proposta offerta da chi il Partito Democratico lo “governa”. Andrebbe recuperato, magari il dibattito a proposito delle primarie, quando si chiuse in faccia la porta a Pannella, e poi il niet alle liste elettorali; e tanto altro ancora. Sarebbe bello, interessante, istruttivo. Per questo non se ne farà nulla.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 30 luglio 2008)