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Gianfranco Spadaccia, Valter Vecellio. Addio, Luigi. La morte di Luigi Del Gatto
30 Luglio 2008
 

Addio, Luigi

Se n’è andato. In punta di piedi. Discreto com’è sempre stato. Luigi Del Gatto, medico, radicale da sempre, ci ha lasciato. Luigi è sempre stata una presenza discreta, ma importante. Radicale “storico”, s’usa dire. Medico, ricercatore presso le università di Berkeley in California, e a Londra, militante del movimento per i diritti civili fin dai tempi della Lega per l’Istituzione del Divorzio. Il 4 novembre del 1981 venne arrestato per aver prescritto morfina a pazienti tossicodipendenti, e dunque per aver violato – pubblicamente, azione di “disobbedienza civile” nella migliore delle tradizioni radicali – la legge sulla droga, in nome della libertà terapeutica.

In un documento del Consiglio federale radicale di quei giorni si legge:

«…Considerato che Luigi Del Gatto, membro del Consiglio federale, segretario dei radicali abruzzesi, animatore da vent’anni delle lotte per i diritti civili, impegnato contro il nuovo olocausto per fame e per il disarmo, medico noto per il suo valore ed il suo impegno professionale e sociale, è stato arrestato, ed è dal 4 novembre in carcere per pubbliche azioni ed iniziative contro il flagello sociale provocato dall’industria della droga per aver da solo e con gravi sacrifici personali assicurato ai cittadini i servizi di legge dovuti ma non forniti dallo Stato; considerato il rifiuto di concedergli la libertà provvisoria con univoche prese di posizione sia del Giudice Istruttore sia del Pubblico Ministero, con l’incredibile motivazione dei rischi di inquinamento delle prove, di fronte ad un imputato che si era accusato con pubblici manifesti, con telegrammi e pubbliche denunce a tutte le autorità politiche, giudiziarie, amministrative; considerato che per 18 mesi Luigi Del Gatto si è visto negare dalla magistratura pescarese il suo diritto ad un processo rapido per accertare la verità e verificare così sia la fondatezza in questo caso della presunzione costituzionale di innocenza sia la sua innocenza, oltre che le eventuali responsabilità penali e amministrative, ivi incluse le possibili gravi omissioni ed abusi in atto d’ufficio…»

È un documento che, pur nell’inevitabile secchezza e sommarietà, dice molto sia dell’impegno di Luigi che delle ragioni che lo portarono in carcere, e di quei tempi, a ben vedere non molto diversi da quelli dell’oggi. Luigi ci ha lasciato proprio nel giorno in cui la Corte di Cassazione, ancora una volta, ribadendo la non punibilità anche per chi non solo consuma e detiene, ma “spaccia” piccole dosi, sostanzialmente denuncia l’assurdità e la nessuna utilità dell’attuale legislazione in materia di sostanze stupefacenti.

È stato, tra le tante cose, presidente del CORA, il Coordinamento Radicale Antiproibizionista. In apertura dei lavori del convegno su “I costi del proibizionismo sulle droghe” di Bruxelles (28 settembre-1 ottobre 1988), Luigi osservava che «il proibizionismo deve essere analizzato, criticato e superato… le alternative stanno nel rintracciare e superare gli errori dei proibizionisti in questi settant’anni…». In sostanza, quello di Luigi era un pacato ma instancabile invito a riflettere se “le droghe siano proibite perché sono pericolose, o se siano pericolose perché sono proibite”. Vent’anni dopo quell’invito alla riflessione è ancora valido, più che mai attuale. Ma noi siamo, e ci sentiamo più soli.

 

Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 29/07/2008)

 

 

La morte di Luigi Del Gatto

È morto nei giorni scorsi a Pescara, all’età di settantasette anni, Luigi Del Gatto, un vecchio e caro compagno, la cui vita è stata caratterizzata da una lunga militanza radicale, almeno da quando nel 1961 era tornato in Italia da Berkeley presso la cui università aveva ottenuto un contratto di ricercatore dopo la laurea in medicina conseguita a Bari nel 1955. Medico endocrinologo, specializzato in medicina nucleare e in biologia molecolare, ricercatore a Londra dal 73 al 75, Del Gatto ha esercitato la sua professione a San Benedetto del Tronto, a Roma presso il policlinico Gemelli, la clinica Moscati, l’Americana Hospital, il centro Artemisia, e a Pescara, dove alla fine degli anni 70 fissò la sua residenza definitiva, presso la clinica Stella Maris.

Padre di cinque figli, era un uomo di grande generosità e umanità, non solo nella sua vita familiare e professionale. Di idee profondamente libertarie partecipò attivamente alla lotte dei diritti civili degli anni 60 e 70. La sua professione di medico e di uomo di scienza si è intrecciata a volte con le iniziative e la campagne radicali in tutti quei casi – dalla liberalizzazione dell’aborto all’antiproibizionismo, dalla fecondazione assistita alla libertà di ricerca – in cui la politica investiva problemi fondamentali della vita e della salute. Come medico e come cittadino, non solo come militante politico, ha sempre posto al centro del suo impegno la difesa e l’affermazione della libertà, della dignità, dell’autodeterminazione della persona.

Fu uno dei fondatori del Cora (Comitato radicale antiproibizionista) e della LIA (Lega internazionale antiproibizionista). Nel 1980 annunciò pubblicamente la volontà di avvalersi, con una interpretazione estensiva, di una norma che rendeva possibile ai medici prescrivere morfina ai tossicodipendenti. Lo fece alla luce del sole per molti mesi, chiarendo che non si trattava ai suoi occhi di disubbidienza civile ma di applicazione di una norma nell’esercizio della sua professione medica. Due anni dopo, se non ricordo male, nel 1982, un procuratore della Repubblica decise di incriminarlo. Fu arrestato e negli anni successivi dovette subire un processo. Nel 1986, in primo grado, fu assolto sia pure per insufficienza di prove. Evidentemente i giudici si arrestarono di fronte alla applicazione al suo caso di norme penali previste per i trafficanti e gli spacciatori. In secondo grado fu invece condannato ad oltre due anni ma il riconoscimento dei particolari motivi di valore sociale e morale gli consentì di evitare la reclusione. Non fu mai sospeso dall’esercizio della professione medica e non ebbe la sospensione dei diritti politici (come parzialmente avvenne più tardi, con le nuove leggi, per Marco Pannella, Rita Bernardini, Sergio Stanzani ed altri militanti radicali che, per la loro disubbidienza civile, si videro precluso l’elettorato passivo nelle elezioni amministrative e regionali). Ciò gli consentì di candidarsi più volte come radicale. Alla fine degli anni 80 fu consigliere regionale dell’Abruzzo, eletto in una lista civica verde, radicale, antiproibizionista. Nel 2000, quando era già colpito dalla malattia che ora l’ha condotto alla morte, fu candidato della lista Bonino alla Presidenza della Regione.

La sua attività e la sua presenza nella vita del Partito e delle associazioni radicali fu, a partire degli anni 60, intermittente ma costante, interrotta solo negli ultimi anni dalla malattia. Cercando nell’archivio radicale, ho trovato una sua relazione, redatta insieme a Carlo Oliva, per la commissione costituita nel 1967 per redigere un progetto di statuto radicale e presieduta da Sergio Stanzani. Era una relazione sul modello di partito, un modello di partito federale e non centralistico, libertario e non disciplinare, laico e non dogmatico ed ideologico da contrapporre al modello di partito tradizionale. Un problema con cui non solo la galassia radicale ma l’intera politica italiana si trovano tuttora fare i conti.

 

Gianfranco Spadaccia

Fonte: Radicali.it, 29/07/2008


 
 
 
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