Diceva bene Carlos Puebla.
Sempre ventisei! Sempre ventisei!
Il resto della canzone non me lo ricordo più, ché di cazzate ne sentiamo troppe, qualcuna meglio dimenticarla, altrimenti si fa una finaccia, si scappa in Italia come Juliana, ci si butta dal Malecón con una camera d’aria, si pensa solo a cambiare vita e tanto il modo non si trova. Sempre ventisei, ché il ventisei di luglio è l’anniversario dell’assalto alla Caserma Moncada, una sconfitta epocale trasformata in giorno di gloria, il vecchio Fidel c’ha sempre saputo fare, inutile dire. Adesso Fidel non c’è più, pare scriva Riflessioni sul Granma, chissà se è vero, per me se le fa scrivere, pure se forse non è cambiato niente, lui s’è sempre fatto scrivere tutto, mica era Che Guevara. Parla Raúl Castro davanti alla Caserma Moncada imbandierata a festa, diecimila persone che attendono da cinque ore, trasbordate da chissà quali centri di lavoro per sentire la solita minestra riscaldata, mica li ha obbligati nessuno, per l’amor di Dio, no, sono venuti volontari, se non venivano perdevano il lavoro, ma l’hanno fatto volentieri. E tante ore di attesa vengono ripagate, lui esce sul palco con la solita divisa militare color cacchetta, parla con una vocina nasale flebile e finta, dice tante cose importanti…
– Non crediate di ricevere sempre e soltanto buone notizie – avvisa.
Ti va di scherzare Speedy? Ché ormai lo chiamo Speedy, il vecchio Raúl, il topolino schizofrenico più veloce di Cuba. Sei uscito di melone? Quali buone notizie? Mi sono perso qualche passaggio, forse ha ragione mia madre che guardo troppo Sex and The City dal mio amico Moreno che c’ha la parabola illegale.
– Ragazzi c’è la crisi internazionale, non c’abbiamo un cazzo, dobbiamo risparmiare, soprattutto sulla benzina, pure se Meo Porcello ce ne dà parecchia, mica è infinita – gracchia la cornacchia verde olivo.
Bella questa Festa della Rivoluzione senza Fidel, ché la televisione ha dovuto modificare il palinsesto, avevano previsto un discorso di sette ore ma Speedy Gonzales parla poco e corre molto, in meno d’un’ora se l’è cavata. Menate ne dice tante lo stesso, però. Dopo rivoluzione, patria, libertà, eroismo, bandiera, appare il fantasma di Guillén in fondo alla piazza. – Basta con le cazzate, ciccio, – dice il vecchio poeta mulatto, ma forse sono io che c’ho dato giù duro col rum da dieci pesos, bisogna che smetta.
– Basta con le riforme. Ne abbiamo fatte troppe. Terra ai contadini come se piovesse. Telefonini, computer, dvd, forni a microonde e vacanze negli alberghi per i fantacubani che vivono nella fantacuba, quella dove tutto va ben madama la marchesa, i pesos sono troppi, mettiamone un po’ da parte per le spese inutili – tuona il vecchio topastro.
Ma forse non è lui che parla, mi sa che il cispe sta facendo effetto.
– Gli Stati Uniti non passeranno! Che me frega di chi vince le elezioni? Sempre yankees sono! E noi ci difenderemo da loro e dalle multinazionali, pure se ogni tanto facciamo costruire qualche albergo, roba di poco conto, casermoni stile Cayo Coco – continua Speedy.
L’immagine di Fidel troneggia. Vittoria delle idee, recita uno striscione.
– Fidel è assente, ma tutti lo teniamo nei nostri cuori, – dice un mezzo rincoglionito che sventola una bandiera rossa. – Fidel c’ha dato la libertà e per questo noi gli diamo la vita, – aggiunge un altro rimbambito.
Mi sa che hanno bevuto pure loro, si sono fatti una pera di rum.
E poi via con le bandierine di Cuba e del Movimento 26 luglio che io so un cazzo da dove sono piovute, che poi me l’hanno detto, è stato un italiano a regalarle, che il diavolo se lo porti, uno che si chiama Berto Savina e pare faccia affari con Cuba. Questo fesso d’italiano ha regalato ottantamila bandierine e quattordicimila palloncini rossi e neri, lanciati alla fine del discorso, ma pure i fuochi artificiali, arrivati appositamente dall’Italia e sparati alla mezzanotte di venerdì a Santiago. E allora appuntamento a gennaio 2009, ancora una volta a Santiago, per celebrare i cinquant’anni della nostra sconfitta… scusate il lapsus… del trionfo della Rivoluzione. Giuro che se Savina porta le bistecche alla fiorentina e gli spaghetti alla bolognese, divento comunista pure io e scendo a Santiago, sempre che mi diano il permesso, ché qui serve la carta blanca anche per andare a Cuatro Caminos.
Alejandro Torreguitart Ruiz
L’Avana, 27 luglio 2008
Traduzione di Gordiano Lupi