All'inizio del recente congresso di Rifondazione è stato proiettato un video su Giovanni Pesce, scomparso quest'anno, nel quale oltre la vita di lui è stata adombrata una immagine della Resistenza canonica e imprecisa. Ho chiesto di poter parlare per dirlo, ma non ero delegata e non avevo diritto di parola, anche altre compagne delegate hanno insistito, ma non è stato possibile: non ne faccio una tragedia, il tempo era poco e il tema evidentemente non sembrava interessante per la presidenza, comprese le donne che ci stavano.
Che cosa mi ha irritato tanto in quel video? che la Resistenza fosse raccontata solo come impresa militare (che non fu mai, anche quando è armata, la Resistenza è sempre politica, non militare); e solo maschile. Mi è tornata in corpo l'amarezza di quei giorni quando alla grande sfilata del 25 aprile a Milano il Pci vietò alle donne partigiane di prendervi parte “perché il popolo non avrebbe capito”, voleva dire che avrebbero pensato che noi eravamo le puttane dei partigiani. Naturalmente se il Pci avesse messo donne nella prima fila del corteo nessuno avrebbe avuto questi pensieri e se avesse affermata la nostra libertà nessuno avrebbe potuto protestare. Invece la cosiddetta allora “questione femminile” era assai arretrata; ma non affrontata subito nel grande maremoto della Resistenza si bloccò e si ripropose puntualmente sul tema della prostituzione (la Merlin era socialista), divorzio (Fortuna era socialista) aborto (il Pci riluttò a lungo e fu trascinato dall'Udi) e poi ancora nelle difficoltà di inserire nella politica i temi della sessualità, dell'orientamento sessuale, della lotta contro il modello unico di famiglia “regolare” e magari anche patriarcale.
In sostanza il Pci era un partito favorevole all'emancipazione femminile, non al femminismo: cioè era favorevole a che le donne avessero diritto a copiare tutti i diritti che gli uomini avevano raggiunto, non a una differente declinazione degli stessi diritti, sicché a quel punto invocava il popolo immaturo. Era un ragionamento “borghese” che del resto riguardava tutto il “comparto” della sessualità e moralità privata e pubblica. Infatti Togliatti poteva anche abbandonare la moglie e mettersi con la Jotti. Ma la Jotti doveva abortire se aveva un figlio da lui e non poteva essere fotografata in pubblico insieme, il trionfo della doppia morale nel più puro costume della borghesia.
Per non fare una trattazione lunga e noiosa, prendo spunto dalle canzoni che parlano delle donne nella formazione dello stato italiano.
Si incomincia con “addio, mia bella, addio” risorgimentale che ha tutti i canoni del partire per la guerra e lasciare la bella col bambino. Questa impostazione vale per tutte le guerre fino alla prima mondiale inclusa. La seconda guerra mondiale, che ha inventato poche canzoni, si esprime nell'unica di grande bellezza e malinconia “Sul ponte di Perati c'è l'amor mio, col fazzoletto in man che mi dà l'addio”, sempre la stessa tessitura nostalgica che vale anche per la bellissima “Oh Dio del cielo, se fossi una rondinella!”.
In questa tradizione ci sono due canzoni del tempo della Resistenza che cambiano il discorso. Una fa: “Non c'è tenente, né capitano, né colonnello o general: questa è la marcia dell'ideal”, mediocri versi e musica di scarsa qualità, ma è chiara l'intenzione antimilitarista e antigerarchica. Inoltre continua un po' inopinatamente così da parte delle ragazze: “Un partigiano vorrei sposar!”. Ora non sembra, ma era di grande trasgressione allora, dato che le ragazze non osavano dire chi volessero sposare, venivano “scelte” e diventavano “la ragazza di, la moglie di” ecc.
Tanto per tornare al video d'inizio non si deve dire che Pesce sposò la partigiana Adriana, ma che la partigiana Adriana sposò Pesce. E l'altra canzone era una trista e davvero sconfitta canzone repubblichina e faceva: “Le donne non ci vogliono più bene, perché portiamo la camicia nera, l'amore coi fascisti non conviene, l'amore coi fascisti è da galera”.
L'avevano scritta loro per sfottò e risultò come Lili Marlene vera, politica e contro la guerra.
Ma la tradizione invece si vendica con “Bella ciao!” che -come sapete- è un falso nel senso che è una vecchia canzone delle mondine adattata dopo la Resistenza a canzone partigiana con tutta la retorica della bella morte. È così tradizionale che il Pd può permettersi di trasformarne il titolo in un disinvolto e allegro “Ciao bella!”. Ciò che volevo dire mi pare così più chiaro di una intera trattazione storico-filologica.
Lidia Menapace