Condanne a morte in Iran. Se
il servizio pubblico radiotelevisivo
si dotasse di un format
per i diritti civili ed umani…
«È in atto una blanda, sotterranea persecuzione
contro la libertà del pensiero
e dell’opinione, anche scientifica e letteraria.
Se non si osa negare questa libertà esplicitamente,
non si trascura nulla però per sottrarre a chi dissente
ogni pratica possibilità di far sentire la sua voce».
(Panfilo Gentile)
È dunque “normale” che undici tra parlamentari europei, senatori e deputati italiani occupino giorno e notte la sede della Commissione Parlamentare di Vigilanza per chiedere il rispetto della legge, e cioè che la Commissione riesca finalmente ad eleggere il suo presidente; e, parallelamente, si riesca finalmente ad eleggere il componente della Corte Costituzionale che spetta al Parlamento eleggere.
È dunque “normale” che un signore che in un altro paese sarebbe già stato insignito delle più alte onorificenze per il tanto di buono e di giusto che ha saputo conquistare per tutti – si sta parlando di Marco Pannella – sia in digiuno da oltre tre settimane, e questa volta per una bizzarria che è “salvare la vita da esecuzione probabile di Tarek Aziz”; che a questo signore e a questa bizzarria si siano aggiunti e associati una cinquantina di persone, e tutto ciò non costituisce “notizia”.
È dunque “normale” che non sia “notizia” che tutti i senatori a vita, e tra loro i tre presidenti emeriti della Repubblica, sostengano l’iniziativa di Pannella. È dunque “normale” che non sia “notizia” che tra i “bizzarri” vi sia anche un signore come Sergio Stanzani, la cui storia e il cui vissuto farebbe la felicità di un qualsiasi cacciatore di “colore”.
Come mai non si fa mai “notizia” se non “dopo”? Forse Pannella e gli altri “bizzarri” devono prendere l’abitudine di parlare al telefono e di auto-diffondere il contenuto delle loro telefonate. Già: perché in tutto il mare di intercettazioni che viene diffuso e propalato a cadenza quotidiana, non ce n’è una che riguardi i radicali. Non si è “notizia” neppure per gli “spioni”.
Si può provare con il gossip? Tutti a Capalbio, con tette e pance in bella vista? Oppure? Intanto registriamo, oggi, che poco o nessuna “notizia” faccia il ministro Gianfranco Rotondi (foto). È “normale” che un ministro rimproveri il Parlamento e lo esorti a «battere un colpo e si riappropri delle prerogative che gli competono. È paradossale che ci sia ancora uno stallo per la Commissione di Vigilanza RAI. Ho apprezzato gli appelli dei giorni scorsi dei presidenti Schifani e Fini perché si giunga presto a una soluzione, oggi plaudo all’iniziativa dei radicali che va perorata e non censurata».
Tutta questa “normalità”, a lungo andare ci soffocherà. Furio Colombo dice una cosa semplice e precisa: «Avendo appreso che l’iniziativa di occupare l’aula di vigilanza Rai si estende ad altri parlamentari non posso che augurarmi che si estenda al di là e che coinvolga tutti coloro che nelle due Camere del Parlamento hanno il dovere di fare in modo che tutte le istituzioni siano costituite integre e in grado di funzionare. I deputati radicali stanno denunciando uno stato di paralisi che rende impossibile una funzione essenziale attribuita al Parlamento». E l’ex ministro Arturo Parisi, che si ritiene anche lui “occupante” si appella perché anche altri parlamentari e forze politiche che hanno a cuore il funzionamento del Parlamento e il rispetto della democrazia facciano sentire la loro voce: «L’azione dei parlamentari radicali contro questa prepotenza per una immediata costituzione della commissione non può non avere il mio più convinto sostegno così come quello di tutti i democratici».
Se venisse “semplicemente” assicurata una buona informazione, la questione probabilmente sarebbe già da tempo risolta. Non occorre molto, basterebbe fare quello che quotidianamente riesce e sa fare Radio Radicale: che fa parlare e amplifica le posizioni di tutti, e consente agli ascoltatori di potersi formare liberamente una opinione e poter giudicare.
E a proposito di informazione. Da qualche giorno si propone una simulazione: se per esempio il servizio pubblico si fosse dotato di quel format-struttura per i diritti civili e umani che molti a parole dicono di volere, e che però ci si guarda bene dal predisporre. La notizia che in Iran ventinove persone siano state impiccate ha giustamente provocato riprovazione ed orrore. Ecco, il tema del giorno, ci fosse stato il format, sarebbe stato questo. Con la collaborazione di Nessuno tocchi Caino si sarebbe potuto raccontare quel che è stato raccolto nell’ultimo, recentissimo rapporto 2008 sulla pena di morte nel mondo (a cura di Elisabetta Zamparutti, Reality Book, 18 euro).
Si sarebbe potuto dar conto che anche nel 2007 l’Iran si è “piazzato” al secondo posto, quanto a numero di esecuzioni, dopo la Cina: almeno 355 persone sono state messe a morte, un terzo in più rispetto al 2006, quando le esecuzioni erano state almeno 215.
«Condanne alla lapidazione», si legge nel rapporto 2008, «sono state eseguite anche nel 2007, contrariamente a quanto assicurato dal ministro della Giustizia iraniano Jamal Karimi-rad, che aveva ribadito che l’Iran non effettua lapidazioni, anche se condanne a morte per lapidazione continuavano a essere emesse in vari casi di adulterio.
«Il 5 luglio 2007 un uomo è stato lapidato dopo essere stato condannato a morte per adulterio e aver trascorso undici anni in carcere. L’esecuzione è stata confermata da un portavoce della magistratura, Ali Reza Jamshidi, e secondo un gruppo femminile iraniano per i diritti umani l’uomo ucciso si chiamava Jafar Kiani. L’esecuzione ha detto il portavoce dell’apparato giudiziario, è avvenuta nel villaggio di Aghcheh, nella provincia di Qazvin, circa 200 chilometri a est di Teheran. Kiani, secondo la ricostruzione del gruppo femminile, avrebbe lasciato la moglie per un’altra donna sposata, Mokarrameh Ebrahimi, anche lei incarcerata da 11 anni e condannata alla stessa pena per l’adulterio, ma la cui esecuzione è stata sospesa».
Nel corso del 2007 in Iran sono stati giustiziati quattro donne e almeno sette persone minori di diciotto anni al tempo del crimine, un fatto quest’ultimo che pone il paese in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che pure ha ratificato. Al 1° luglio almeno tre minorenni sono stati giustiziati in Iran nel 2008. Secondo la campagna “Stop Child Executions” (SCE) almeno 96 minori di diciotto anni sono rinchiusi nei bracci della morte iraniani (al 7 giugno 2008). Secondo la “Campagna Internazionale per i Diritti Umani in Iran” al 17 giugno 2008, erano 177 i minori di 18 anni condannati a morte in Iran negli ultimi dieci anni. Di questi 177, i giustiziati sono stati 34, altri 114 restano in attesa di esecuzione, metre i restanti 29 sono stati graziati. Secondo Amnesty International, dal 1990, sono stati giustiziati in Iran almeno 30 giovani, mentre altri 138, tra cui cinque ragazze, al 9 luglio 2008 erano in attesa di essere impiccati per delitti commessi quando avevano meno di diciotto anni.
Si sarebbe potuto “raccontare” che l’Iran ha salutato il 2008 con 23 impiccagioni compiute nei primi dieci giorni del nuovo anno. Si sarebbe potuto ricordare che l’8 gennaio di quest’anno hanno fatto il giro del mondo le foto di Hasan Hikmet Demir, un turco affiliato a un partito di opposizione curdo, che è stato impiccato nella prigione di Khoy. Nonostante fosse ferito e paralizzato di entrambe le gambe, è stato trasportato in barella e, come si vede nelle foto, sanguinante è stato impiccato. Solo nel 20 febbraio 2008 dieci persone sono state impiccate, colpevoli di rapina a mano armata e omicidio. Le prime sei sono state giustiziate all’alba nel carcere di Zanjan. Le altre quattro sono state impiccate nel carcere di Evin a Teheran.
Secondo le autorità iraniane, molte esecuzioni in Iran sono relative a reati di droga, ma è opinione di osservatori sui diritti umani che molti di quelli giustiziati per reati comuni, in particolare per droga, possano essere in realtà oppositori politici.
Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Svaria iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l’Iran ha ratificato e queste pratiche vieta.
Migliaia di ragazzi subiscono ogni anno frustate in Iran per aver bevuto alcolici o aver frequentato feste a cui partecipano maschi e femmine o per oltraggio al pubblico pudore. Le autorità iraniane considerano le frustate una punizione adeguata per combattere comportamenti ritenuti immorali ed insistono perché siano eseguite in pubbliche piazze come “lezione per chi guarda”.
Ma il regime si è abbattuto in particolare nei confronti delle donne. La loro segregazione ha avuto un’accelerazione dopo l’elezione di Mahmoud Ahmadimejad il quale durante il suo mandato di sindaco nella capitale inaugurò la separazione di donne e uomini negli ascensori.
Tra le molte cose, si sarebbe potuto “raccontare” che il 13 giugno 2007 il parlamento iraniano ha approvato un disegno di legge che prevede la condanna a morte per persone coinvolte nella produzione di film pornografici. Con 148 voti a favore, cinque contrari e quattro astensioni, il Parlamento ha stabilito che «i produttori di film pornografici ed i principali soggetti che collaborano alla produzione sono da considerarsi corruttori del mondo e possono essere condannati alla pena capitale». In base alla legge, per “principali soggetti” si intendono registi, cameraman e attori coinvolti nella realizzazione di video-porno. Il termine “corruttore del mondo” è tratto dal Corano e costituisce una delle più gravi accuse nei confronti di una persona. In base al codice penale iraniano, per questo reato è prevista la pena di morte.
Si sarebbe potuto “raccontare” che dei 49 paesi che detengono la pena di morte, 39 sono, come l’Iran, oppressi da dittatura, autoritari e illiberali. Che la Cina è il paese dove si sono effettuate il maggior numero di esecuzioni capitali, almeno cinquemila (circa l’85,4 per cento del totale mondiale); seguita da Iran (almeno 355), e Arabia Saudita (almeno 166).
Si sarebbe potuto “raccontare”, ma non lo si è potuto fare.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 28 luglio 2008)