Sul caso della famiglia Englaro, non vedo alcuna invasione di campo da parte della corte d’appello di Milano. L’assenza di una legge sul testamento biologico non può cancellare il diritto fondamentale alla libertà di cura e la possibilità – di fronte ad una legislazione lacunosa – di ricorrere ad un giudice; anche da parte del tutore. La sentenza del Tribunale civile di Milano andrebbe letta bene, soprattutto da tutti i superficiali che l'hanno sobriamente equiparata al lavoro del boia. È una sentenza carica di rigore giuridico e di umanità, che considera tutti gli aspetti della vicenda, che sono stati ben approfonditi in fase dibattimentale.
Nessuno vuol guardare alla libertà di cura come ad un feticcio: nessuna legge sul testamento biologico consentirebbe mai di impedire un trattamento sanitario rispetto a situazioni reversibili e sanabili.
Ma la discussione sulla incerta frontiera tra la vita e la morte è complessa e l’illusione di potere giungere a soluzione ricorrendo ad un principio assoluto è sempre e comunque sbagliata.
Ora si dice che non è certa la volontà di Eluana ma a dirlo sono quanti continuano in ogni modo ad ostacolare o a ritenere superflua l’approvazione di una legge sul testamento biologico, che invece renderebbe più facilmente accertabile la volontà del paziente. Molti di questi, peraltro, ritenevano che la lucida volontà espressa di Piero Welby fosse irrilevante e che la decisione del medico che vi aveva dato attuazione fosse da considerare alla stregua di un omicidio volontario.
Benedetto Della Vedova
(da 'l Gazetin, luglio-agosto 2008
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