“È bello difendere Termopili
anche se sappiamo che alla fine
i barbari passeranno”
(George Kavafis)
La nota di ieri su Notizie Radicali chiudeva così:
«Quando si chiede perché con tanta insistenza si chiede che l’informazione radiotelevisiva pubblica si doti di un format per i diritti civili e umani, è anche per dare questo tipo di informazioni, di notizie. Nel momento in cui leggerete questa nota, molto probabilmente sarà in corso una clamorosa iniziativa radicale. Altre ne dovranno seguire, perché sia riconosciuto finalmente il diritto einaudiano del conoscere per poter deliberare secondo scienza e coscienza. Ne riparleremo».
L’iniziativa di Marco Beltrandi.
Riparliamone, dunque. E cominciamo con l’iniziativa cui si accennava, e di cui ora si può parlare esplicitamente: l’occupazione dell’aula della Commissione parlamentare di Vigilanza RAI da parte del nostro compagno Marco Beltrandi. Chiede la convocazione ad oltranza, fino a quando non ci sarà il nuovo vertice, e restituire così al Parlamento funzioni e prerogative che gli vengono pervicacemente sottratti, ed ha già conseguito un risultato importante: i presidenti del Senato e della Camera hanno fissato una nuova seduta e predisposto un calendario serrato, dando un segnale preciso: si vuole uscire da una situazione di stallo su questo specifico aspetto delle vicende RAI. Beltrandi ha anche incassato il sostegno e l’adesione di Giuseppe Giulietti e dell’associazione Articolo 21: «Condividiamo e sosteniamo l’iniziativa di Marco Beltrandi».
Il rapporto 2008 sulla pena di morte nel mondo
curato da Nessuno tocchi Caino.
Se il servizio pubblico radiotelevisivo si fosse dotato di un format per i diritti civili e umani nel suo palinsesto troverebbe un posto d’onore il “Rapporto 2008 sulla pena di morte nel mondo” curato da Elisabetta Zamparutti e da Nessuno tocchi Caino; e il segretario dell’associazione Sergio D’Elia avrebbe la possibilità di raccontare come «dopo quattordici anni di lotta nonviolenta e di azione politica, parlamentare, istituzionale e di opinione pubblica, siamo finalmente riusciti a ottenere il pronunciamento dell’Assemblea Generale dell’ONU a favore di una Moratoria Universale delle esecuzioni capitali… che molti paesi, per lo più autoritari, non forniscono statistiche ufficiali sulla sua applicazione e la mancanza di informazione dell’opinione pubblica al riguardo è anche così causa diretta di un maggior numero di esecuzioni. In alcuni casi come la Cina e il Vietnam, dove la questione è coperta dal segreto di Stato, le notizie di esecuzioni riportate dai giornali locali o da fonti indipendenti descrivono solo una parte del fenomeno. In Bielorussia e Mongolia, dove vige il segreto di Stato, retaggio della tradizione sovietica,le notizie delle esecuzioni filtrano dalle prigioni tramite parenti dei giustiziati o organizzazioni internazionali molto tempo dopo la loro esecuzione. In quasi tutti gli altri paesi autoritari, dall’Iran allo Yemen al Suda, dove pure non esiste segreto di Stato sulla pena di morte, le sole informazioni disponibili sulle esecuzioni sono tratte da notizie uscite su media statali o da fondi ufficiose o indipendenti, che evidentemente non riportano tutti i fatti. Ci sono poi situazioni in cui le esecuzioni sono tenute assolutamente nascoste o le notizie non filtrano nemmeno sui giornali locali. È il caso della Corea del Nord. Vi sono infine paesi come l’Arabia Saudita, Botswana e Giappone, dove le esecuzioni sono di dominio pubblico solo una volta che sono state effettuate, mentre familiari, avvocati e gli stessi condannati a morte sono tenuti all’oscuro di tutto. A ben vedere, in questi paesi, la soluzione definitiva del problema, più che la pena di morte, riguarda la Democrazia, lo Stato di Diritto, la promozione e il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili…» (dalla prefazione di Sergio D’Elia al “Rapporto 2008”).
Radovan Karadzic e i crimini contro l’umanità nella ex Jugoslavia.
Se il servizio pubblico radiotelevisivo si fosse dotato di un format per i diritti civili e umani nel suo palinsesto troverebbe spazio la vicenda relativa a Radovan Karadzic finalmente arrestato l’altro giorno, e i crimini contro l’umanità nella ex Jugoslavia. Il Tribunale Internazionale per i crimini di guerra lo ha incriminato tra l’altro con imputazioni relative all’assedio e al bombardamento di Sarajevo, a operazioni di pulizia etnica che hanno provocato centinaia di migliaia di profughi, e all’uccisione di quasi 7.500 prigionieri musulmani,uomini e ragazzi, a Srebrenica: «il più vasto massacro avvenuto in Europa dopo quelli delle settimane che seguirono la fine della seconda guerra mondiale, quando gli squadroni della morte comunisti passarono per le armi innumerevoli migliaia di prigionieri che gli Alleati avevano rimpatriato forzosamente in Jugoslavia», dice Carla Del Ponte fino a poco tempo fa procuratore capo del tribunale internazionale. Dalla stessa Del Ponte ci si farebbe raccontare l’inaudito (nel senso che nessuno ha potuto udirlo) contenuto in una frase-sfogo di un anno fa: «…Per me non c’è modo di ricorrere a parole di saggezza per lenire il disappunto e il senso di attesa delusa, perché il semplice fatto del fallimento è il semplice fatto del fallimento, e perché almeno per questi quattro latitanti (ndr: Ratko Mladic, ex comandante dell’esercito serbo-nosniaco, incriminato per i fatti connessi con, fra le altre cose, il massacro di Srebrenica; Radovan Karadzic; Stojan Zupljanin, comandante della sicurezza serbo-bosniaco nella Bosnia occidentale,incriminato di genocidio e persecuzione in relazione con la pulizia etnica di musulmani; Goran Hadzic, ex leader dei serbi in Croazia) due dei quali accusati di genocidio, la mia bestia nera, l’impunità, sembra aver sconfitto i miei sforzi per sconfiggerla. Mi sembra quasi di sentire le risate che arrivano da una Serbia che, anche dopo tutte le menzogne dei suoi leader, anche dopo che le truppe che agivano in suo nome hanno lasciato le migliaia di cadaveri a decomporsi a Srebrenica, potrebbe essere accolta nell’Unione europea, come se il suono non rimbalzasse con un tonfo sordo dal muro di gomma che si estende da Bruxelles a Londra, a Parigi, a Roma, a Washington e a New York, come se il resto di noi tutti avesse dimenticato…».
Ripetiamolo: «Muro di gomma che si estende da Bruxelles a Londra, a Parigi, a Roma, a Washington e a New York…». Ecco: se il servizio pubblico radiotelevisivo si fosse dotato di un format per i diritti civili e umani nel suo palinsesto, forse quel “muro di gomma” lo si potrebbe almeno “raccontare”, descrivere.
Il caso di Eluana Englaro
e la sentenza della Corte d’Appello di Milano.
Se il servizio pubblico radiotelevisivo si fosse dotato di un format per i diritti civili e umani nel suo palinsesto forse si mostrerebbe qualche servizio in meno sull’indecorosa iniziativa del direttore del Foglio con la sua acqua sul sagrato del Duomo di Milano, e si consentirebbe al giudice della Corte d’Appello di Milano Filippo Lamanna, che ha scritto la sentenza sulla vicenda Eluana Englaro: «Ma davvero c’è qualcuno che in buona fede pensa che una decisione del genere la si prenda a cuor leggero? Burocraticamente? Prima di decidere io per molte notti non ho dormito, e so che le stesse notti in bianco le hanno fatte i miei due colleghi. Però sono un giudice e devo applicare la legge; e in base alla legge non era possibile una decisione diversa. Non ci siamo pronunciati in una situazione in cui nessuno, neanche la procura generale che si batteva per una soluzione diversa, metteva in dubbio la situazione clinica: coma irreversibile, assenza totale di coscienza; e ci siamo mossi seguendo principi fondamentali della nostra Costituzione: Articolo 32: nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario; articolo 3: tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. Anche gli incapaci. Anche Eluana. Non abbiamo mai attribuito a Eluana una sorta di testamento biologico. Ma le indicazioni della Cassazione, quando ci ha rinviato la decisione, erano nette: andava verificato se le scelte del tutore della ragazza erano infondate, o se invece erano basate su dati di fatto reali. Tutti gli elementi che abbiamo raccolto dimostravano che il padre di Eluana ha fatto proprie le convinzioni che ripetutamente e senza incertezze sua figlia aveva manifestato quando era in grado di farlo. Alle stesse conclusioni è arrivato anche il curatore speciale, nominato per tutelare i diritti di Eluana nell’ipotesi che il padre fosse condizionato da interessi personali. Per chi, come noi, ha conosciuto il signor Englaro era una ipotesi inverosimile, ma è uno scrupolo che bisognava farsi e la conclusione non è cambiata».
Non per una ipocrita adesione alla par condicio, ma si farebbe parlare – perché del suo dire non si smarrisca memoria – anche Luca Volontè, parlamentare loquacissimo dell’UDC:
«Solo un saccente scrivano di allegri annunci funebri può scrivere le cose di Adriano Prosperi su Repubblica, tifoso della cultura della morte, di quel pietismo macabro che già dai tempi di Welby e recentemente di nuovo è stato suffragato dal ‘giurismo arcaico e ideologico’ di Rodotà. Evidentemente il ‘club della pietosa eutanasia’ non smette di raccogliere pomposi aderenti. Eluana è la vittima predestinata da una sentenza omicida e senza alcun fondamento giuridico nell’ordinamento italiano. L’esperimento del testamento biologico volontario, sponsorizzato da Veronesi e dai notai italiani è stato un colossale fallimento. Eluana è viva, non un malato terminale sul quale ci si accanisce. Nessun passo indietro, anzi la procura faccia rapidamente passi avanti, le campane a morto per Eluana suonavano già sulle pagine di “Repubblica”. Chiedere di tacere è cercare correità, complicità, con una sentenza infame per l’intera storia del diritto italiano dal medioevo ad oggi».
Se il servizio pubblico radiotelevisivo si fosse dotato di un format per i diritti civili e umani, il palinsesto, per oggi sarebbe questo. Se ne riparlerà.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 24 luglio 2008)