La “società liquida” di Baumann è ormai da considerare “il paradigma di moda” se anche l'ineffabile Francesco Alberoni ne fa titolo per il suo “Pubblico&Privato”, in prima, sul Corriere della Sera del 21 luglio. Fragilità e disunione (in un vortice di trasformazioni epocali e di crisi senza fine) sembrano, per il Nostro, le caratteristiche di una società perché come la nostra, possa essere definita liquida: quando «non ci sono più regole forti, si sono indebolite le Chiese, i partiti, tutti i rapporti e non solo quelli di lavoro sono diventati precari, anche nella famiglia, anche nella coppia, mentre l'educazione svanisce e prevale l'impulso immediato». Scoperto il male, che fare per uscirne se ci si è “dentro”?
«Fare come quei nuovi competitori sempre più sfidanti le cui Società non sono liquide, ma solide, solidissime hanno smisurate ambizioni, ferrea disciplina». Ma come si concreta (o consolida questa non liquidità da raggiungere? Ce lo spiega finalmente la conclusione: dobbiamo creare una mobilitazione come se fossimo in guerra, per cui tutti fanno meglio, lavorano di più, studiano di più, inventano di più. Perché, «non ci sono più margini per i chiacchieroni, i fannulloni, i ritardatari, i cinici». Amen. Il distillato settimanale di sapienza di popolar riporto che il mitico “Corsera” ci propina a mezzo dell'altrettanto mitico sociologo riportato, sembra provenire da un coacervo di materiali di risulta, come riporto di una sociologia politica che con sollievo si proclama postliberale e postcapitalista e che trova i suoi spunti semantici più espressivi in un idioma neomilitarista, che sembra richiamare alla difesa del proprio spazio vitale tutte le Nazioni che non vogliano affogare nella morta gora della società liquida. I principi evocati sono disciplina ed ordine rispetto ed obbedienza e ricerca del più vicino caporale, pastore, buttero, campiere, massaro, capo clan, cosca, fazione, setta, congrega casta...; quale che sia, pur che con l'aiuto prezioso di un frustino (o del suo “vincastro”, così recitano i Legionari di Cristo) ci obbligherà al rientro docile nel posto e nello stabbio che ci sarà stato assegnato. E guai ai diversi,ai devianti, ai fuori ordinanza! Non c'è più margine, che diamine!
Non è solo una caduta di stile giornalistico divulgativo. È un vero nuovo volgo che si intende “richiamare”, credulo e timoroso ed ignorante quanto basta. E la petizione è sempre la stessa dei regimi illiberali: sempre più spazio al nuovo pensiero unico della crisi totale dei valori, potere ai propugnatori della loro restaurazione ed, infine, al manovratore! Con l'individuo visto come soggetto perduto,senza riferimenti, alla mercè di ogni sopruso. E preda a sua volta di ogni tentazione di sopruso.
Società solida, dura, verticale, quindi, società illiberale. La condizione ideale per l'instaurazione di una, così suddetta, società “autoritaria”, basata su rigide gerarchie e protetta da un sistema di caste. Da realizzare attraverso la restaurazione di una cultura prima ed infine di un clima “bellici”. Con la violenza ancora e sempre affannata levatrice della Storia in cui unici protagonisti rimangono i soggetti collettivi e decisivi i rapporti di forza. Basta scegliersi il nemico, disinnescare lo stato di diritto e mistificare l'uso della democrazia come quello di opportunistico mascheramento dell'eternamente mancata, impossibile, riforma.
Il Corriere della Sera ed Alberoni uniti. L'uno per garantire che ogni fatto politico relativo ai temi del rispetto e dell'estensione dei diritti umani e civili sia accuratamente emendato da ogni riferimento ad un'altra (all'“altra” si dovrebbe dire) opzione, quella Radicale della riforma necessaria, come nel caso del testamento di vita del presidente onorario della Luca Coscioni che viene “staccato” assolutamente a bella posta dalla galassia politica di riferimento e “ridotto” come si era tentato con Luca e con Piero a personaggio patetico. L'altro per costituire, assieme ad un po' di Ferrara e di Mancuso su una buona base di Ruini/Fisichella, il cataplasma che si intende spalmare sulle ferite vive di un'umanità non sociologica, ma viva e dolente. E non ancora rassegnata.
Guido Biancardi
(da Notizie radicali, 24 luglio 2008)