L’arresto di Del Turco.
Sulla vicenda che ha portato all’arresto del governatore dell’Abruzzo Ottaviano del Turco e decapitato la giunta regionale, tutti si sentono in dovere di dire la loro. Prevedibile, inevitabile, si dirà. Forse. Ma, come diceva quel tale, “un bel tacer non fu mai scritto”. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi parla di “teorema”. Non foss’altro che per il ruolo istituzionale che ricopre, dovrebbe tacere; anche perché ciclicamente promette riforme della giustizia che abortiscono puntualmente in leggine ad hoc: che poco o nulla hanno a che fare con la giustizia, e moltissimo invece con i suoi personali interessi. Parli meno e faccia di più, il presidente del Consiglio: del cui “fare”, oggi come ieri, si vede ben poco, e quel poco sarebbe meglio non averlo visto.
L’Associazione Nazionale dei Magistrati invoca maggiore “sobrietà nel giusto diritto di critica dei provvedimenti”; dia il buon esempio, e soprattutto la sobrietà la suggerisca a tanti dei suoi associati e iscritti.
C’è poi Antonio Di Pietro, i cui furori giustizialisti sono davvero qualcosa che è sempre più difficile qualificare restando nell’ambito del buon gusto. A che titolo parla, ed emette sentenze? Più di tutti, farebbe bene a tacere il capo della procura di Pescara Nicola Trifuoggi. Ha convocato ieri i giornalisti in una conferenza stampa, e motivato il provvedimento di arresto per Del Turco e gli altri inquisiti sostenendo che se non fossero stati fermati “avrebbero buttato sottoterra la sanità abruzzese”. Per questo la Guardia di Finanza ha “bussato” alla porta di casa Del Turco all’alba (alle nove del mattino la sanità abruzzese sarebbe già finita sottoterra, evidentemente), e lo ha arrestato (i domiciliari o un “semplice” avviso di garanzia, evidentemente, avrebbero pregiudicato un’inchiesta che va avanti da anni).
Ha ragione il direttore del Riformista Antonio Polito: ricorda che non è Del Turco a dover dimostrare di essere innocente ed estraneo ai fatti che gli vengono contestati, ma il contrario: sono i magistrati che devono dimostrare che Del Turco è colpevole.
Bisognerà dunque cercare di seguirla questa vicenda, e con molta, tanta attenzione. C’è molto che non convince. Non ci si unisce ai tanti che sapendo di nulla dicon di tutto. Ma l’esperienza del passato, la preoccupazione per il futuro, giustifica la diffidenza per l’inchiesta pescarese di oggi.
I fatti di Bolzaneto a Genova.
Quindici condanne e trenta assoluzioni, è la sentenza del processo sui soprusi e sulle violenze perpetrate nella caserma di Bolzaneto ai danni dei manifestanti arrestati o fermati durante il G8 di Genova nel 2001: quando la città fu devastata dai gravi disordini e scontri tra manifestanti e forze dell'ordine che culminarono con l'uccisione di Carlo Giuliani da parte di un carabiniere, e con l'incursione dei poliziotti nella scuola Diaz. I quarantacinque imputati (agenti di polizia, guardie penitenziarie, medici e infermieri) erano accusati di reati che andavano dalle lesioni ai maltrattamenti al falso. I giudici non hanno riconosciuto l'aggravante della crudeltà e dei motivi abietti assimilabili al reato di tortura. Le condanne variano tra i cinque mesi e i cinque anni, complessivamente 24 anni di carcere, contro i 76 anni, 4 mesi e 20 giorni chiesti dai pubblici ministeri. Pene che in ogni caso non saranno scontate. Si sancisce la colpevolezza, tra gli altri, dell’ispettore delle guardie penitenziarie Antonio Biagio Gugliotta (cinque anni, la condanna più pesante) in quanto responsabile della caserma di Bolzaneto; dell’allora numero due della DIGOS di Genova Alessandro Perugini. La Corte insomma ha ritenuto responsabili dei reati contestati solamente quindici imputati, assolvendone trenta.
A Bolzaneto nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, furono condotte le persone arrestate nei giorni del G8; la caserma è stata descritta dai Pubblici Ministeri come “un girone infernale”. Secondo l'accusa, sarebbero avvenuti episodi di vera e propria tortura che avrebbero violato la dignità umana e i più significativi diritti alla persona. Nella loro lunga requisitoria (circa seicento pagine), i due Pubblici Ministeri affermano che nella “caserma di Bolzaneto furono inflitte alle persone fermate almeno quattro delle cinque tecniche di interrogatorio che, secondo la Corte Europea sui diritti dell'uomo, chiamata a pronunciarsi sulla repressione dei tumulti in Irlanda negli Anni Settanta, configurano 'trattamenti inumani e degradanti'”.
Al di là dei suoi effetti concreti, la sentenza riconosce che a Bolzaneto vi fu e si consumò abuso di autorità; e si individua e riconosce la responsabilità di diversi imputati. E che in quella caserma è accaduto qualcosa di grave. Bisognerà leggere le motivazioni della sentenza, ma fin da ora questo lo si può dire senza timore di essere smentiti. Ed è qualcosa di inquietante: quella notte si è scritta una delle pagine più inquietanti e vergognose dei nostri tempi; e l’hanno scritta uomini dello Stato, persone che indossano una divisa: dovrebbero difenderci e si sono comportati da criminali. E da giovedì prossimo, una pagina ancora più inquietante e vergognosa: i Pubblici Ministeri formuleranno le richieste di condanna per la sanguinosa, e assolutamente ingiustificata, irruzione della polizia nella scuola Diaz.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 15 luglio 2008)