– Alejandro, c’è Raúl in televisione! – fa mamma dalla cucina.
– Hai detto la notizia, mamma. Speravo ci fosse Shakira…
– Non fare lo spiritoso, sono cose importanti – aggiunge mio padre.
Niente è più importante di un culo, penso. Ma non lo dico. I vecchi non approverebbero. Maledetta ipocrisia. E andiamoci a sentire Speedy Gonzales che parla, allora. Non sapevo fosse capace. Si sarà fatto scrivere il discorso dal fratello. La televisione a canali unificati riprende la seduta del Parlamento, c’è la sedia vuota di Fidel, ma soprattutto c’è Raúl che fa il presidente, novità mica da poco.
– Socialismo vuol dire giustizia sociale e uguaglianza, ma uguaglianza di diritti e opportunità, non di stipendi – dice.
Bravo Raúl, che per ora le opportunità non le ha viste nessuno, la giustizia sociale non si sa neppure cosa sia e gli stipendi sono una presa per il culo. Bravo davvero. Fidel ti ha insegnato molto, a quanto pare.
– Uguaglianza non vuol dire egualitarismo, che è una forma di sfruttamento: quella del buon lavoratore rispetto a chi non lo è, o peggio ancora, dei pigri.
Raúl sul trono del fratello mi fa un po’ ridere con quella vocina stridula e gli occhietti da cinese, con i baffetti da Speedy Gonzales e le manine che si muovono rapide. Parla di seconda rivoluzione, di cambiamento epocale, di fine dell’egualitarismo, di socialismo realista. Forse Raúl non lo sa ma noi lo viviamo da sempre così questa specie di socialismo, ché se non fossimo realisti col cazzo si sbarcherebbe il lunario. Andiamo avanti con le novità di Speedy Gonzales, allora. Telefonini, personal computer, trasporti privati, alberghi per tutti… roba grossa. Con i 500 pesos che rimedio in fondo al mese, tra un affare e l’altro, quasi tutti illeciti, riempio la casa di telefonini, se mi resta denaro compro un computer e prenoto le ferie a Varadero. Se arrivano i diritti del libro a fine anno, ci faccio persino un viaggio a Baracoa a bordo di uno Yutong nuovo di zecca. Non bastavano queste cose straordinarie, adesso si parla pure di riforma agraria. Ma non l’avevate già fatta un po’ di tempo fa con Fidel, Camilo e Che Guevara? Pare di no. I cubani sono scappati dai campi, non ne potevano più, morivano di fame, sono venuti tutti all’Avana a caccia di speranze. Nessuno coltiva più la terra, mollano tutto per la fuga verso la capitale, tirano su un llega y pon e via, qualche santo aiuterà, la città è sempre la città, qualcosa da fare si trova. Raúl s’è accorto che la gente scappa, incentiva il ritorno alla terra e assegna terreni incolti in usufrutto ai privati. Basta che producano, dice.
– Ho chiesto a Fidel di leggere il mio discorso e lui è totalmente d’accordo –, dice Speedy Gonzales.
Non ci sono divergenze. Siamo tutti realisti.
Si andrà in pensione cinque anni più tardi, per il governo è un bel risparmio, con quello che paga le pensioni, mio zio Paco ha lavorato trent’anni in una manifattura di sigari e adesso prende 100 pesos.
Gli stipendi dipenderanno dalla produttività, ché a Cuba si lavora poco, si lavora sempre meno, vorrei vedere se vi pagassero 100 pesos quanto lavorereste. Raúl taglierà pure i sussidi eccessivi, non so cosa siano, non so di cosa stia parlando, qui di eccessive ci sono soltanto le stronzate che ho sentito. E poi metteranno su un adeguato sistema di tasse e contributi, per sostenere i servizi gratuiti come Sanità e Istruzione. Se mi fanno pagare pure le tasse sto a posto, speriamo arrivino presto i soldi dall’Italia. E alla fine il discorso di sempre, stile tirate la cinghia, lui non lo sa che i buchi sono finiti, la cinghia è consumata, tra poco si rompe.
– Dobbiamo resistere alla difficile crisi internazionale che avrà effetti sull’economia cubana, soprattutto su prodotti e servizi.
Niente di nuovo sotto il sole. Il socialismo reale diventa realista. E io prima o dopo deciderò di scappare. Per adesso no. Per adesso riesco a sopravvivere. Se non è realismo questo…
Alejandro Torreguitart Ruiz
L’Avana, 12 luglio 2008
Traduzione di Gordiano Lupi