Ci fa un baffo a noi il Premio Ortega y Gasset. Noi ci s’ha il Premio Nazionale di Giornalismo José Martí e si dà a chi ci pare, guarda un po’, mica ci possiamo far condizionare la vita dai servi dell’imperialismo. Bravo Raúl, faglielo vedere che a Cuba siamo un popolo fiero e indipendente, sappiamo riconoscere i giornalisti veri, i professionisti di razza a caccia di notizie, che rischiano e denunciano, fanno inchieste scomode al potere, raccontano la vita vera e le cose che non vanno. Faglielo vedere tu, Raúl, con quella faccetta da Speedy Gonzales, tra un combattimento di galli e un film di Senel Paz, magari Fragola e cioccolato che ti piace tanto. Faglielo vedere tu, Raúl, che ti sei letto dieci volte il capitolo ottavo di Paradiso e non c’hai capito una mazza, t’avevano detto che parlava di cose interessanti, ma tu non l’hai trovate, t’è venuto sonno.
E allora mi pare giusto che si dia questo premio al miglior giornalista della storia di Cuba, al solo e unico interprete della realtà contemporanea, all’inimitabile e immarcescibile Fidel Castro. Adesso che è in pensione come capo di Stato il vecchio comandante scrive e basta, tra riflessioni e introduzioni, combatte la deriva morale d’un popolo che tira la cinghia ma non ascolta più.
Fidel è un educatore, uno che in sei decenni di potere ha formato molte generazioni di cubani, lascia stare se ogni tanto ha usato la mano dura, un buon padre deve essere severo, se gli nasce un figlio frocio lo manda nelle Umap, se fa discorsi sovversivi lo sbatte in galera, se esagera mette su un’accusa di narcotraffico e arma i plotoni di esecuzione. Tutto per il bene del popolo, certo. Non equivochiamo. C’erano ventitré candidati al premio di giornalismo, s’era presentato persino Abel Prieto con una rivisitazione de Il volo del gatto e una serie di articoli sulla deriva della letteratura cubana dopo Heredia. Fidel ha stracciato tutti. Lui ha cominciato a fare giornalismo investigativo ai tempi di Batista, ha scoperto un sacco di marachelle del vecchio dittatore, ha imparato l’arte e l’ha messa da parte. E poi, ragazzi, non ci dimentichiamo che grazie a Fidel ci sono giornali indipendenti e obiettivi come Granma e Juventud Rebelde, persino la “Tavola Rotonda” su Cubavision - capolavoro di pluralismo informativo - l’ha inventata lui. Fidel è un comunicatore nato, come Martí sostiene che il giornalismo è una spada, pure se a volte servono metodi più espliciti e silenziosi. Adesso ci sono le Riflessioni, capolavoro di giornalismo politico che resterà nella storia, etica e verità a braccetto con la vita quotidiana per educare e far ragionare i cubani. Cosa cazzo vogliono questi giovani amorali che non distinguono la destra dalla sinistra? Servi del capitale che accettano i premi dell’imperialismo. Fidel Castro è l’unico vero giornalista accreditato della Repubblica Cubana che lavora senza stancarsi per la difesa della Patria. Il Premio José Martí è l’unico vero premio di giornalismo, alla faccia di Ortega y Gasset, dei blog, dei siti internet e di tutte le diavolerie informatiche che non è facile controllare. Povero Fidel, passa il tempo, la Sierra Maestra è lontana, i ricordi affiorano, come sempre quando la fine è vicina. Voglio pensare che come un incubo di notti insonni ti torni alla memoria il vecchio Franqui, armato di valvole, fili e buona volontà, mentre s’ingegna e mette su Radio Rebelde. Ricordi per un istante che anche allora il giornalista era lui, tanto tanto Che Guevara, ma tu non hai mai scritto una parola, parlavi e basta. Povero Franqui cancellato dalla storia che non compare più nelle foto. Povero Ernesto morto in Bolivia mentre tu dicevi che non era il caso di inviare aiuti, non andavano spediti altri cubani a morire. Scherzi del tempo. Scherzi della memoria. Non farci caso. Tutto cambia, ma non tu. E io non riesco ancora a immaginare cosa sarà di noi quando te ne andrai.
Alejandro Torreguitart Ruiz
L’Avana, 6 luglio 2008
Traduzione di Gordiano Lupi