Khaled Hosseini, Il cacciatore di aquiloni
Piemme, 2004, pagg. 392, € 17,50
C'è, in questo straordinario libro dell'autore afghano Khaled Hosseini, tutta la dolcezza e tutta la ferocia dell'età dell'adolescenza.
Siamo in un Paese, l'Afghanistan appunto, ricco di contraddizioni: l'agiata vita di pochi possidenti, che procede attraverso giornate scandite da feste, ricche cene, domestici tuttofare, in ville dai marmi splendenti e giardini lussureggianti, contrasta con l'esistenza servile di etnie che rappresentano la minoranza, costrette da retaggi antichissimi ad essere per sempre considerate al pari di schiavi.
Un Paese attraversato dalla Storia, con cambi di regime, influenze di Stati invasori e colpi di stato, un Paese nonostante tutto ricco di tradizione. E di bellezza. Con università rinomate, cinematografi, consuetudini antiche e leggendarie, capaci di attribuire un bel senso di unità e d'appartenenza, come quel torneo di volo degli aquiloni, creato apposta per il divertimento dei bambini e ragazzi afghani.
Ma c'è un prima e c'è un poi, nella trama de Il cacciatore di aquiloni, e la linea di demarcazione è la presa del potere da parte dei Talebani. La loro affermazione, accolta inizialmente e per un brevissimo periodo, come possibile svolta per il risollevamento del Paese (da anni in balia di un regime comunista), si rivela invece come l'inizio della fine, imperniato com'è, l'agire dei Talebani, su fondamentalismo e Terrore. Ma non è il solo sconvolgimento che si verifica nella vita del dodicenne Amir, proveniente da una ricca famiglia pashtun: c'è un dolore che già cova in lui, lacerandolo e lasciandolo sconfitto. La fine dell'amicizia con Hassan, suo servitore hazara, splendido personaggio dalla lealtà indeffettibile. Con lui Amir è cresciuto, giocando, arrampicandosi sugli alberi, leggendogli le epiche vicende della tradizione afghana, cercando di non ricordare troppo spesso quella che per legge non scritta è l'inferiorità dell'amico: l'appartenenza ad un'altra etnia. Hassan, del resto, è fratello di latte di Amir; entrambi cresciuti senza madre, sono stati allevati dalla stessa balia, inoltre il padre di Hassan, Ali, è fraterno amico del padre di Amir, Baba e ne è anche lui fedele servitore. È un fatto tremendo a decretare per Amir il finale drammatico di questo legame: l'ennesima dimostrazione di affetto di Hassan nei suoi confronti, questa volta portata fino al sacrificio di sé. Amir si vergogna della sensazione che prova, di credere che tale fosse il destino da lasciar compiere, in nome di un interesse più grande di ogni altro: la possibilità di essere amato incondizionatamente dal padre sempre indaffarato, che sembra avere per Hassan un occhio di riguardo, facendo scattare la gelosia struggente di Amir... Ma, proprio per la fame d'amore che prova verso il grande Baba persiste in un atteggiamento di noncuranza, prima, e di vera e propria inimicizia poi, nei confronti dell'amico d'un tempo. Le vicende familiari, incalzate da quelle storico-politiche, precipitano e conducono il lettore verso l'abisso di percorsi che si perdono, orrori della guerra e mortificazioni dell'anima.
Oltre al dolore dei protagonisti, descritto in queste pagine senza nessuna concessione al pietismo ma allo stesso modo senza alcuno sconto, resta impressa la bellezza di certi personaggi, la bontà e la serenità di Hassan, lo spessore – sia pur fra mille contraddizioni (ma nella natura umana è questo che avviene) – di uomini come Baba dall'etica che non accetta compromessi e facilitazioni o come Rahim, elemento di svolta dell'unico, possibile quanto tragico, riscatto di Amir...
Hosseini scrive in prima persona, con autentica partecipazione emotiva, tanto che si ha l'impressione di una lettura autobiografica. Non lo è, pare, ma certamente è molto verosimile e realistica. Non può che portare a riflettere su quella guerra, e verosimilmente su tutti i conflitti; fermare l'attenzione su ciò che può voler dire per il popolo che la subisce, soprattutto per i bambini, per quell'anello che è il più fragile di una società, quello verso cui il mondo adulto dovrebbe rivolgere la maggior tutela e che, invece, si rivela essere il più offeso, il primo ad essere sacrificato e colpevolmente dimenticato.
Frances Piper