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Piero Cappelli: Scuola di Barbiana. Il metodo di scrittura collettiva.
Don Milani
Don Milani 
14 Agosto 2008
 

Corrispondenza con Mario Lodi. Nota introduttiva1 

 

Sulla genesi e la metodologia della “Scrittura Collettiva”, uno degli strumenti che maggiormente qualificano “la cassetta degli attrezzi” della Scuola di Barbiana, è fondamentale la corrispondenza fra Lorenzo Milani e Mario Lodi.

Mario Lodi era stato a Barbiana con Giorgio Pecorini, nell’agosto 1963. Fu subito sottoposto a una raffica di domande schiette e intransigenti da parte dei ragazzi della scuola. Poi discusse a lungo con Don Lorenzo delle tecniche didattiche che ponevano il problema della metodologia, cioè di un rapporto nuovo tra docente e discente. Lodi illustrò l’esperienza del Movimento di Cooperazione Educativa, di cui era in quegli anni uno dei massimi ispiratori. Al termine gli alunni della scuola elementare di Vho di Piadena (CR) e il loro maestro, avevano espresso ai ragazzi di Barbiana il loro desiderio di tenersi in contatto.

Milani fece una proposta: avrebbe approfondito la tematica e la documentazione del M.C.E. con i suoi alunni, e se avessero deciso, avrebbero scritto una lettera entro il primo novembre.

E il primo novembre la lettera puntuale partì.

Nella Lettera ai ragazzi di Vho di Piadena i ragazzi di Barbiana descrivono la loro scuola e le loro motivazioni a imparare. Il testo collettivo è anticipato da una lettera che don Lorenzo scrive per il loro maestro, Mario Lodi.2 Per il priore fu l'occasione per esprimere ulteriormente la tecnica dell'arte umile della scrittura collettiva.

 

Piero Cappelli

 

 

Lettera di Don Lorenzo Milani a Mario Lodi

Barbiana, 01/11/1963

 

Caro maestro,

le accludo la lettera. La ringrazio d'averci proposto quest'idea perché me ne sono trovato molto bene. Non avevo mai avuto in tanti anni di scuola una così completa e profonda occasione per studiare coi ragazzi l'arte dello scrivere.

Per noi dunque tutto bene anzi sono entusiasta della cosa.

Per voi invece temo che la lettera non vada. Lanciati a studiare il massimo di capacità di esattezza d'espressione di questi ragazzi ci siamo un po' dimenticati dell'età dei lettori. Non che non ci si pensasse, ma è successo un fenomeno curioso che non avevo previsto, ma che dopo il fatto mi spiego molto bene: la collaborazione e il lungo ripensamento hanno prodotto una lettera che pur essendo assolutamente opera di questi ragazzi e nemmeno più dei maggiori che dei minori è risultata alla fine d'una maturità che è molto superiore a quella di ognuno dei singoli autori.

Spiego la cosa così: ogni ragazzo ha un numero molto limitato di vocaboli che usa e un numero molto vasto di vocaboli che intende molto bene e di cui sa valutare i pregi ma che non gli verrebbero alla bocca facilmente.

Quando si leggono ad alta voce le 25 proposte dei singoli ragazzi accade sempre che l'uno o l'altro (e non è detto che sia dei più grandi) ha per caso azzeccato un vocabolo o un giro di frase particolarmente preciso o felice. Tutti i presenti (che pure non l'avevano saputo trovare nel momento in cui scrivevano) capiscono a colpo che il vocabolo è il migliore e vogliono che sia adottato nel testo unificato.

Ecco perché il testo ha acquistato quell'andatura e quel rigore di adulto (direi,anche di adulto che misura le parole! animale purtroppo molto raro ) . Il testo è cioè al livello culturale dell'orecchio di questi ragazzi, non al livello della loro penna o della loro bocca.

Le descrivo come abbiamo proceduto.

Primo giorno: un intero pomeriggio (5 ore) a disposizione per comporre liberamente una lettera a voi sul tema: “Perché vengo a scuola”.

Secondo giorno: un altro pomeriggio a leggere a alta voce i lavori appuntando via via su dei foglietti tutte le idee, le frasi, le espressioni particolarmente felici.

Terzo giorno: una mattinata a riordinare questi foglietti su un grande tavolo per dar loro un ordine logico. Dopo di che si stabilisce che lo schema del lavoro sarà il seguente:

 

noi

sul principio

                  i nostri genitori

                  scoperta degli ideali di questa scuola

 

ora

               debolezza nostra

               nostra risposta parziale                dei genitori

                                                      pressione ‹

                                                                         del mondo

 

Quarto giorno: un intero pomeriggio (5 ore) per rifare ognuno da sé la lettera seguendo però obbligatoriamente lo schema fissato in comune.

Quinto giorno: mattina e sera. Tutti insieme. Ognuno legge a alta voce la sua soluzione per il primo punto dello schema.

Dopo di che si stabilisce il testo comune composto sulle migliori espressioni d'ognuno. E così per gli altri punti dello schema. Questo testo risulta di 1128 vocaboli.

Sesto giorno: si detta il testo accettato perché ognuno ne abbia una copia davanti. Un intero pomeriggio ( 5 ore) in cui ognuno annota in margine ( s'è scritto su mezza pagina) le proposte di correzioni, tagli, esemplificazioni, aggiunte di concetti trascurati ecc.

Settimo giorno: mattina e sera

Ottavo giorno: mattina e sera

Nono giorno: mattina

Proposizione per proposizione ognuno dice a alta voce le correzioni che propone.

Si discutono e accettano o meno a alta voce mentre uno scrive il testo definitivo che qui vi accludiamo.

Il testo che risulta da questo lavoro è composto da 823 parole. Il testo è perciò diminuito di ben 305 parole pur essendo arricchito di molti concetti nuovi.

Il lavoro di questi ultimi tre giorni è stato entusiasmante per me e per i ragazzi. Straordinaria la possibilità, in questa fase, dei più piccoli di trovare qualche volta soluzioni migliori dei grandi. Pochissima incertezza: in genere la soluzione migliore s'impone molto evidentemente alla preferenza di tutti.

Infatti, ormai che s'era stabilito cosa volevamo dire, non restava che trovare il modo migliore di dirlo e su questo in genere non c'era molto da discutere. Esiste oggettivamente una soluzione che è migliore delle altre. In questa fase si possono studiare insieme tutti i problemi dell'arte dello scrivere: completare e semplificare. Finir di cercare quel che non si è ancor detto, cercare di dire col minimo di mezzi. Cercare di indovinare la reazione del lettore, eliminare le ripetizioni, le cacofonie, gli attributi e le relative non restrittivi, i periodi troppo lunghi ridomandandosi all'infinito se un dato concetto è vero, se è nel suo giusto valore gerarchico, se è essenziale, se il destinatario avrà gli elementi per comprenderlo, se provocherà malintesi.

A questo punto c'è venuto fatto di cercare di eliminare anche le frasi che suonavano troppo vanitose. Ma ci siamo imposti di non farlo. L'arte dello scrivere consiste nel riuscire a esprimere compiutamente quello che siamo e che pensiamo, non nel mascherarci in migliori di noi stessi. Del resto l'orgoglio di questi ragazzi l'ho coltivato io volutamente per anni. Quando ho davanti uno studente o un cittadino faccio di tutto per umiliarlo, levargli un po' di sicurezza di sé. Quando ho un contadino o un operaio cerco proprio il contrario: di dargli un po' di sicurezza di sé.

Tutto quel che ho detto in questa lettera si riferisce alla parte scritta dai più grandi, cioè i capitoli 3, 4, 5. Gli autori hanno da 12 a 16 anni (i due più grandi non hanno potuto collaborare per mancanza di tempo).

I primi due capitoli sono stati scritti più alla svelta e non sono perfettamente genuini. In questi sono stato coautore  mentre negli altri son stato quasi solo presidente. La prossima volta comunque non potremo rifare un lavoro così complesso e soprattutto così lungo. Ci limiteremo a argomenti meno impegnativi. Per es. a quel che lei ci chiederà di chiarire su questa lettera.

Un saluto affettuoso e a presto, suo

Lorenzo Milani

 

 

Lettera dei ragazzi di Barbiana ai ragazzi di Piadena

Barbiana, 1° novembre 1963

 

Cari ragazzi, questa lettera ha cinque capitoli. I ragazzi di prima media hanno preparato i primi due. I più grandi gli altri.

 

1. BARBIANA

Barbiana è sul fianco nord del monte Giovi, 470 metri sul mare.

Di qui vediamo sotto di noi tutto il Mugello che è la valle della Sieve affluente dell'Arno.

Dall'altra parte del Mugello vediamo la catena dell'Appennino.

Barbiana non è nemmeno un villaggio, è una chiesa e le case sono sparse tra i boschi e i campi.

I posti di montagna come questo sono rimasti disabitati. Se non ci fosse la nostra scuola a tener fermi i nostri genitori anche Barbiana sarebbe un deserto. In tutto ci sono rimaste 39 anime.

I nostri babbi sono contadini o operai.

La terra è molto povera perché le piogge la portano via scoprendo il sasso. L'acqua scorre via e va in pianura. Così i contadini mangiano tutti i loro raccolti e non possono vendere nulla.

Anche la vita degli operai è dura. Si levano la mattina alle cinque, fanno sette chilometri per arrivare al treno e un'ora e mezza di treno per arrivare a Firenze dove lavorano da manovali. Tornano a casa alle otto e mezzo di sera.

In molte case e anche qui a scuola manca la luce elettrica e l'acqua. La strada non c'era. L'abbiamo adattata un po' noi perché ci passi una macchina.

 

2. LA NOSTRA SCUOLA

La nostra scuola è privata.

È in due stanze della canonica più due che ci servono da officina.

D'inverno ci stiamo un po' stretti. Ma da aprile a ottobre facciamo scuola all'aperto e allora il posto non ci manca!

Ora siamo 29. Tre bambine e 26 ragazzi.

Soltanto nove hanno la famiglia nella parrocchia di Barbiana.

Altri cinque vivono ospiti di famiglie di qui perché le loro case sono troppo lontane.

Gli altri quindici sono di altre parrocchie e tornano a casa ogni giorno: chi a piedi, chi in bicicletta, chi in motorino. Qualcuno viene molto da lontano, per es. Luciano cammina nel bosco quasi due ore per venire e altrettanto per tornare.

Il più piccolo di noi ha 11 anni, il più grande 18.

I più piccoli fanno la prima media. Poi c'è una seconda e una terza industriali.

Quelli che hanno finito le industriali studiano altre lingue straniere e disegno meccanico. Le lingue sono: il francese, l'inglese, lo spagnolo e il tedesco. Francuccio che vuol fare il missionario comincia ora anche l'arabo.

L'orario è dalle otto di mattina alle sette e mezzo di sera. C'è solo una breve interruzione per mangiare. La mattina prima delle otto quelli più vicini in genere lavorano in casa loro nella stalla o a spezzare legna.

Non facciamo mai ricreazione e mai nessun gioco.

Quando c'è la neve sciamo un'ora dopo mangiato e d'estate nuotiamo un'ora in una piccola piscina che abbiamo costruito noi.

Queste non le chiamiamo ricreazioni ma materie scolastiche particolarmente appassionanti! Il priore ce le fa imparare solo perché potranno esserci utili nella vita.

I giorni di scuola sono 365 l'anno. 366 negli anni bisestili.

La domenica si distingue dagli altri giorni solo perché prendiamo la messa.

Abbiamo due stanze che chiamiamo officina. Lì impariamo a lavorare il legno e il ferro e costruiamo tutti gli oggetti che servono per la scuola.

Abbiamo 23 maestri! Perché, esclusi i sette più piccoli, tutti gli altri insegnano a quelli che sono minori di loro. Il priore insegna solo ai più grandi. Per prendere i diplomi andiamo a fare gli esami come privatisti nelle scuole di stato.

 

3. PERCHÉ VENIVAMO A SCUOLA SUL PRINCIPIO

Prima di venirci né noi né i nostri genitori sapevamo cosa fosse la scuola di Barbiana.

 

Quel che pensavamo noi

Non siamo venuti tutti per lo stesso motivo.

Per noi barbianesi la cosa era semplice: la mattina andavamo alle elementari e la sera ci toccava andare nei campi. Invidiavamo i nostri fratelli più grandi che passavano la giornata a scuola dispensati da quasi tutti i lavori. Noi sempre soli, loro sempre in compagnia. A noi ragazzi ci piace fare quel che fanno gli altri. Se tutti sono a giocare, giocare, qui dove tutti sono a studiare, studiare.

Per quelli delle altre parrocchie i motivi sono stati diversi:

Cinque siamo venuti controvoglia (Arnaldo addirittura per castigo).

All'estremo opposto due abbiamo dovuto convincere i nostri genitori che non volevano mandarci (eravamo rimasti disgustati dalle nostre scuole).

La maggioranza invece siamo venuti d'accordo coi genitori. Cinque attratti da materie scolastiche insignificanti: lo sci o il nuoto oppure solo per imitare un amico che ci veniva.

Gli altri otto perché eravamo davanti a una scelta obbligata: o scuola o lavoro. Abbiamo scelto la scuola per lavorare meno.

Comunque nessuno aveva fatto il calcolo di prendere un diploma per guadagnare domani più soldi o fare meno fatica. Un pensiero simile non ci veniva spontaneo. Se in qualcuno c'era, era per influenza dei genitori.

 

Quel che pensavano i nostri genitori

Pare invece che questi calcoli siano normali nei genitori, almeno a giudicare dai nostri.

Non ci siamo sentiti dire che: “ Bada di passare! Se passi ti fo un regalo! Se bocci ne buschi! Vuoi zappare come to pa'? Guarda quello col diploma che posto s'è fatto! ”.

A sentir loro sembrerebbe che al mondo non ci fosse che il problema di noi stessi, del denaro, di farsi strada.

Cioè sembrerebbe che ci educhino all'egoismo. Mentre invece per tante altre cose ci danno esempio di generosità: aiutano volentieri il prossimo e anche la loro cura per noi è un continuo dimenticarsi di se stessi. Spesso le loro parole non riflettono il loro vero pensiero, ripetono soltanto quel che il mondo usa dire.

 

4. PERCHÉ VENIAMO A SCUOLA ORA

A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c'è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l'anno senza pensarci. Però non li trascuriamo del tutto perché vogliamo contentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola.

Comunque ci avanza una tale abbondanza di ore che possiamo utilizzarle per approfondire le materie del programma o per studiarne di nuove più appassionanti.

Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé.

Ma ci restava da fare ancora una scoperta: anche amare il sapere può essere egoismo.

Il priore ci propone un ideale più alto: cercare il sapere solo per usarlo al servizio del prossimo, per es. dedicarci da grandi all'insegnamento, alla politica, al sindacato, all'apostolato o simili.

Per questo qui si rammentano spesso e ci si schiera sempre dalla parte dei più deboli: africani, asiatici, meridionali italiani, operai, contadini, montanari.

Ma il priore dice che non potremo far nulla per il prossimo, in nessun campo, finché non sapremo comunicare.

Perciò qui le lingue sono, come numero di ore, la materia principale.

Prima l'italiano perché sennò non si riesce a imparar nemmeno le lingue straniere.

Poi più lingue possibile, perché al mondo non ci siamo soltanto noi.

Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre.

 

5. TRA IL DIRE E IL FARE C'È DI MEZZO IL MARE

A tutti noi piacerebbe vivere oggi e per tutta la vita all'altezza di questi ideali. Però, sotto la pressione dei genitori, del mondo borghese3 e di un po' di egoismo nostro, siamo continuamente tentati a ricascare nella cura di noi stessi.

 

Nostra debolezza

Per es. uno dei più grandi, già bravissimo in matematica, passava le nottate a studiarsene dell'altra. Un altro, dopo sette anni di scuola qui, s'è voluto iscrivere a elettrotecnica.

Alcuni di noi ogni tanto son capaci di trascurare una discussione per mettersi a contemplare un motorino come ragazzi di città.

E se oltre al motorino avessimo a disposizione anche cose più stupide (come il televisore o un pallone) non possiamo garantirvi che qualcuno non avrebbe la debolezza di perderci qualche mezz'ora.

 

Pressione dei nostri genitori e del mondo

A nostra difesa però c'è che ognuno di noi è libero di lasciare la scuola in qualsiasi momento, andare a lavorare e spendere, come usa nel mondo.

Se non lo facciamo non crediate che sia per pressione dei genitori. Tutt'altro! Specialmente quelli che abbiamo già preso la licenza siamo continuamente in contrasto con la famiglia che ci spingerebbe al lavoro e a far carriera. Se diciamo in casa che vogliamo dedicare la nostra vita al servizio del prossimo, arricciano il naso, anche se magari dicono di essere comunisti.

La colpa non è loro, ma del mondo borghese in cui sono immersi anche i poveri. Quel mondo preme su di loro come loro premono su di noi.

Ma noi siamo difesi da questa scuola che abbiamo avuto, mentre loro poveretti non hanno avuto né questa né altra scuola.

 

 

1 I particolari citati sono ricavati dalla video registrazione del racconto fatto da M. Lodi alla scuola “L. Milani” di San Bonifacio (VR) nel 1989 e da Progetto Lorenzo, Edoardo Martinelli - Centro Ricerca e Formazione di Vicchio, Litografia I.P. Firenze, 1998.

2 Prima di essere inserite nella raccolta curata da Michele Gesualdi (Milano, Mondadori, 1970), le due lettere sono state edite nel fascicolo 8-9, agosto-settembre 1967, di "Cooperazione Educativa".

3 La parola “borghese” produrrà la lettera successiva della scuola di Barbiana a Lodi.


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