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Peter Brun: Il fallimento del socialismo e del capitalismo 
Per una società di vera democrazia, trasparenza e giustizia sociale, una risposta neo-democratica e riformatrice
05 Agosto 2008
 

«Fra tutte le leggi che reggono la società umana, ve ne è una che appare più chiara e precisa di tutte le altre: perché gli uomini restino civili o lo divengano, bisogna che l’arte di associarsi si sviluppi e si perfezioni presso di loro nello stesso rapporto con cui si accresce l’eguaglianza delle condizioni».

Alexis de Tocqueville, 1840

 

 

Quando Davos e Washington evidenziano un calo d’immagine del movimento protestatario anticapitalista rispetto a Seattle, come se dovesse mancare un po’ di carattere e di consistenza politica, oggi invece a Edimburgo una marea umana ha chiesto al G8 di ‘consegnare la povertà alla sotria’. Dall’altra, i rappresentanti degli stati e delle organizzazioni economico-finanziarie mondiali dell’Occidente, si sentivano e sembravano sicuri di se stessi, ma poi gli è bastato così poco per entrare in crisi ed evidenziare un vuoto di sicurezze e di identità che nessuno avrebbe messo in dubbio.

Ma una domanda nasce spontanea: perché questa protesta è così svincolata dall’area della sinistra internazionale?

Perché nonostante la grande vittoria contro il comunismo tutto ciò non infonde nel mondo dell’area ‘conservatrice’ quella speranza verso il futuro, ma apre notevoli dubbi ?

Siamo oramai ad un giro di boa mondiale che non lascia spazio a nessuno. Il capitalismo ha portato avanti una conquista senza quartiere tanto da lasciare sulla sua strada oltre alle conquiste anche segni di rovine che stanno sempre uscendo fuori. Ovunque. E oggi, che ci stiamo tutti guardando alle spalle, vediamo che oltre ai successi della scienza e della tecnica come del mercato, si apre una desolante prateria dove crescono numerosi segni di contraddizione. E ciò avviene mentre la locomotiva a ‘stelle e a strisce’ continua a mietere traguardi economici che sembrano nascondere, come per un iceberg, le crisi di un post-trionfo sul resto del mondo. I dati della globalizzazione ci sono tutti, in avere come in dare, ma spesso questi ultimi vengono racchiusi sotto spirito sperando non solo di nasconderli ma anche di bloccarli nella crescita. Gli altri invece sono nutriti di parole di speranza per tutti e specialmente per i più poveri del mondo: “la globalizzazione credeteci, vi salverà!”. Come ha salvato a parole l’Unione Sovietica dopo la fine della Guerra fredda lasciandole però ad oggi in povertà ben 150 milioni di cittadini dei 290. Infatti i dati degli Usa sembrano un ‘sogno’ se visti dall’Europa, ma sono una triste ‘realtà’ se visti in terra d’America: 1% più ricco della popolazione americana, 2.700.000 persone, ha avuto nel 1999 lo stesso reddito netto complessivo del 38% più povero, 100.000.000 di persone! Il motivo? Semplice. Nell’ultimo ventennio del ‘miracolo’ americano, grazie a Reagan e a Clinton, il reddito di questo 1% super-ricco è salito del 115% in termini reali, mentre quello dei meno abbienti è sceso del 9%!. Questo è il classico esempio del mondo diviso in due: il nord che comprende solo il 32% dell’umanità, consuma il 75% del pianeta, ne possiede l’88%, ne manovra l’80%, ha in mano il 93% e ne dirige il 99%; vige una cultura dell’avere, una cosificazione delle persone, consumismo e individualismo; si perde spesso il senso della vita e si danneggia la natura con l’inquinamento. Ed è ancora il nord che con un investimento di 1.000.000.000.000 di $ all’anno, strappato alle necessità del sociale, della cultura, della sanità e dell’educazione, investe nelle spese militari mentre negli ultimi dieci anni i tassi di disoccupazione sia tra i membri del G7 e quelli dell’U.E. sono rimasti per lo più costanti: 6,7% i primi e 10,4 i secondi. Cioè nessun progresso sul fronte dell’occupazione: come se la macchina del sistema capitalista abbia girato solo per mantenersi tale senza nessun progresso nell’incrementare posti di lavoro ai propri cittadini.

Invece il Sud del mondo è il 66% dell’umanità sulla terra, consuma il 25% delle risorse, produce il 12% del prodotto mondiale lordo, il 20% del commercio e investimenti, mentre l’industria è al 7% e la ricerca scientifica all’1%. Il suo saldo più alto è quello della ‘strage’ di morti: 80.000.000 di persone ogni anno per fame, malattie, perché denutrite. 150 guerre locali negli ultimi 50 anni con circa 20.000.000 di morti compreso torture e desaparecidos. E di fronte a dati come questi, meraviglia moltissimo che esponenti del nostro mondo giornalistico parlino oramai come degli incantatori di serpenti, più americanizzati degli americani. E se questa è una visione americana, dove i mass media sono per lo più posseduti e manovrati dalle multinazionali d’Occidente, dall’altra Seattle e Davos sembrano essere due momenti fondamentali della protesta internazionale svincolata dalle centrali politico-partitiche delle sinistre a livello internazionali. Perché? In realtà dopo la fine del Muro e il mea culpa dei compagni comunisti di molte parti del mondo, eccetto alcune eccezioni anche rivisitate e pseudo-aggiornate, di fatto nessuno ha voluto ripensare ad una nuova proposta economica neo marxista, o di sinistra che si voglia, tale da rilanciare un’alternativa di sistema globale al capitalismo. Il comunismo ha dato forfait dopo il suo fallimento economico e politico incarnato nei regimi del cosiddetto socialismo-reale. Invece il socialismo democratico e riformatore ha cantato vittoria perché ha visto tornare a Canossa proprio i fratelli comunisti. Ma quale vittoria possono mai cantare oggi tutti questi compagni sotto la stessa bandiera dell’Internazionale socialista? Nessuna. Perché questa non è una vittoria anche se riescono a governare in molti paesi nel mondo. Di fatto è inutile mettere insieme Clinton, Blair, Jospin, D’Alema, Amato, Cardoso, Schroeder quando già il giorno prima e poi quello dopo, l’uno non trova sintonia e coordinamento con l’altro sulle iniziative economiche, su una linea univoca, su dei principi che possano far condurre una battaglia civile per un’alternativa al capitalismo: sono tutte esperienze positive da non confondere assolutamente con quelle delle forze conservatrici e di destra, ma è sufficiente andare avanti così sparpagliati e senza una regia generale che guidi, al di là della particolarità nazionale, ad un sistema di maggiore libertà, uguaglianza e solidarietà? Ecco la proposta Veltroni di far guidare un neo-schieramento progressista a Clinton… (sic!)… Non si parla di un manifesto politico, ma di una teoria economica da proporre al mondo. Perché di fatto il discorso è tutto qui: il problema non è vincere le elezioni, ma è cosa fare di nuovo in ogni paese in un raccordo con una politica economica comune alternativa a quella che ora domina il pianeta proprio per far sì che cambi il risultato: non la vittoria dell’economia sulle persone ma delle persone sulle cose. Ciò avviene perché i neo-compagni del riformismo internazionalista non hanno una proposta economica da sviluppare, ma solo quella di voler riformare il capitalismo cercando di coniugarlo con lo stato sociale in un equilibrismo così instabile da dover costantemente intervenire e infine snaturare anche il senso del proprio riformismo che diventa piano piano mero immobilismo moderato. Nessuno vuole oramai la rivoluzione, nemmeno più la Cina, ma progettare una ‘terza via economica’ questo sì. E se non sarà così si rischierà ciò che sta già avvenendo e cioè che il capitalismo, con la globalizzazione economica, farà perdere completamente alle istituzioni politiche democratiche il controllo del nostro mondo: il potere reale dell’economia prevale e prevarrà sempre di più su tutto, tanto da poter più modificare tale struttura se non in coincidenza di una grave crisi di ordine socio-politico-ambientale. Quindi anche la stessa ortoprassi della democrazia dovrà essere rivista proprio alla luce di questa situazione di passaggio in cui sia l’identità che l’azione risultano smarrite e senza riferimenti. Vediamo come tutte le iniziative delle organizzazioni economiche mondiali a partire dall’accordo multilaterale sugli investimenti (A.M.I.), e cioè la libertà delle aziende multinazionali di non avere alcun vincolo in barba alle leggi dei vari Paesi, trovano sempre più sistemi di applicazione. E di fronte a questo potere imperante dell’economia su tutti i fronti, gli stessi cittadini Usa (è un’ulteriore lettura oltre alla crisi della politica, dei partiti e della democrazia rappresentativa...), si sono rassegnati, così come quelli inglesi e non solo, tanto da andare a votare se non al di sotto del 50%. E su questa china stiamo scivolando pure noi. Non ci sono più leggi che riescono a bloccare e disciplinare il potere legale, illegale e dilagante della finanza e dell’economia che giorno per giorno vanno sempre più avanti nella raffinatezza dei sistemi di penetrazione e di spazi di dominio e di nuove conquiste. E mentre avviene ciò le forze politiche di molti stati, compreso il nostro, (lo afferma oramai da molto tempo lo stesso Darendhorf...) non riescono a rigenerarsi e a riformare le istituzioni per meglio adeguarle, oramai trascinati, dal contesto socio-economico. E se i nostri socialdemocratici di oggi non risponderanno in forma e qualità propositiva, coordinata e alternativa a quanto praticato dalle diverse forme dell’attuale ‘capitalismo-in-continuo-divenire’, proponendo ai cittadini del mondo di governare in maniera globale il loro presente e il loro futuro, chissà cosa rischieremo a breve a partire dai disastri ambientali a quelli socio-politici. La rinuncia a ridare al mondo dei meno abbienti, dei poveri, a quel quarto stato, e alle classi degli sfruttati una speranza di pacifico e democratico riscatto in un ambiente sano e vivibile, significa lasciare che la protesta rimanga fuori dai canali della politica dei governi e dei partiti e quindi assistere sempre più a un’inondazione di manifestazioni che diverranno incontrollabili e molto più forti di Seattle, Davos e Washington. Un altro preoccupante segnale in questa direzione, che i media italiani non hanno segnalato, è quanto sta accadendo anche in America del sud dove si stanno aggregando forze e movimenti dal basso, oramai stanchi di subire ogni sorta di ingiustizie sociali e politiche, per discutere e confrontarsi sulla loro situazione comune. E proprio in una di queste occasioni, quale quella avvenuta in Brasile lo scorso dicembre nel V° seminario internazionale di “Amrica Livre”, che si è notato come si stia verificando una situazione paradossale in cui lo stesso sistema così antipopolare come l’attuale riesca non solo a dominare ma anche a farsi legittimare proprio dal consenso popolare grazie al controllo dei mezzi di comunicazione che non lasciano penetrare le voci critiche del sistema. Sistema che riesce a snaturare le forze e i partiti della sinistra sia nella loro identità, sia illudendoli di lasciargli conquistare il potere reale e voler cambiare il mondo con un nuovo sistema. Ma questo le forze politiche delle sinistre non lo riescono a capire. Dovremmo attendere che un giorno o l’altro questa marea di persone reagisca in forme incontrollate ad un capitalismo che promette a tutti libertà e ricchezza ma poi dà molto del suo contrario e ad un socialismo che promette un capitalismo più umano ma poi è succube del sistema economico? Di fatto oggi  siamo meno ricchi e meno liberi sia da una migliore vita che da un nuovo modo di essere governati. E non tanto perché la globalizzazione non ha ricevuto una piena realizzazione, quanto perché la logica della sopraffazione, dell’uno sull’altro in termini economici e di potere, in virtù della società del profitto, sta sempre più imperando. E se questo è il principio immaginiamoci le conseguenze ulteriori, visto che già alcune di queste si sono oramai abbattute sul nostro mondo grazie anche alle nostre disponibilità a questo successo.

Il sociologo Anthony Giddens dice: «Non vedo emergere una filosofia coerente per affrontare il mondo del rischio e la crisi democratica delle democrazie al di fuori dello sforzo di realtà della nuova sinistra, della sua presa d’atto di quanto è cambiato nel mondo. Voi la vedete?»

 

Peter Brun


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