Sono stata a lungo a pensare a cosa dedicare il nono discorso amoroso, indecisa se fosse meglio affrontare l’argomento sessuale o parlare del matrimonio.
Stanotte distesa sul letto ancora ondeggiavo tra il fatto e l’intento, la carne e lo spirito, la natura e il diritto. Stanotte con gli occhi aperti sul buio, d’un tratto l’illuminazione.
Non parlerò dell’uno o dell’altro, ma di entrambi nello stesso tempo, snocciolando un discorso amoroso tra l’idealista e il romantico, cercando di dare ad esso un ordine ed un senso in una serie di articoli, a partire dal presente, sul sesso e il matrimonio, sul sesso dentro e fuori il matrimonio, sulla possibile o impossibile unicità del rapporto coniugale, sul tradimento.
Consapevole tuttavia del rischio di inseguire chimere.
Penso ad esempio che un trasporto amoroso profondo che nell’impeto trova l’incontro, nella carne realizza nel contempo l’atto e il concetto. La coniugio che è unione, che è rapporto di coppia, è relazione, compenetrazione, volontà di fusione. Perché c’è anche, e non oso dire che non ci dovrebbe essere, un rapporto sessuale come risposta ad una viscerale voglia spogliata d’amore, come un bere o mangiare, un darsi da fare, soddisfare, competere, collezionare, ma esso diventa soltanto soddisfazione di un bisogno. Mero esercizio liberatorio, impasto di carni, umore e piacere. E certo non è poco. C’è perché non ci potrebbe non essere sesso senza amore, perché è vero che l’uomo in quanto essere pensante, capace di autocontrollo e di crearsi sovrastrutture etiche, regole morali, mentalmente delimitanti, coercitive o frustranti, è altrettanto capace di prescinderne, aggirarle, scrollandosi allegramente di dosso anche i vincoli dello ius naturale; egli è per ciò stesso brillantemente in grado di scindere i due aspetti: amare col cuore, amare col corpo.
Eppure avulso dal rapporto d’amore, il sesso perde lo smalto, il giro di vite, la contorsione mentale, perde quel quid di coinvolgente d’anima oltre l’essere animale.
C’è chi dice che non c’è niente che valga quanto fare sesso senza complicazioni sentimentali, eppure non si può non credere che all’inverso sia impagabile potersi incontrare, congiungere con l’essere massimamente amato e desiderato. Parlando di coniugio (dall’etimo latino iungo cum unisco con) intendo l’uno e l’altro aspetto di un incontro senso sentimentale, che oltre l’innamoramento o la passione di cui ho detto in precedenti discorsi realizza l’ulteriore momento d’unione fisica, nient’altro che specchio di un desiderio mentale, concreta realizzazione di un trasporto verso chi s’ama, che pervade, si riversa nell’altro, lo attrae, lo possiede.
Un piacere di unirsi che è arricchito di significati profondi che si sostanziano nelle reciproche promesse di sostegno morale, materiale, esclusività del rapporto, nell’intento intimo e dichiarato di convivenza, confidenza e relazione sessuale stabile, ed, a coronamento, di rendere viva questa unione nella prosecuzione della vita: generando figli.
In questi casi, quando vi sia quest’animus, al di là delle convenzioni sociali, delle etichette del diritto e delle morali religiose, quei due esseri sono coppia, sono sposi, sono forza e sostegno mura e fondamento, svettano e sprofondano si piegano e resistono, cadono e si rialzano, camminano, corrono. E nel tempo resistendo, costruiscono perché si amano e l’amore non è solo quell’intenso darsi e cercarsi del primo innamoramento, l’amore di coppia stabile duraturo, quello che regge alle tempeste è un passo dopo l’altro, mattone su mattone una bellissima costruzione, che non è bella mentre si costruisce - perché le bollette delle utenze, i figli che strepitano, i panni da lavare, giorno dopo giorno, sono davvero mattoni pesanti, ed è impegno ed è fatica - ma è bella quando ad un certo momento, voltandosi indietro, si vede la strada percorsa, i semi seminati, i fiori sbocciati, i frutti sul ramo. Quando, lasciato alle spalle “l’amore che strappa i capelli”, il sentimento che unisce è delicato e profondo, tenero e tenace, fatto di sguardi che basta un secondo. Quando ci si accorge che il collante non è più il desiderio ma la stima, quell’apprezzare l’altro come preziosa, insostituibile presenza nell’esistenza, quando guardando le rughe incipienti sul volto, quelle che il tempo ha scavato di traverso sulla fronte, si ricorda ogni avventura e dolore e emozione condivisa che ha tracciato quei segni ed è un ricordo comune che addolcisce il passato e lo rende più caro, e conforta la prospettiva di un futuro di vecchiaia che sembra meno triste solo perché lo si potrà vivere insieme. Tenendosi per mano.
Non so quanti si potranno riconoscere in questo ritratto di coppia, spero siano tanti, di certo c’è che tanti o pochi che siano, sono esseri fortunati ai quali la vita ha donato qualcosa di grande: il vero amore.
Permettetemi di chiudere con Montale, con una sua tenerissima poesia dedicata alla moglie, alla grande nostalgia di non averla più accanto, che ben rappresenta in pochi versi quanto ho cercato di dire nelle tante parole di questo discorso.
Ho sceso dandoti il braccio
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
da Satura, Eugenio Montale
Alivento
Alivento è presente nell'annuario TELLUS 29 "Febbre d'amore. Stendhal + Web" come curatrice dell'antologia "In versi d'amore".