Non gli è mai andata giù di non essere stato invitato alla festa dei 100 anni di vita del Milan, ma con il consueto stile ha glissato. Luigi Bonizzoni, detto Cina, di professione allenatore di calcio, è stato sempre un gentiluomo. Dava del lei ai suoi giocatori Cina, ma sapeva costruire fortissime amicizie, come quella, poi durata nel tempo, con il fuoriclasse uruguagio Juan Alberto Pepe Schiaffino, già campione del mondo ‘50 con la sua Nazionale al Maracanà di Rio, facendo sprofondare la gente brasiliana in uno psicodramma collettivo. Bonizzoni conserva ancora le lettere che dal lontano paese sud-americano uno dei giocatori più classici di tutti i tempi gli spediva.
Bonizzoni, classe ‘19, ha attraversato i mari dell’avventura calcistica scoprendo varie isole del tesoro, come lo scudetto rossonero ‘59 o il lancio di Dino Zoff, in divisa udinese, nella massima divisione. Un curriculum vitae completato da Magenta, Monza, Crema, Brescia, Palermo, Como, Atalanta, Marsala, Genoa, Mantova, selezioni nazionali e Interlega. Bonizzoni è stato anche osservatore azzurro, abilissimo e fedele collaboratore per lunghi anni del Centro Federale di Coverciano, prolifico scrittore di libri su ruoli, tecniche e tattiche del gioco, testi tradotti in tutto il mondo, Cina compresa, nonché, dulcis in fundo, il primo allenatore della Nazionale italiana cantanti.
Bonizzoni ha conosciuto tutti e visto tutti: «Meazza è stato il più grande» ricorda. «Era capace di qualsiasi prodezza, non aveva punti deboli: ambidestro, forte nello scatto, di testa, nel dribbling, con cui poteva partire da centrocampo saltando ogni difensore e andando in porta». Detto da uno che aveva cominciato la sua carriera calcistica come giocatore nei ranghi delle giovanili milaniste! «Sì, ero meazzista», ancora proclama.
Sugli altari del dio pallone si bruciano idoli con impressionante rapidità: chi fra gli stessi addetti ai lavori ricorda quest’allenatore galantuomo, amico d’infanzia di Gianni Brera, con cui tirava calci a un pallone sui prati di una Milano che non c’è più?
«Ero grande amico anche di Giovanni Ferrari, bicampione del mondo ’34 e ’38» prosegue nella sua rievocazione. «Guardi lì alla parete».
Sul muro campeggia, sotto vetro, un pezzo di maglia azzurra del campionissimo alessandrino, un cimelio commovente, un altro tempo che riemerge prepotente, con il dolce sapore della nostalgia. Bonizzoni estrae da alcune scatole le foto di una vita; scorrono volti e nomi: Valentino e Sandro Mazzola, Gianni Rivera...
«Ebbi la fortuna di assistere al suo provino in rossonero: giocava con la stessa classe di Schiaffino, non si riuscivano neppure a distinguere i due quel giorno, e Rivera aveva appena 16 anni! Pioveva a dirotto quando lo provammo; eravamo ai bordi del campo d’allenamento milanista, nei pressi di Linate»... Giampiero Boniperti, Gunnar Nordahl, il centravanti dalla potenza squassante e il cuore d’oro... «In una fase di gioco colpì involontariamente il portiere dell’Atalanta Boccardo, procurandogli una vastissima ferita al volto che richiese molti punti di sutura. Si mise ai bordi del campo, piangente, e non volle più giocare»... Alfredo Di Stefano, Gianni Agnelli, Omar Sivori, John Charles, tutto il gotha agonistico, tecnico e dirigenziale del football italiano e internazionale si muove per le foto attraverso le mani di Luigi Cina Bonizzoni...
Vale la pena di raccontare un aneddoto che la dice lunga sull’onestà della persona: «Il gerarca Farinacci mi voleva nella Cremonese – giocavo ancora – squadra della sua città. Mi diede 50.000 lire da versare alla Pro Vercelli per svincolarmi. Io contrattai con il presidente dei piemontesi, che mi liberò gratuitamente dandomi anche 2.000 lire degli ultimi stipendi. Tornai a Cremona e restituii 48.000 lire a Farinacci, il quale mi disse... Non deve valere molto lei come giocatore se è costato solo 2.000 lire!».
Che cosa pensa del calcio attuale?
«Ci sono troppi stranieri in campo e nelle rose e tolgono il posto ai nostri: un problema anche per la Nazionale. Trovo pure che manchino il fair play e l’educazione in campo. Per esempio, io non sopporto proprio il vizio di sputare».
Per chiudere quest’articolo, lei, rossonero antico, che vuol dirci del Milan di oggi?
«Non riesco a capire perché Ancelotti sia sempre sotto accusa».
Alberto Figliolia