Arrivano dopo un viaggio infernale, quando arrivano; alle loro spalle si lasciano un altro inferno, fatto di guerra, violenza, fame, miseria. Nel 2007 dei poco meno di ventimila immigrati sbarcati in Italia, il 35 per cento circa ha chiesto asilo politico. La portavoce dell’Unhcr per l’Italia Laura Boldrini dice che oggi i profughi non arrivano più dai Balcani, come accadeva dieci anni fa: «La rotta di chi scappa in Italia dall’Irak o dall’Afghanistan, passa dalla Grecia e dalla Turchia. Se nel 2006 i rifugiati sbarcati sulle isole dell’Egeo erano 3500, nel 2007 sono saliti a 13mila».
Arrivano dopo aver pagato un “biglietto” di circa duemila euro, e questo solo per aver la possibilità di partire. Viaggiano legati sotto i TIR, nascosti tra le casse dei pomodori, oppure a bordo di legni di potrebbero trasportare trenta persone e si ammassano in 150. Spesso fanno naufragio, come è accaduto l’altro giorno al largo di Malta: in tre non ce l’hanno fatta, sono morti annegati. Una delle rotte più frequentate è quella Libia-Sicilia, oppure Algeria-Sardegna. Li chiamano “immigrati-economici”, nel 2007 ne sono arrivati, a bordo di piccole imbarcazioni, circa 1.500. Costellata di morti è la rotta che parte dalla Somalia e approda allo Yemen e poi verso l’Italia: «L’anno scorso, uno su 20 dei 29.500 profughi è morto, mentre nel 2008 i dispersi sono stati 400 su 18mila», dice la Boldrini. E siamo solo a giugno. Il “biglietto” varia dai 130 ai 150 dollari. Per non farsi intercettare gli scafisti spesso costringono i loro “passeggeri” a buttarsi in mare aperto, e lì annegano o sono divorati dagli squali.
Quando arrivano in Italia, la beffa: spesso sono respinti, rimandati in Grecia; nel frattempo le loro domande sono scadute: si calcola che solo una media dell’1 per cento sia accolta. Per questo motivo L’Unhcr chiede ai governi europei di non rinviare i rifugiati in Grecia, e di applicare il regolamento di Dublino, che indica nel primo paese d’ingresso quello competente per l’esame della domanda d’asilo.
C’è un dovere alla solidarietà che troppe volte viene dimenticato, e al riguardo, le recenti parole del cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi hanno valore sia per i credenti che per i laici: «Non speculiamo sulla paura… Non è mio compito promuovere o bocciare le leggi dello Stato… ma non sempre guardando dalla finestra del mio studio vedo il cuore della mia città. Molto più spesso vedo piazza Duomo come il teatro in cui tante, troppe solitudini si sfiorano…». Dev’essere per questo “dire” che Tettamanzi, al pari di Martini, è meno “popolare” di Bertone o di Ruini.
E dev’essere per questo che non ci è accaduto di leggere molte segnalazioni al bel libro di Beda Romano, corrispondente da Francoforte del Sole 24 Ore: Misto Europa. Immigrati e nuove società, un viaggio nel Vecchio Continente (Longanesi, 14,60 euro). È un accurato reportage che condensa due anni di ricerche, interviste, analisi per cercare di capire come l’Europa si sta trasformando in seguito all’ondata di immigrati. «Ondata», annota Romano, che oltre alle inevitabili tensioni e paure, ha influenzato i nostri costumi e le nostre abitudini: «una benefica ondata di aria fresca per un continente troppo spesso rivolto al passato». Romano fa sua la riflessione del professor Paul Lazear, della Stanford University: «Gli immigrati, portando con sé lingue, tradizioni ed esperienze diverse accrescono la creatività del paese in cui mettono radici… sangue nuovo in una Europa afflitta da una grave crisi demografica, costretta ad affrontare una costante contrazione della popolazione in età lavorativa e i conseguenti riflessi sul welfare state».
Secondo uno studio della Caixa Catalunya e dell’università di Barcellona, l’Unione nel 2030 avrà un “rosso” di circa venti milioni di lavoratori, se il tasso di natalità resterà agli attuali livelli. L’economia spagnola, senza l’arrivo di circa tre milioni e mezzo di lavoratori stranieri tra il 1995 e il 2005 avrebbe avuto una contrazione dello 0,6 per cento l’anno, anziché registrare un incremento del 2,6 per cento. Per quel che riguarda l’Italia, il recente rapporto della Caritas certifica che nel 2007 gli immigrati hanno inciso per il 6,1 per cento sul prodotto interno lordo; il loro lavoro si traduce in circa due miliardi di euro di tasse. Tra «impronte, farfalle, tuguri tra panama e saturni», come opportunamente ha osservato Francesco Pullia su Notizie Radicali dell’altro giorno, varrebbe la pena di tener presenti anche questi dati e queste realtà. Il libro di Beda Romano sarebbe una utile, necessaria lettura per i nostri parlamentari. Proprio per questo la ignoreranno.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 27 giugno 2008)