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L'Inter per me... di Luca Camurri
27 Giugno 2008
 

«Mi è piaciuto molto La Certosa di Parma, ma, per motivi calcistici, non riesco a leggere l'altro grande romanzo di Stendhal».

(M. Bottoni, Yogurt e limone)

 

 

Festuca è il nome comune di alcune, non poche, piante appartenenti alla famiglia delle Graminacee. Ed è anche il nome di una casa editrice (www.festucaeditore.it) fondata da Luca Camurri, poeta che, se non ha lasciato ancora l'orma sul viale delle celebrità, è ciò non di meno un validissimo autore. Si sa, del resto, che in certe cose bisogna essere anche fortunati o avere gli appoggi giusti o... Il nostro Luca è tuttavia intraprendente, oltre che abile e profondo versificatore – secco ed essenziale il suo dire poetico, incisivo e paradigmatico – al punto da decidere di volersi fare una casa editrice: piccola invero, ma assolutamente dignitosa. Dopodiché, seguendo il filo dell'altra sua grande passione, ha creato una collana di sport, nella quale sono stati già inseriti due titoli: L'Inter per me... e Perché il Genoa è il Genoa! Di quest'ultimo è autore Giorgio Foresti, dell'altro lo stesso Camurri.

L'Inter per me... è, a dispetto della sua semplicità, anzi proprio per questo, un bel testo: agile e ben scritto, breve (95 pagine) ma, a suo modo, esauriente, un libro dove si naviga a vista di ricordi e di suggestioni, come ben suggeriscono i titoli dei vari capitoli: Il grande poster; Boninsegna, il primo idolo; La figurina di Jair; I rinvii di Burgnich e i lanci di Suarez; Una malattia chiamata tifo; Corso, Beccalossi e Recoba; Gli interisti mancati; Appuntamento in Piazza Duomo et cetera.

Peraltro assai interessante sarebbe sapere e capire perché la maggior parte dei poeti sceglie il tifo per l'Inter – forse per la vena un po' folle e surreale dei colori nerazzurri o forse per la classe un po' stralunata e quasi arcana di tanti suoi giocatori del passato più o meno remoto o recente, quali il milanesissimo Cevenini III detto Zizì, l'olandese volante e dalla palla incollata al piede Wilkes, l'onirico svedese Skoglund, il vulcanico Lorenzi, l'immenso Peppino Meazza, il più grande di tutti, o forse... –, l'unica e quanto mai splendida eccezione pare il Franco Loi milanista. Luca Camurri appartiene dunque alla schiera dei poeti interisti e svuota il suo meraviglioso carico di nostalgia nelle pagine che corrono veloci, dallo spietato e avventuroso, ma non avventuristico, fiuto del gol del monatto mantovano Roberto Boninsegna – uno che è stato un idolo per tantissimi fra i Sessanta e i Settanta, un centravanti che non aveva paura né di stopper furiosi né del diavolo, un attaccante che sapeva andare in cielo, di testa, in rovesciata, in ogni modo, arrembante e generoso. Un grande, insomma – al gigantesco, per i tempi, Giacinto Facchetti – 188 cm di talento atletico e tecnico, campione di stile e di generosità, leale e ferale quando da terzino mutava in attaccante: per lui 94 presenze in Nazionale di cui 70 (record assoluto) con la fascia da capitano, 4 scudetti e 1 Coppa Italia, 2 Coppe dei Campioni e 2 Intercontinentali, 59 centri in 476 partite di campionato, e tutte con l'Inter (era ancora il calcio delle bandiere e non quello dei mercenari e dei contratti iperbolici e ipertrofici), di cui era pure divenuto presidente. Il compianto Giacinto, che ci ha lasciati a soli 63 anni, lui che sembrava invincibile e inscalfibile... «Il pomeriggio delle esequie, io ho chiesto un permesso al lavoro per essere presente. Era una giornata afosissima di inizio settembre, e, fuori della Basilica di S. Ambrogio, dei volontari distribuivano bottigliette d'acqua alle persone convenute. Sebbene io sia arrivato un'ora e mezza prima dell'inizio della funzione religiosa, non sono assolutamente riuscito ad entrare nella Chiesa, tanta era la folla accorsa; sono rimasto, così, nel Quadriportico di Ansperto, anche questo affollatissimo», è il commosso ricordo di Luca Camurri.

Con degne e riuscitissime pennellate Camurri evoca un mondo di giocatori di un'epoca ricchissima di fascino, quando il calcio aveva una dimensione meno televisiva ma molto più epica e poetica: i lanci di 30 metri di Suarez; gli scatti di Jair; Sandro Mazzola, il figlio di Valentino, capitano del Grande Torino; Sarti, il portiere di ghiaccio; Tagnin, che annulla Di Stefano nella finale di Coppa dei Campioni del 1964, al Prater di Vienna, la conclusione dell'epopea madridista e l'inizio di quella nerazzurra con due gol del fulmineo e fantasioso Sandro; Picchi, il primo libero della storia del calcio, capitano coraggioso, una storia immaginifica fra Livorno e Milano, prima che un male incurabile lo stroncasse in ancora giovane età; Corso, e le punizioni “a foglia morta”; Peirò, e il rocambolesco e rapinoso gol in una rimonta di semifinale contro il Liverpool; Bedin, il degno erede di Tagnin; i cartelli, infine, appesi da Helenio Herrera – il mitico H.H. – negli spogliatoi per motivare i calciatori. E ancora Spillo Altobelli, 128 gol in 317 gare in nerazzurro, e il velocissimo Carletto Muraro, Oriali e la sua vita da mediano, Lothar Matthaeus e il grandissimo e squassante, anche se rotto e acciaccato, Kalle Rummenigge, Serena, Deltaplano Zenga e lo Zio Bergomi, campione del mondo a neanche 19 anni nella dorata all'occaso Madrid, anno Domini 1982. Sino al presente targato Javier Zanetti, Esteban Cambiasso e Zlatan Ibracadabra Ibrahimovic.

Un libro sull'Inter meglio di tanti altri acclamati: spontaneo, lirico, curato e accurato. Un libro che costituisce una licenza dalla poesia per una fra le voci più interessanti del relativo panorama nostrano e un atto di amore verso una squadra dalla storia centenaria che ha fatto sognare innumerevoli generazioni di appassionati.

 

Alberto Figliolia


 
 
 
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