Non certo a caso “Napoli Teatro Festival Italia” ha voluto che uno tra i suoi più interessanti appuntamenti a carattere internazionale si svolgesse al Diana. S’è trattato senz’altro di un meritorio riconoscimento rivolto allo storico teatro vomerese che assieme all’Augusteo è al secondo posto tra i teatri italiani che hanno registrato il maggior numero di spettatori.
Un pubblico colto e interessato ha così assistito al Rendez-vous chez Nino Rota, con a protagonista Mauro Gioia che da tempo ripercorre i passi e le tracce poetiche di questo vero e proprio “canzoniere” dei nostri tempi esplorando l’incantato labirinto della musica del grande compositore.
A coadiuvare l’istrione in maniera egregia, erano con lui in scena Maria de Medeiros, Martirio, Misia e Catherine Ringer. Lo spettacolo nel suo garbato testo, convoca lo spettatore a un rendez-vous a casa dell’«Amico Magico», come Fellini chiamava l’inseparabile musicista e arcano incantatore.
I fantasiosi accordi di Nino Rota, le parole e le note del suo canzoniere, compongono il sortilegio “orchestrato” da Mauro Gioia, che fa apparire – per la prima volta insieme sul palcoscenico – quattro straordinarie donne di spettacolo, e si riverbera nelle loro voci. Maria de Medeiros, Martirio, Misia, Catherine Ringer. Tutte costoro sono senz’altro fra le più grandi e singolari interpreti del nostro tempo, sono le sirene di un salotto elegante, ciascuna il volto di una diversa musica-donna.
Misia, con la sua voce liquida, sposa la malinconia del Fado alla tenerezza di “An Amarcord”, muta il dolore in dolce struggimento. Maria De Medeiros, con impertinenza e humour trascinanti, lancia in “La pappa col pomodoro!” il grido capriccioso e ribelle di tutti gli enfants terribles. La voce erotica e notturna di Martirio imbeve della frenesia della movida madrilena il nostro immaginario cinematografico e amoroso. La diva del rock francese, Catherine Ringer, modula le note luciferine di “Belfagor Stomp”, che Fellini scrive per ipnotizzare la sua Giulietta visitata dagli spiriti.
Ancora una volta Mauro Gioia, napoletano doc, ha dunque felicemente legato le sue creazioni e la sua carriera al recupero della memoria canora della sua città e alla rivisitazione evocativa della sua tradizione teatrale legata al varietà, ai fantasisti del cabaret e dell’avanguardia novecentesca.
In prima serata, al “Blu di Prussica”, le luci della ribalta si erano accese su un altro appuntamento di non minore interesse di quello serale, ovvero su England, ultima creazione di Tom Crouch uno tra i drammaturghi di preminente rilievo del più recente teatro inglese.
Carlo Cerciello, con quell’impegno che da sempre lo distingue, ha curato la regia, intrecciando questioni esistenziali a domande sull’arte e sul teatro. Là dove va posto cioè in essere il rapporto tra attore e spettatore, che altro non è se non una relazione tra esseri umani; ed ancora la commistione tra arti visive, teatro e performance. Tutto ciò anche tenendo conto del labile confine tra realtà e finzione, tra esibizione e rappresentazione; lo scontro tra due mondi, in cui l’insanabile distanza tra i rispettivi sistemi di valori conduce alla inevitabile tragedia.
A dipanare la vicenda contribuiscono due voci, che inizialmente rifiutano uno status più esplicito di personaggio. Un uomo e una donna, narrano una storia, e colei che parla ha una grave malattia al cuore ed ha un marito collezionista e mercante d’arte, che si trova a disagio con la propria compagna ormai sempre più incapace di reggere le sorti di una vita mondana, per il peggiorare delle proprie condizioni di salute.
La passione per le opere è qui implicitamente connessa in ogni movimento del pensiero alla loro dimensione di possibile investimento, con esiti in grado di sfiorare i più ossessivo tormento.
Lucio De Angelis
(da Notizie radicali, 24 giugno 2008)