Toh! chi si vede! la sanvincenzo di stato!
Siamo al postomoderno più reazionario che mai si sia visto.
Infatti a chi ha poco viene -munificamente e con discrezione (!)- data la somma di euro 400 all'anno.
E nessuno protesta.
Quando incontro per strada dei mendicanti (e succede spesso) mi vergogno sempre, sia che gli dia qualcosa, sia che non dia nulla. Ogni mattina metto nel portamonete ciò che mi avanza appunto dal giorno avanti e dò ai primi tre che incontro, vergognandomi, naturalmente.
Da studente liceale e universitaria ero iscritta alla sanvincenzo, una iniziativa di carità inventata da Ozanam, prestigioso intellettuale cattolico parigino del XIX secolo, che si impegnava a dare qualche sostentamento ai poveri, ai quali voleva annunciare il Vangelo, non in modo alienante e rassegnato, ma per ricristianizzare la Francia postrivoluzionaria. Ozanam diceva: «È inutile annunciare il Vangelo a chi ha fame». Fondò allora la Conferenza di San Vincenzo, che distribuiva ai poveri buoni pasto e buone parole di speranza nelle città, dove maggiore era la solitudine e il bisogno.
Si andava nelle case più malandate, tra le persone più abbandonate, ci si fermava un po' a fare compagnia e a chiedere le necessità, e poi andando via si lasciavano i buoni per la spesa, un chilo di riso o di pasta o di farina da polenta, o patate o pane o due mele.
Non dimenticherò mai una vecchietta, che aveva anche le pulci e me le attaccò (ci dicevano infatti di non sederci sulle sedie di legno impagliate, perché da lì qualche parassita saltava addosso facilmente) e mi diceva: «G'ho'na fam chi mangirii l'Africa» e dopo prendeva i buoni faceva un sorrisino paziente, ma era contenta se andavo via presto, sì da poter andare a prendere cibo: per lei quel giorno la sua Africa era arrivata.
Non è che d'ora in poi questo lavoro lo farà lo stato, sicché ai poveri che chiedono elemosina si risponderà: “si rivolga a Tremonti e otterrà euro 400 annuali, un euro nei giorni di lavoro, due per un po' (non tutte) le domeniche, alla grande!”
E le persone intervistate dicono: ma sì è una buona cosa, si aiuta chi ha bisogno.
Almeno alla sanvincenzo i soldi li tiravamo fuori noi: era beneficenza e ci ricordavano sempre che era una specie di cerotto, di pannicello caldo e che non credessimo di aver così adempiuto ai nostri doveri sociali. Infatti la carità benché grandissima virtù non regge senza la giustizia virtù fondativa. Sicché dovevamo cercare che si facessero leggi giuste e -dopo la seconda guerra mondiale- si costruisse lo stato sociale (Welfare State), che la nostra meravigliosa Costituzione aveva reso possibile e anzi obbligatorio (l'art. 3) mettendo armoniosamente insieme le tre grandi correnti ideali della politica e della cultura europea, la corrente liberale dei diritti individuali e umani, il movimento cristiano con l'imperativo della solidarietà e il movimento socialista e comunista con le lotte per la giustizia sociale.
Agli odierni insopportabili baciapile farebbe bene un breve corso di catechismo, dal quale imparerebbero che nemmeno come privati sarebbero in regola con la morale, se si limitassero a un po' di beneficenza: figurarsi come stato! Per Tomaso d'Aquino il fine dello stato è il bene comune, che contiene tutti quei diritti inalienabili che non hanno per controfaccia dei doveri. Perché uno abbia diritto ad avere il giusto salario non deve prima dare in produttività fino allo stremo: ha diritto e basta.
Mi rendo conto che Ozanam non era “moderno”: pensate lui voleva convertire i poveri, non si sarebbe sognato di cercare la conversione di Bush o Blair. È vero che invece era nel Medioevo che i popoli si convertivano a frotte dopo il loro re. Ah! miseria, come è complicata la storia!
Lidia Menapace