Yoani ha 32 anni ma non li dimostra. Capelli lunghi e crespi, volto sorridente, pelle creola abbronzata dal sole dei tropici, sguardo fiero e sicuro da cubana incazzosa. Ha aperto un blog - Generación Y - per dare voce alla sua generazione, ché poi ci sarei pure io dentro, sono poco più giovane, anche se mi chiamo Alejandro, nome classico come pochi, non c’è traccia di Y greca, né all’inizio né alla fine. Il diario telematico di Yoani è diventato un mito, la conoscono ovunque, Time la mette tra le cento persone più influenti del mondo, El País le dà un premio, Repubblica dedica copertina e tre pagine. Pensa che lei a stento mette insieme il pranzo con la cena, un po’ come me. Com’è buffa la vita. E allora me ne vado a casa sua in Centro Avana, tanto la polizia sa mica chi sono, un ragazzotto come tanti che passeggia per la capitale e passa il tempo, senza un cazzo da fare.
“Non so come fare con il blog. La connessione va e viene” dice.
Entra subito in argomento. Lo so pure io che all’Avana nessuno possiede internet in casa e che ci sono solo un paio di alberghi dove si accede al servizio. Lo so perché ogni tanto mando una mail a mia cugina che vive in Italia e ricordo di farsi allungare un po’ di grana dal marito, ché lui Adiós Fidel l’ha tradotto e pubblicato, ma soldi ne manda pochi. Era meglio se facevo come Yoani. Era meglio se aprivo un blog. Le idee buone vengono sempre agli altri.
“Aggiornare il blog è un calvario. Collegarsi un’ora a internet porta via mezzo salario mensile. Fai meglio tu con la carta, guarda…”
“Ma chi mi legge? Qualche italiano rincoglionito”.
Lei sorride. Yoani sorride sempre. È bella quando sorride. Nata e cresciuta a Cuba, Centro Avana, un po’ come me che sono di Luyanó. Un concentrato di povertà e squallore.
“Mio padre si chiama Willy, faceva il macchinista di treni, fino alla crisi economica, ma quando le ferrovie sono scoppiate si è messo a riparare biciclette. Mia madre si chiama María, lavora nel settore dei taxi, ma non guida, sta in ufficio. Si occupa della casa…” dice.
Yoani ha origini spagnole, come tanti cubani, la sua famiglia proviene dalle Asturie e dalle Canarie. Abbiamo un sacco di cose in comune, penso. È cresciuta insieme alla sorella Yulia, di un anno più grande, pure lei fa parte della Generación Y. Proprio come me. Io sono cresciuto con mia cugina, che buon per lei se n’è andata in Italia. Dico buon per lei tanto per dire, bada bene, ché io mica me ne andrei…
“Ti rendi conto che il blog ti ha trasformata in un simbolo mondiale?”
“So di avere molti lettori in tutto il mondo. Il governo mi ha censurato nel marzo scorso. È chiaro che non mi appoggiano. Da quella data il blog è inaccessibile dai siti pubblici cubani. Lo aggiorno grazie ad amici stranieri. Invio testi per e-mail e loro inseriscono nel blog”.
“Non ti hanno fatta andare in Spagna per ritirare il premio Ortega y Gasset, del quotidiano El País…”
“Mi è dispiaciuto, certo. Ho perso una cerimonia che nessuno mi può restituire. Un giorno importante. In compenso ho festeggiato con i miei amici e con i familiari mentre a Madrid consegnavano i premi”.
Yoani scrive il blog in casa. Mostra il pc portatile e la stanza da lavoro all’ultimo piano del condominio dove vive, un luogo fresco, riparato dal sole, abbastanza ventilato. Batte i testi con il computer, li salva in un dischetto e quando può entrare su internet li pubblica.
“Che effetto ti ha fatto ricevere quel premio?”
“Non me lo aspettavo. Mi sono detta che non era possibile. Yoani, Dio mio, in che guaio ti sei cacciata! La responsabilità è diventata sempre più forte. Sono soltanto una cittadina che scrive impressioni sul mondo che la circonda…”
“Ma come hai avuto l’idea del blog?”
“Basta guardarsi intorno e vivere. Domande senza risposta, frustrazioni, problemi quotidiani non riportati dalla stampa. La voglia di fare il blog mi è venuta leggendo la stampa nazionale e registrando infinite omissioni”.
“Fa incazzare pure me. Io ci scrivo racconti…”
“Un blog raggiunge più lettori. Si parla in prima persona, in modo emotivo, non occorre essere specialisti della comunicazione o analisti politici. Voglio raccontare la realtà più che fare letteratura”.
“Se è per questo pure io mica faccio letteratura. Tra me e Lezama…”
“Non serve un genio, Alejandro. Cuba ha bisogno di persone con il coraggio di parlare”.
“Ma non hai paura?”
“Ho fatto una scelta di vita. Non riesco a vivere senza occuparmi dei problemi quotidiani. Non ce la faccio a evadere. La realtà mi risucchia prepotente. Voglio che mi spieghino, esigo informazioni. Leggere la stampa cubana è un magnifico esercizio e comprendo tutto quello che non si dice. Non mi piace parlare delle cose che non conosco. Scrivo su quello che mi succede, mi piace leggere la stampa per contestarla. Voglio parlare del mio paese e raccontarlo al mondo”.
La comprendo. Fa le mie stesse cose, ma con più coraggio. Io mi nascondo dietro questo nome, non esco alla ribalta, pubblico in Italia. Tutto più comodo. Che ci volete fare? Se uno non ha coraggio mica se lo può dare. E io sono un vaso di coccio tra tante botti di ferro. Mi pare che l’ha già detto qualcuno…
Yoani prosegue il racconto. Termina il preuniversitario e vorrebbe studiare giornalismo, ma le dicono che non ha i voti necessari.
“Ironia della vita. Non ho studiato giornalismo e adesso vengo premiata come giornalista” dice.
Yoani si iscrive alla scuola pedagogica, vorrebbe fare la professoressa di spagnolo, ma comprende di essere più interessata alla letteratura che alla pedagogia. Passa alla facoltà di Arte e Lettere dell’Università dell’Avana per studiare filologia spagnola. In quel periodo nasce Teo, che adesso ha dodici anni. Ha solo vent’anni, deve allevare un figlio e seguire i corsi universitari. Sono momenti di grave crisi economica a Cuba. Ne passa di brutte per sopravvivere. Vive con il marito, Reinaldo Escobar, giornalista e blogger, cacciato da Juventud Rebelde per aver pubblicato articoli critici nei confronti del regime. La vita di Yoani è dura. Il marito si impiega come meccanico di ascensori. Per un certo periodo ripara in Svizzera, ma la nostalgia è una brutta bestia e lei torna all’Avana. La comprendo. Non me ne andrei mai da Cuba. Adesso vive in un appartamento costruito da Reinaldo negli anni Ottanta con il metodo della microbrigada. L’ha fatto pure mio zio Pepín. Era un sistema che permetteva ai cubani senza casa di riunirsi, ricevere consulenze, materiali e costruire il proprio alloggio.
“Reinaldo lavora per quattro anni, costruisce questo blocco stile sovietico dove viviamo, per vent’anni paga un riscatto mensile e diventa proprietario. Questo è il nostro rifugio. Il problema degli alloggi a Cuba è delicato. Il palazzo dove vivo è molto brutto, visto da fuori sembra una caserma, sono quattordici piani, abito nell’ultimo, ma l’appartamento è luminoso e ventilato. Lo abbiamo riempito di piante e di libri. Mi piace la mia casa. Mi assomiglia molto”.
Pure casa mia, anche se casca a pezzi e pare un porcile. Mia madre dice sempre che sono un maiale. La vecchia casa coloniale di Luyanó, tra odori del porto e polvere spazzata via dal vento, donne che vagano in cerca di qualcosa da mangiare, venditori di maní e bambini che giocano a baseball. Non l’abbandonerei mai. Mi piace la vecchia casa di Luyanó che confina con solares e disperazione.
“Mia nonna diceva sempre: povera ma pulita. La pulizia e l’igiene sono importanti. Mi trucco poco, amo le cose naturali, porto i capelli come sono e non faccio niente per eliminare le rughe… Non indosso vestiti di marca. Faccio durare le cose. Cucio, aggiusto, riciclo, sistemo a modo mio. Non dipingo le unghie, non taglio le sopracciglia, invece di perdere tempo per queste attività leggo, scrivo e indago la realtà. Leggo di tutto: poesia, saggistica, romanzi. Mi piacciono autori cubani, brasiliani, spagnoli. Sono sempre stata una divoratrice di libri. Mio padre aveva studiato poco, ma amava la lettura”.
“Come passi le tue giornate?”
“Tu lo sai che a Cuba non si pianifica niente. Tutto è un imprevisto. Mi alzo alle sei e mezza, sveglio mio figlio che frequenta la scuola secondaria, preparo la colazione, stiro l’uniforme e lo accompagno a scuola. Entra alle sette e trenta. Subito dopo comincia la lotta quotidiana. Faccio la coda per il pane, compro il giornale, organizzo una visita medica, sistemo qualche pratica burocratica. Tutta la mattina se ne va in affari domestici”.
La coda per il pane. Che incubo. Mia nonna ci manda sempre me quando vado a Toyo. Proprio sotto il vecchio condominio annerito dai fumi della raffineria di petrolio resiste una delle panetterie più famose dell’Avana, almeno era così un po’ di tempo fa, quando sfornava pane di Parigi, pure se adesso non trovo nemmeno pagnotte cubane. La coda può durare cinque minuti come un’ora, dipende se hanno prodotto abbastanza pane, ma se arriva un corto circuito addio colazione…
“A Cuba la giornata comincia all’insegna di una nuova difficoltà. Alle dodici e trenta esco per portare il pranzo al bambino. A scuola danno solo un po’ di yogurt e un pezzo di pane. Mio figlio è molto magro. Non può mangiare soltanto yogurt e pane”.
“Pure io lo sono, cara Yoani. È la famosa dieta Fidel che ha fatto sgonfiare i culi alle mulatte. Ma tu come te la cavi per mettere insieme due pasti al giorno?”
“Sono una vera maga, come tutte le donne cubane. Invento quello che devo mettere in tavola. I prezzi degli alimenti salgono sempre di più e c’è poca varietà. Ho vissuto gli anni peggiori del periodo speciale. Si vede da quanto sono magra. Mio figlio è nato in piena crisi economica, ha una taglia e un peso inferiori alla media dei bambini della sua età. Questo mi fa preoccupare. La sua alimentazione viene prima di tutto ed è fonte di stress mettere insieme pranzo e cena. Ho smesso di preoccuparmi al mattino, perché se continuo a vivere così mi prendo un’ulcera gastrica”.
“Che lavoro fai?”
“Per guadagnare qualche soldo traduco dal tedesco allo spagnolo, faccio la guida turistica per L’Avana, insegno spagnolo agli stranieri, ma sono lavori precari. Passo in casa i periodi senza lavoro, mi chiudo nella mia stanza, leggo, scrivo e osservo la realtà”.
Brava Yoani che hai coraggio da vendere per tutti noi ma non vuoi essere chiamata eroina e nemmeno pioniera. Brava Yoani che non hai bisogno di pseudonimi per gettare in faccia al mondo quello che pensi della vita. Brava Yoani che sei coerente con te stessa. Mica è facile…
Alejandro Torreguitart Ruiz
L'Avana, 22 giugno 2008
Traduzione di Gordiano Lupi