Sabato, 21 giugno: due spunti sui media riguardanti il Tibet e l'Olimpiade cinese: il passaggio della fiaccola olimpica a Lhasa ed un curioso riquadro a colori a pagina 34 del Corriere della Sera intitolato “Le scuse di Pechino” in cui viene mostrato un innocente fotogramma di una recentissima pubblicità televisiva del gruppo Fiat.
Quel che colpisce del modo con cui il problema tibetano e cinese delle libertà civili concesse alle popolazioni delle minoranze etniche in quell'immenso Paese la cui costituzione (all'art. 35) le ammette esplicitamente mentre vengono negate di fatto, è che il fatto che la fiaccola sia portata nelle province come il Turkestan orientale (abitato dagli Uiguri) ed appunto in un militarizzato Tibet (per strade occupate solo da comparse di regime mentre le popolazioni sono confinate nelle case ed ogni esercizio commerciale è chiuso; così come l'accesso ai territori di ogni straniero), sia considerato e presentato come dimostrazione di un'ineluttabile realtà ormai indiscutibile che vedrebbe tutte le considerazioni di opportunità “giustificare” come realismo l'accettazione di una posizione per cui in campo internazionale siano i rapporti di forza che contano e nient'altro.
C'è come l'eco di una litania tanto dolente quanto scorata che trapela, infatti, dai servizi e dagli articoli di stampa, che ci conferma che “il mondo va così, purtroppo”. Mentre è il prodotto di un'intollerabile fuga dalla responsabilità di informare che i media così ripudiano impedendo che il cittadino si formi quell'opinione indispensabile per consentirgli di dare il suo possibile contributo (infatti, che “non c'è niente da fare” non occorre sostenerlo, basta “mostrarlo”). Oppure anche solo trascurare semplicemente ogni occasione per una diversa affermazione in merito; come quella della recente possibilità di una dichiarazione a livello europeo del rifiuto a partecipare all'apertura dei giochi di Pechino ed attribuita a “mancanza di tempo”. Che è stato l'ennesimo scandaloso ed irresponsabile rimpallo fra responsabili nazionali (vero Frattini?, ma in buona compagnia) ed istituzioni europee.
Ma il livello massimo di inqualificabile opportunismo l'ha toccato il binomio Fiat-Corriere della Sera. Qui l'ipocrisia ha raggiunto infatti vertici sin ora, credo, insuperati. Infatti prima sfruttando la popolarità di Gere-Indiana Jones, e poi confezionando quel ritaglio e collocandolo nel settore economia del giornale, ma con quel titolo, si è compiuta un'operazione di vera e propria mistificazione mascherando da notizia spot, qualificata come una specie di nuova rubrica (“testimonial e modelli”), quello che è certamente un comunicato commerciale “preteso”, con minaccia di chissà quali ritorsioni, dall'azienda torinese da chi non è certo così difficile da immaginare (vedi per questo il titolo: “le scuse a Pechino”).
Il testo che commenta il fotogramma in cui il testimonial buddista Richard Gere, noto estimatore del Dalai Lama, che, giunto nella capitale del Tibet si mette a giocare con alcuni giovanissimi monaci avvolti nel caratteristico manto granata, è il seguente: «Spot e equilibri globali. Fiat ribadisce la propria neutralità in merito a nazionale o internazionale e chiede scusa al governo e al popolo cinese. Nello spot Richard Gere arriva in auto in un tempio buddista e incontra i piccoli monaci tibetani».
Così il testo! Alla cui non agevole composizione è lecito ritenere si siano dedicati i migliori cervelli. Mi verrebbe di chiedere, ora, a Bruno Mellano, nella sua veste di Coordinatore di un gruppo interparlamentare prima ed ora di prestigiosi amministratori locali a sostegno della causa della richiesta di tutela dell'autonomia culturale del Tibet e per la garanzia delle libertà civili in Cina, se non si possa chiedere a costoro se anch'essi si considerino “neutrali” allo stesso modo; o se, invece non sia possibile che, alla luce di un tale così conclamato interessato agnosticismo politico e civile non sentano “doveroso e prudente” assumere invece una posizione di denunzia del fatto che prenda le distanze da quella Fiat che a prima vista non può non apparire che solo cinica; magari dimostrandolo con la sospensione di qualsiasi acquisto di auto di quella marca da parte delle rispettive Amministrazioni sino ad un doveroso chiarimento in merito.
Credo che tale atteggiamento sarebbe l'unico modo per testimoniare, nonviolentemente, anche solidarietà alle stesse aziende, nazionali o meno, che non trovano da sole la forza, e l'intelligenza, per resistere e contestare azioni di chiara intimidazione, quale, evidentemente, quella cinese.
Almeno “si porrebbe il problema“, cosa che imporrebbe alla Cina di uscire più allo scoperto.
Ed, inoltre, credo non si potrebbe più continuare ad ignorare allo stesso modo con cui lo si è fatto sin'ora, quali effetti può determinare in Italia, la “non indipendenza” degli organi di informazione (e dei loro editori).
Guido Biancardi
(da Notizie radicali, 23 giugno 2008)