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Moonisa: "Semi indesiderati". Una tra le infinite dimensioni del creato (II).
22 Giugno 2008
 

Le fiamme della foresta, nel mio giardino nigeriano, hanno ombrelle fiorite come macchie accecanti e regalano gocce di fuoco al prato sottostante. La begonia perenne, divenuta albero, mi è stata regalata dal clima che non conosce rigori. Le orchidee della mia veranda non smettono di fiorire, l’orecchio di elefante ha foglie impressioniste di un verde brillante screziato di rosso e di bianco. Chiuse nei miei armadietti puliti e disinfettati, in cucina, le pentole, con tanto di coperchio, possono contenere scarafaggi (non si sa come/perché/per quali vie) e causare continuo lavoro-disinfezione-fobia. Un piccolo geco abita la tromba delle scale, altri s’intrufolano ovunque, disegnandosi come sculture vive al centro delle porte bianche.

La fine di un dinner party mi ha donato, ieri sera, ore piccole. Tutto era già stato rassettato, sistemato e pulito dallo steward. Dovevo soltanto mettere in frigo i dolci ancora sparsi per la casa e dare al ragazzo le cibarie da portare via, per se stesso e per il suo bambino. Ho preso un contenitore di plastica. Era pulito e custodito, tra vassoi e ciotole, in un pensile chiuso da porte a molla e con calamita. Sul coperchio c’era una sorta di seme di anguria; a un esame ravvicinato appariva lucido e marrone, come buccia di castagna novella. Aveva una forma strana; se fosse stato ingigantito, sarebbe stato una di quelle borsette-borsellino senza manico che le donne usano su abiti da cerimonia. Era bombato e arrotondato e finiva a feritoia tipo zip da un lato. Da quella ‘chiusura’ seghettata era attaccato alla superficie plastificata trasparente. L’ho fatto cadere e l’ho osservato meglio: doveva trattarsi , pensavo , di qualche seme appartenente a un vegetale che ancora non conoscevo. Ho chiesto allo steward che seme fosse. Egli non lo ha toccato e ha detto: “This is no seed”. “E che cos’è, allora?!?”, l’ho incalzato. Ha risposto che non lo sapeva. “Devi saperlo! Tu vivi qui e devi averlo visto altre volte. Voglio sapere che cos’è!”, ho insistito. “I must investigate”, ha detto. Io ho preso ‘il seme’ tra indice e pollice e ne ho tastato la consistenza. Non era duro. Un liquido biancastro si è affacciato alla ‘cerniera zippata’. Ho urlato e l’ho lasciato cadere. Non era un seme! Decisamente era qualcos’altro. Lo steward ha preso paletta e scopa e lo ha portato via, poi ha salutato e se n’è andato. Ho capito che lui sapeva e che non mi voleva dire che cosa fosse. Ho espresso il mio sconcerto a mio marito. Egli ha riso e ha detto: “Sono insetti, quasi certamente. Ma come faccio a sapere da dove vengono? Entreranno dalla finestra. Non ti devi preoccupare”. “E siamo in Africa… Non lo dovrei dimenticare, anche se il giardino e lo spazio attorno fanno parte di una vera metropoli”, ho pensato, a completamento del suo pensiero; poi ho pensato a Josephine, la ragazza nigeriana, andata via da poco, insieme agli altri ospiti. Il suo volto ridente, ravvivato dal fiocco rosso che portava dietro la nuca, mi ha rassicurato. “Lei è così carina; vive qui con tanta disinvoltura e senza farsi problemi, imparerò da lei…” , ho pensato, mentre lavavo e disinfettavo le mie mani ‘a cento e a venti’ (come si dice nel Sud dell’Italia).

Questa mattina ho, di nuovo, assillato lo steward. Ha ceduto, infine, e mi ha detto: “Those ‘seeds’ actually are eggs, cockroach’s eggs”. Non sono ‘semi’ ma uova di scarafaggio…, che schifo! Tutte le fessure dei vari pozzetti esterni e delle biologiche sono state sigillate con silicone. Ho predisposto una disinfezione generale interna a base di candeggina pura, ma la cosa non mi ha risparmiato un senso di nausea involontaria.

Commetto sempre l’errore di rilassarmi, ogni volta che risolvo un problema, e di pensare che non ci sia più nulla ch’io non sappia di questo luogo. Pensavo di aver risolto il problema della puzza e degli scarafaggi qualche settimana fa… In uno dei bagni della zona notte, al secondo piano, c’era sempre un insopportabile odore di fogna e non riuscivo a comprendere perché. Guardando, osservando, chiedendo, ho scoperto che, in Africa, i costruttori sono obbligati a lasciare ‘uno sfogo’ alle biologiche, ovvero alle fognature, e che tale ‘sfogo’ era un buco nel muro proprio all’altezza della finestra del bagno. Ho visto uscire da tale buco gli scarafaggi che, entrando dalla finestra, tranquillamente si aggiravano per casa. Erano ‘creature’ marroni gigantesche, lucide e coriacee, dotate di grandi ali foderate e di capacità di volare. Ho smesso di aprire la finestra e ho chiesto alla ditta di riferimento di correre ai ripari. Nulla è accaduto. Nessuno sapeva come ovviare all’inconveniente e ci ho pensato da sola. Ho fatto applicare un tubo al foro, portare lo sfiato lontano dalla finestra e schermare l’estremità con apposito coperchio forato; non pensavo che il disagio si sarebbe ripresentato sotto forma di ‘semi-uova’ strani.

Mi sento ‘a disagio per il disagio’ che provo vivendo in una delle belle case della capitale (di una terra in cui non ci sono limiti alle vie del ‘disagio’-miseria diffuso e in cui chi ‘può’ ha case con condizionatori in ogni stanza e chi ‘non può’ ha come stanza la strada e come tetto il cielo). Il brusio dei condizionatori accesi, per chi ha ‘orecchie’ oltre-egoismo, può divenire un rimprovero. Vorrei tenerli spenti perché mi sento in colpa anche per il risparmio energetico e per l’uso dei gas refrigeranti coinvolti. Li tengo spenti il più a lungo possibile e, quando il caldo è eccessivo, mi faccio la doccia a ripetizione; quando non resisto, ne accendo uno e lascio aperte le porte, per rinfrescare più stanze.

Avere uno steward è un regalo della vita. Godere di ‘servigi’ che non ci si può permettere in Europa è un privilegio che non mi calza come tale e che incrementa ‘la casa dei disagi’. Invidio le persone ‘happy go like’ sorridenti e serene, che di steward-autisti-giardinieri-guardiani non sanno altro che il nome.

  

                                                                           Moonisa

 


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