– Spiiiiiinuuus!!!...
Dalle labbra mi uscì un urlo disumano quando vidi la scena. Il mio gatto, Spinus, saliva lungo il risc (vecchio viottolo pedonale lastricato di ciottoli rotondi) spingendo una palombella (una sorta di colomba ma molto più docile). Con la bocca la teneva per la collottola (come fa mamma gatta quando porta i gattini) senza sollevarla da terra (per lui era troppo pesante). Le zampe anteriori facevano da sponda alle ali e con le zampe posteriori cercava di farla camminare in tandem.
Al mio urlo il gatto lasciò la preda e si girò di scatto verso di me con aria sorpresa quasi volesse dirmi: “Ma come? Non sei contenta della mia conquista?”
La palombella rimase accovacciata sul selciato. Spinus la controllava con la coda dell’occhio. Per un attimo mi soffermai a guardare la scena. Il sole filtrava attraverso l’agglomerato di case vecchie che costeggiava il risc, gettando un fascio di luce che esaltava i contrasti tra i due animali. Il piumaggio della Palombella, che chiudeva con una coda a ventaglio, era candido come la neve, con riflessi argentati. Spinus aveva gli occhi verde smeraldo, il manto nero a pelo lungo con un sottofondo grigio perla. Da sotto il mento partiva una sorta di bavero grigio che ricordava la criniera di un leoncino.
Mi soffermai per un attimo a riflettere sulle meraviglie della natura. Sembrava la tavolozza di un pittore. Avrei voluto gustarmi a lungo la scena, ma ben presto tornai alla realtà. La Palombella vicino a Spinus era come la paglia vicino al fuoco.
– Vai, piccola. Vai! Nessuno ti farà del male – dissi alla palombella disorientata.
Mi chinai per vedere se fosse ferita, ma in quel momento spiccò il volo e andò a posarsi sul tetto di una vecchia casa.
“Se è riuscita a volare fin lassù significa che non è ferita”, pensai tirando un sospiro di sollievo.
Spinus aveva l’aria delusa. Io gli tenevo il broncio. Era combattuto tra il dispiacere di aver perso la palombella e il desiderio che lo perdonassi. Prevalse il secondo sentimento. A ogni passo mi superava e si sdraiava ai miei piedi a pancia all’aria. Era irresistibile. Avrei voluto chinarmi ad accarezzare il suo pelo morbido. Era una rara occasione per farlo perché di solito era scontroso (non per niente il nome Spinus), ma non volevo cedere alle sue moine (la lezione non gli sarebbe servita).
Alla decima volta che ripeteva la scena, con un fragoroso “ron ron”, stavo per soccombere (in fondo la Palombella era sana e salva). Mentre mi stavo chinando verso di lui con la mano tesa un pensiero mi fece gelare il sangue. “Dov’è l’altra palombella?”, mi chiesi.
Già. Le palombelle erano due. Erano arrivate al nucleo di case vecchie pochi giorni prima, reduci dalle “scene da un matrimonio”. C’è una tradizione, che oserei definire “barbara”, di allevare le palombelle insegnando loro a essere docili, in funzione del grande evento: “Essere protagoniste per cinque minuti dopo la cerimonia nuziale”. Gli sposi escono dalla chiesa in pompa magna, sotto i flash dei fotografi, ripresi dalle telecamere. Le palombelle vengono tolte dalla gabbia dove sono rimaste pazienti ad attendere il loro “momento di gloria”. In quel giorno fatidico vengono tenute a digiuno affinché possano essere attratte dal grano posato sulle mani degli sposi (pochi chicchi per la verità: gli sposi non vogliono correre il rischio che le palombelle, abbuffandosi, sporchino i preziosi abiti con il loro sterco).
Ed ecco la scena. Le palombelle vengono posate sulle mani degli sposi. I flash dei fotografi si sprecano in sequenza. I cineamatori si assemblano per immortalare l’evento: “Mani protese, mani unite, mani in alto, fianco destro, fianco sinistro! Braccia allargate, con una palombella sulla mano destra della sposa e una sulla sinistra dello sposo”. Poi il clou: il “lancio in aria”. Per gli sventurati volatili è il primo significativo volo. Prima meta il campanile o il tetto della chiesa tra gli Oooh!, gli Uhhh! e gli Ahhh! estasiati degli invitati. Clic, clic, clic ...poi le palombelle vengono abbandonate al loro destino. Quelle che non riescono a volare partecipano al pranzo di nozze (nel senso che loro sono parte del pranzo).
Le vidi davanti a casa una domenica mattina (il giorno successivo al matrimonio di cui erano state protagoniste). Erano posate sul bordo della fontana. Si lasciavano accarezzare. Dopo aver fatto il bagno sotto l’acqua corrente si posarono sul muro adiacente per asciugarsi al sole. Per giorni e giorni la stessa scena. La loro vista mi riempiva di gioia. Pure Spinus rimaneva a lungo accovacciato su quel muro. Le palombelle non fiutavano il pericolo (gli allevatori, per prepararle al grande evento avevano loro insegnato a fidarsi di tutti). Le palombelle percorrevano avanti e indietro il muro, passando a fianco del gatto, sfiorandolo con le ali, quasi volessero fare amicizia. Spinus, occhi socchiusi, ostentava indifferenza. Ma, forse, tanto indifferente non era.
Per giorni e giorni aveva studiando la strategia per la cattura. “Mi conviene aspettare quando hanno le piume bagnate”, deve aver pensato. “Non posso rischiare di prenderle sul bordo della fontana. Quelle spiccherebbero il volo e io cadrei in acqua e, si sa, i gatti odiano l’acqua”.
Ma torniamo a dove eravamo rimasti. Cominciai a cercare le tracce della seconda palombella, finché davanti a un vecchio rudere trovai alcune piume sottili di colore bianco. Un brivido mi percorse la schiena.
– E queste cosa sono Spinus? Che ne è stato dell’altra palombella?
Spinus mi guardava sgranocchiando i suoi meravigliosi occhi verdi quasi volesse dirmi: “Sono innocente, credimi”. Le provava tutte per farmi sbollire la rabbia. Camminava davanti a me con la coda dritta a punto interrogativo, mi tirava i vestiti, mi si buttava ai piedi.
– Non mi commuovi. Sono veramente arrabbiata…
Ad un tratto vidi una palombella sul tetto che fronteggiava quello dove era volata la preda di Spinus. “Che ti dicevo? – sembrava dire il filibustiere con il suo atteggiamento accattivante – Pace?”
– Niente pace, Spinus. È la palombella di prima che ha cambiato tetto.
Stavo per rientrare a casa, con Spinus sempre alle calcagna e con il morale sotto le caviglie, quando alzando gli occhi vidi le due palombelle di nuovo insieme. Tanta fu la gioia di saperle in salvo che decisi di perdonare la simpatica canaglia. Mi chinai per accarezzarlo ma Spinus, risentito per i miei sospetti su di lui, sfoderando il temperamento di sempre, fece “marameeeo” e scappò via.
Le palombelle, per la prima volta avevano provato la paura. La fontanella, i tetti contigui delle vecchie case che avevano scelto come prima dimora, improvvisamente diventarono ostili. Se ne andarono in silenzio com’erano arrivate. A lungo ho cercato di scoprire dove si fossero rifugiate ma sembravano essere sparite nel nulla. Non le ho mai dimenticate. Spero abbiano trovato un rifugio sicuro perché sarebbe atroce scoprire che, per sfuggire agli Spinus di turno, siano finite in padella.
Vanna Mottarelli