Manifesto dell’Italia che “non ci sta”
per uno “spazio lib-lab”
1. C’è un’Italia che non ci sta.
C’è un’Italia che non si rassegna né allo sconfortante quadro politico nazionale né al tracollo civile né al conseguente disastro economico e sociale.
È un’Italia democratica, laica, europea, riformatrice, in varie forme da liberale a socialista, senza la cui voce si è destinati ai margini della modernità. Un’Italia che vuole la restituzione delle effettive condizioni di democrazia, un Parlamento davvero rappresentativo, la riaffermazione dei diritti civili e sociali, la costruzione di una libera economia di mercato non disgiunta da politiche di equità sociale, la costruzione di una società aperta.
2. Questa Italia è ormai da decenni priva di un riferimento politico organizzato. Ma ora la situazione è diventata drammatica.
Il Paese è in mano a una coalizione di partiti espressione di una destra populista che in ogni altro paese occidentale sarebbe limitata a frange marginali perché profondamente illiberale, col culto primordiale del Capo e del Padrone, allergica alla democrazia, affarista, clericale, corporativa, protezionista, euroscettica, xenofoba e omofoba, in alcuni settori dichiaratamente fascista. Una destra particolarmente pericolosa perché contesta apertamente l’identità di un’Italia unita e fondata sulla resistenza ai totalitarismi; perché vuole imporre la cancellazione o l’adulterazione della memoria storica nonché l’affermazione di uno Stato etico che prevarichi la sfera delle libere scelte private dei singoli.
A questa destra affastellata e unita dal potere non si oppone con la necessaria forza un partito che si autodefinisce democratico, ma in effetti è monocratico e senza pratica di vita democratica, senza riferimenti internazionali, privo d’una cultura politica con qualche omogeneità, carente di valori, di ideali, di progetto, perfino di radicamento. Un partito che dal berlusconismo sta mutuando linguaggio, mentalità, pratica del potere, ormai anche programmi e strategia.
Queste due formazioni, composte perlopiù da un mediocre personale politico, – ove non vi sia una sempre auspicabile inversione di tendenza nel Pd – corrono il rischio di fondersi definitivamente, nell’immagine pubblica come nella concreta dialettica parlamentare, in un cartello di interessi antidemocratici finalizzato al rafforzamento e all’estensione degli aspetti truffaldini del sistema elettorale, alla distruzione forzosa per legge di ogni competitore politico, all’illegale mantenimento del pieno controllo politico delle televisioni, alla pretesa e all’accondiscendenza verso i conflitti d’interesse. Tra inverosimili riverenze reciproche, questo accordo rischia di sancire la rovina del paese e il suo definitivo distacco dall’Europa liberaldemocratica. Fuori dal Parlamento, ma ancora con una significativa forza organizzativa, si agita una inutilizzabile sinistra ottocentesca, che sogna la rivoluzione comunista e coltiva il residuo orticello massimalista, estranea com’è alla concezione che considera prioritarie la democrazia e la nonviolenza, lontanissima da una moderna teoria dell’economia di mercato, incline al laicismo ma troppo spesso disposta al suo accantonamento.
3. Eppure, in un Paese che si mostra corrivo a questo desolante panorama, in assenza di minime condizioni di libera informazione, nonostante un dibattito pubblico drogato, in un sistema economico corporativo e familista, nel crescente degrado della legalità e dei costumi civili, resiste un’Italia che non ci sta.
Un’Italia che crede nel valore e nella pratica delle libertà, nelle virtù civiche, nei diritti umani, nel pluralismo culturale ed esistenziale, nella convivenza civile, in un’Europa che si è costruita nella lotta all’intolleranza e al dogmatismo.
Un’Italia che esige l’affermazione della cultura delle regole e il ristabilimento dello Stato di diritto. Che persegue l’indirizzo d’una sempre maggiore divisione tra il potere politico, il potere economico e il potere mediatico. Che non tollera che gli individui siano sottoposti a imposizioni o a forme di rappresentanza comunitaristico-religiosa.
Un’Italia che crede nella necessità dell’Europa e vuole il rilancio del processo d’integrazione federale.
Un’Italia che pretende l’instaurazione di una vera libertà di coscienza e di vita contro le pretese e i privilegi clericali, con la ferma difesa del principio della laicità delle istituzioni.
Un’Italia che reclama un sistema di informazione libero da condizionamenti padronali, dal monopolio berlusconiano e dalla lottizzazione.
Un’Italia che esige trasparenza e certezza di regole nell’economia e nel diritto societario, e una seria disciplina antimonopolistica.
Un’Italia che vuole le sanzioni penali strettamente limitate a fattispecie inequivocabilmente definite e davvero uguali per tutti, ma che vuole anche finirla con l’incertezza del diritto e con l’eterna sequela di condoni, indulti e deroghe.
Un’Italia che intende garantire indipendenza ai magistrati e liberare l’amministrazione pubblica dalla colonizzazione partitica, pretendendone però efficienza, autorevolezza e responsabilità.
Un’Italia che chiede il rispetto di un’etica pubblica esigente, fatta di trasparenza e cultura del servizio da parte di una classe dirigente radicalmente rinnovata.
Un’Italia che sente il bisogno di liberare le energie della società riattivando la mobilità sociale, riconoscendo il merito, costruendo un quadro di eguaglianza delle opportunità.
4. Questa “Italia che non ci sta” delinea di fatto uno spazio in cui la sinistra si ridefinisce finalmente sulla base dell’incontro delle esperienze liberali, democratiche e socialiste europee. Uno spazio lib-lab, che in passato è stato rappresentato in maniera insoddisfacente e parziale da una somma di partitini che hanno avuto i loro meriti, ma anche le loro colpe, e che comunque non esistono più e non vale la pena di rimpiangere e di riesumare.
Non è guardando indietro che questa Italia avrà finalmente voce. Ma puntando in prospettiva a una nuova rappresentanza politica nel centrosinistra e operando fin da adesso in queste battaglie, delle quali i firmatari del Manifesto sottolineano la necessità e l’urgenza.
Questa Italia è ancora determinata a “non mollare”.
Giugno 2008