COME GLI INDIANI
OTTENNERO I CAVALLI
(Piccolo orfano:)
“Oh Grande Spirito! hai tutte le ragioni di essere arrabbiato con me, ma considera che sono solo un piccolo orfano senza casa e senza famiglia, che viveva del buon cuore della tribù… ma… è meglio che racconti la storia dall’inizio.
Dunque, dicevo, solo e povero piangevo sulla mia triste sorte e le mie lacrime erano così copiose che si impastarono con la polvere e mi venne la voglia di fare qualche statuina. Volevo fare un cane, ma dal fango mi usciva sempre una bestia strana, con zoccoli alle quattro zampe e una lunga coda. Alla fine mi addormentai e sognai il Grande Spirito che mi diceva:
(Il Grande Spirito:)
“Gli animali che io ti ho fatto modellare si chiamano cavalli e sono molto utili. Però ora sono piccoli come le tue mani li hanno fatti, e perciò bisogna farli crescere. Devi portarli a pascolare al grande fiume per quattro giorni, senza scordarti mai.”
(Piccolo orfano:)
“Così feci per tre giorni e i cavalli crescevano a vista d’occhio, crescevano così tanto che il quarto giorno salii in groppa ad uno di essi e feci una lunga galoppata. Mi sentivo così felice e importante che dimenticai di portarli a pascolare al grande fiume, e così sono restati piccoli. Oh, che stupido sciocco sono stato!”
(Il Grande Spirito:)
“Beh, dopotutto sono molto carini, così piccoli. E poi, a pensarci bene, sono più veloci e adatti alla caccia, e possono nascondersi fra l’erba in caso di pericolo. Beh, ragazzo, li chiameremo pony; portali alla tua gente e vedrai che saprai cacciare i bisonti meglio di tutti gli altri, e forse… chissà, forse diventerai un grande capo!”
UNA BATTUTA DI CACCIA AL BUFALO
(Orso In Piedi:)
“All’alba fummo avvisati che c’era una mandria di bufali nei dintorni e tutti cominciammo a prepararci. Era la prima volta che andavo a cacciare i bufali, e mio padre Orso Seduto mi disse:
(Orso Seduto:)
“Non perdere mai di vista il bufalo che hai preso di mira. Puoi inseguirlo da vicino, ma se il bufalo ti guarda con la coda dell’occhio, allora sta molto attento. Se lo colpisci al punto giusto ti basterà una sola freccia.”
(Orso In Piedi:)
“Ero pronto a partire, con la faretra piena di frecce e l’arco. Montavo una giumenta nera, veloce come un daino. Davanti a tutti cavalcavano due uomini su bellissimi cavalli, e noi dovevamo tenerci alle loro spalle.”
(Cucciolo di Orso:)
“E poi?”
(Orso In Piedi:)
“Non interrompere e ascolta. Cercavamo di avvicinarci alla mandria il più possibile, perché se il bisonte corre troppo prima di venir abbattuto, la sua carne diventa dura.
Seguimmo le nostre guide in cima a una collina ed io ero in prima fila, col cuore in gola per l’orgoglio. Poi, a briglie sciolte, in mezzo ad una nube di polvere, ci buttammo in mezzo alla mandria.”
(Cucciolo di Orso:)
“E poi?”
(Orso In piedi:)
“Sei troppo impaziente, figlio mio, ma anch’io lo ero, alla tua età. Dunque, pensavo che sarei finito sotto gli zoccoli di quei bestioni, non vedevo ad un palmo dal mio naso e mi abbracciavo alla criniera della mia cavalla più morto che vivo, quando la polvere si diradò e ci trovammo fuori dal polverone, più avanti della mandria. A quel punto girai la mia cavalcatura e presi a inseguire i bufali…”
(Cucciolo di Orso:)
“Ohhhh!!!”
(Orso In Piedi:)
“Estrassi la prima freccia mentre continuavo a galoppare e colpii al collo l’animale che avevo mirato. Con la seconda freccia lo colpii vicino al cuore, e con la terza lo centrai in pieno. La bestia barcollò ma non cadde…”
(Cucciolo di Orso:)
“Ohi, Ohi!!!”
(Orso In Piedi:)
“…e così tirai la quarta freccia ed uccisi il mio primo bufalo. Però, quando scesi e contai le frecce, mi vergognai, perché quattro frecce sono troppe, per un solo bufalo! Mi ricordai di una volta che…”
(Cucciolo di Orso:)
“Di una volta che?”
(Orso Seduto:)
“Racconta, racconta a tuo figlio!”
(Orso in piedi:)
“Mi ricordai di una volta che mio padre aveva ucciso due bufali con una freccia sola: colpito a fondo il primo bisonte, aveva affondato e poi estratto la freccia, e l’aveva usata per uccidere il secondo bufalo!”
(Cucciolo di orso:)
“Ohhhh!!!!”
(Orso seduto:)
“Ehm ehm…”
Maria Lanciotti