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Cuba. La tecnologia erode il sistema totalitario 
Colloquio con Yoani Sánchez realizzato da Aleaga Pesant per ww.cubanet.org
15 Giugno 2008
 

«Ho vissuto fuori dal mio paese e sono tornata perché ho capito che per me la vita non è da un’altra parte, ma in un’altra Cuba».

«Non sono una professionista dell’informazione, non sono un’analista, non sono una politologa. Se state cercando questo, avete sbagliato persona. Il mio blog è la visione personale, generazionale, emozionale di una cittadina che vive all’Avana».

«Non mi considero una dissidente. Non ho un programma, né un colore politico. Le definizioni di sinistra e di destra sono passate di moda. Per la mia generazione tutto questo è pacchiano, la gente non si definisce per un colore politico. È molto di più. Sono soltanto una cittadina che interpella quotidianamente il potere».

 

 

I lettori della rivista Times selezionano Yoani Sánchez Cordero tra le cento persone più influenti del mondo nel corso del 2008, ma non sanno che questa cubana magra e brillante ha letto i classici della letteratura giovanile e ha studiato per due anni pedagogia, prima di laurearsi in filologia. Yoani a 26 anni lascia Cuba per la Svizzera, a 27 porta con sé il figlio, a 28 rientra nel suo paese, viola le leggi migratorie e per non essere espatriata distrugge il passaporto. Partecipa al progetto della rivista Consenso, decide di aprire un blog che ottiene un incredibile successo e finisce per vincere il Premio Ortega y Gasset.

Yoani vive nell’appartamento numero 12 di un edificio costruito con la tecnica della microbrigada (lavoro volontario tramite il quale un cubano ottiene la sua casa). Il nostro colloquio si svolge in una calda notte di maggio, mentre lei affetta verdure per la cena e io bevo un buon caffè.

 

Quando comincia il tuo amore per la letteratura?

Sono stata sempre una lettrice compulsiva. Ho letto molto da bambina. Mio padre era ferroviere e mia mamma lavorava per strada. Papà aveva una grande biblioteca con diversi libri della collezione Huracán, soprattutto classici. Ho letto Dostoievski, Victor Hugo, Emile Zola, Balzac. Tornavo spesso sugli stessi libri perché non ne avevo altri. L’amore per la lettura mi ha portato a studiare filologia e a specializzarmi in Letteratura Latinoamericana Contemporanea.

A scuola eri una ragazza molto intelligente?

È stato tutto molto complicato. La mia prima aspirazione era quella di fare la giornalista, ma una professoressa di spagnolo che mi dava lezioni private predisse il futuro: “Tu non sarai giornalista. Tu sarai filologa”. Queste parole mi dettero fastidio. “Come filologa? Io voglio fare la giornalista”. Il mio sogno era quella di rincorrere le notizie. Ma lei non concesse speranze: “Tu sarai filologa. È stata una visione”. Ho terminato la scuola superiore senza poter scegliere la carriera che volevo. Mi sono iscritta alla Facoltà di Pedagogia e Letteratura Spagnola. Per due anni ho dovuto conseguire buone valutazioni, per poter passare alla Facoltà di Filologia. Durante le superiori ho letto molta filosofia, autori come Hegel e Kant che mi hanno fatto venir voglia di studiare il tedesco. Ho cominciato a leggere i moderni, come Julio Cortazar, Octavio Paz, Borges e Margherita Yourcener. Ho attraversato la fase in cui ho scoperto la letteratura americana. Ho avuto una fase ottocentesca, un’altra del secolo XX e una classica, perché ho letto anche molti autori greci, come Sofocle e le opere complete di Omero… In ogni caso non mi piace darmi arie da accademica. I libri sono dentro di me. Non è il caso di esibire le cose che ho letto.

Sei avanera?

Sono avanera, nata nel cuore di Centro Avana, in Cayo Hueso. Sono molto cittadina, mi piace il ritmo trepidante della città, perché anch’io sono così. L’Avana mi ha trasmesso il suo eclettismo, sono eclettica come lei. Un giorno posso seminare fiori e un altro giorno riparare una lavatrice.

Quando hai terminato l’Università?

Mi sono laureata nel 2000 e ho cominciato a lavorare nella Editorial Gente Nueva. In realtà, avevo un posto nella Casa de las Américas. Quello era il mio destino. La mia tesi si intitolava Parole sotto pressione ed era uno studio sulla produzione letteraria nel periodo delle dittature latinoamericane. Inoltre avevo ottimi voti e aspiravo a lavorare nella Casa de las Américas. Un giorno, inspiegabilmente, fecero uno scandalo sulla tematica della tesi. Mi tolsero il posto senza dirmi niente e mi spedirono a lavorare in un oscuro ufficio, di un’oscura casa editrice chiamata Gente Nueva. Là facevo di tutto, riparavo computer, mi occupavo di promozione culturale e costruivo pagine web. Tutto, tranne la mia professione. Rimasi in quel posto poco più di un anno, fino a settembre - ottobre del 2001. In quel periodo decisi di andare per strada, come un kamikaze. Non terminai neppure il servizio sociale e per questo motivo non possiedo un titolo di studio valido, secondo le regole della burocrazia. Mi dissi: non ce la faccio più. Lavoravo dal lunedì al sabato, la giornata completa. Tra andare alla casa editrice e mangiare qualcosa nei paraggi, spendevo più della mia paga giornaliera. Se mangiavo una pizza per strada, già sapevo che mi ero spesa tutto il salario della giornata.

E dopo che cosa hai fatto?

Quando mi sono liberata dal lavoro per conto dello Stato, mi sono dedicata a insegnare spagnolo agli stranieri e a far conoscere la città ai turisti (in quel periodo ho studiato tedesco). Se incontravo persone che volevano visitare musei, li assecondavo e facevo vedere i luoghi che conoscevo. Mi sono trasformata in una specie di guida turistica. Presentavo un’Avana diversa, parlavo della doppia circolazione monetaria e dei problemi quotidiani. Questo mi ha aiutato a comprendere la mia realtà. Spiegare la tua esistenza a persone che non sanno niente di un certo tipo di vita è un incredibile allenamento per riuscire a comprenderla. In questa decisione mi ha aiutato molto mio marito, Reinaldo Escobar. Lui è un esempio. Lo hanno cacciato dal giornale Juventud Rebelde e dalla Biblioteca Nazionale. Nella Biblioteca Nazionale, insieme ad altri compagni, chiese in una lettera di analizzare gli accordi presi nel quinto congresso del partito comunista e per questo lo isolarono e lo minacciarono. Lui non si lasciò minacciare, si dimise dal lavoro e si impiegò come meccanico di ascensore. Per molti anni abbiamo vissuto vendendo rum e sigari che ci danno con la tessera del razionamento. Lui è un esempio di come si può mantenere una voce indipendente.

In questo periodo ti unisci a un gruppo di persone con un pensiero alternativo…

Tutto questo ha un’evoluzione molto lunga… Nel 2001, sono riuscita a farmi una professione parallela, da informatica. Ho scoperto che mi appassionava il tema e mi sono messa a studiare come autodidatta. Ho cominciato a capire di software e di hardware… ma nel 2002 sono emigrata in Svizzera. Là ho tentato di fare strada. Ho portato mio figlio con me soltanto un anno dopo. Dopo due anni sono dovuta rientrare, per motivi familiari. Però mi sono messa in testa di non ricominciare tutto da capo. Volevo mettere su un progetto cittadino, civile. Sono uscita da Cuba con un permesso di undici mesi, come tutti i cubani, ma ero stata fuori per due anni, quindi per legge ero considerata emigrante e non potevo tornare a vivere nel mio paese.

Come sei entrata a Cuba?

Sono entrata come turista. Questa è una cosa molto rara, nessuno lo fa. Sono rimasta senza documenti per quasi sei mesi, facendo pressione sulla burocrazia che non ha potuto espatriarmi perché avevo distrutto il passaporto. Non potevano farmi salire su un aereo. Ho vissuto fuori dal mio paese e sono tornata perché ho capito che per me la vita non è da un’altra parte, ma in un’altra Cuba. Sono tornata e sono rimasta illegale, non perché sono una persona stravagante, ma perché le leggi migratorie cubane sono assurde e irrazionali.

In quale anno sei tornata sull’isola?

Sono rientrata nell’agosto del 2004, con un’energia e una grinta enorme accumulata in due anni passati a vedere l’isola da lontano. Rientro come informatica, arrivo all’Avana in agosto, e a dicembre partecipo al progetto Consenso, ma solo in maniera indiretta, ai margini, aiutando tecnicamente. Il nucleo del progetto era costituito da Reinaldo Escobar, che lavorava come Redattore Capo, Marta Cortiza, Eugenio Leal, Dimas Cecilio, Miriam Celaya.

Cos’è per te Consenso?

Consenso è quel lavoro che tutti gli studenti vorrebbero fare per confermare le cose imparate. Consenso per me era una sfida, non ero mai stata webmaster di una rivista e improvvisamente avevo quella responsabilità. Consenso è stata la prova che da Cuba è possibile amministrare un sito web, nonostante le limitazioni per avere accesso a internet. Amministravo e continuo ad amministrare il portale Desde Cuba, posso dire che è possibile seguire un sito internet da Cuba, anche se è un lavoro difficile e delicato. Mi sono interessata della tecnologia blogger e in una settimana ho preparato il blog. In Cuba si utilizzava da tempo questa tecnologia, ma io non l’avevo studiata. La scoperta mi ha entusiasmato, perché mi ha permesso di comporre un diario personale, dove posso fare di tutto, parlare in prima persona e in modo informale. Il blog Generación Y nasce nel mese di aprile dell’anno passato.

Comincia la tua vita da blogger

Ho cominciato a scrivere e nessuno mi considerava. Fino a quel momento a Cuba esistevano pochissimi blog e anche adesso non ce ne sono molti. Al massimo saranno una dozzina. Quando ho cominciato non erano più di cinque o sei. Sto parlando di blog alternativi. La maggior parte di questi bloggers si identificavano con pseudonimi. Altri toccavano temi culturali o folcloristici, parlavano di musica e cinema. Io irrompo con la mia faccia, con il mio nome e questa cosa credo che abbia prodotto empatia con la gente. Non ho cominciato a scrivere il blog con un’idea chiara di ciò che avrei fatto e credo di non averla neppure adesso. Ho voluto liberarmi di una linea editoriale, non ho cercato di affrontare tematiche specifiche e non ho dato un tono alla scrittura. Chiaro, non posso spogliarmi del mio stile personale, ma ho deciso che quello stile fosse al servizio della cronaca, accompagnato da vignette, umorismo e foto. Faccio molte foto, in perfetta sintonia con i testi, non sono una professionista dell’informazione, non sono un’analista, non sono una politologa. Se state cercando questo, avete sbagliato persona. Il mio blog è la visione personale, generazionale, emozionale di una cittadina che vive all’Avana. Questo certamente ti dà molto spazio, perché quando manca una linea editoriale chiara tutto è possibile. La mia avventura è cominciata da un esorcismo personale: Ho alcune cose da raccontare; a nessuno interessa pubblicare questi testi; me li pubblico da sola. Nel blog scrivo le cose che vedo, che mi raccontano, che mi danno fastidio…Posso interagire al tempo stesso con argomenti della televisione, della stampa e con le persone della strada. A volte sono più incendiaria, a volte più politica, a volte mi occupo del quotidiano.

Arriva il premio “Ortega y Gasset”

Il premio “Ortega y Gasset”, credo che sia arrivato per una serie di circostanze favorevoli. Per prima cosa c’è il fenomeno blogger che, in qualche modo, cambia la concezione attuale del giornalismo. Persino i grandi media potenziano gli spazi blog. Comprendono che la gente vuole ascoltare impressioni personali. Il 2007 è l’anno durante il quale esce il mio blog e sale la febbre dell’interesse. Il blog Generación Y tocca cifre di seimila commenti per post, cosa inaudita per quel periodo. Non so spiegare questo fenomeno. Penso che quell’entusiasmo deriva dal fatto che il blog si è trasformato in un foro di discussione. Questa è la cosa più interessante, perché la mia presenza nella blogsfera è di una o due volte alla settimana…Io semino il grano, il piccolo combustibile per discutere, ma il resto lo fa il pubblico…

Il tuo blog si chiama Generación Y

Sì, però non pretendo di essere la voce della mia generazione. Nella mia generazione ci sono investigatori della Sicurezza di Stato e persone che fanno manifestazioni di ripudio. Alcuni scappano a bordo di una zattera (balseros), altri sono estremisti… c’è di tutto. Non ho mai avuto l’idea di fare il portavoce di una generazione. Non mi piace questa cosa di fare da portavoce. Meglio dire: questo è uno spazio per la mia generazione, do il mio contributo, ma se tu hai altro da raccontare, sia che ti chiami Yoandry o Yunieski, vieni qui, perché hai uno spazio.

Dici che i tuoi messaggi sono quelli di una cittadina, non di una dissidente o di una democratica…

Non è mica poco. Essere cittadina è una definizione molto ampia. In primo luogo non mi considero una dissidente. Non ho un programma, né un colore politico. Questa è una cosa tipica della postmodernità. Le definizioni di sinistra e di destra sono passate di moda. Per la mia generazione tutto questo è pacchiano, la gente non si definisce per un colore politico. È molto di più. Preferisco essere considerata una cittadina che interpella quotidianamente il potere. Questa posizione mi piace di più e credo che il concetto di cittadino sia molto necessario nella Cuba di oggi. Nei miei testi non compaiono mai le parole democrazia, diritti umani, libertà, però sono ispirati da questi principi. Noi cubani siamo stanchi della retorica che ci opprime da oltre cinquant’anni e vogliamo parlare in modo concreto. Tento di fuggire dalla retorica e dai luoghi comuni che mi annoiano moltissimo.

Cosa mi dici della tua inclusione tra le cento persone più influenti dell’anno 2008 fatta dalla rivista Time?

Per me è stata una grande sorpresa e credo di non meritarmelo. Mi sembra eccessivo. Però sono contenta di stare là, perché vuol dire che forse qualcosa sta cambiando se non solo le persone famose raggiungono gli spazi pubblici. Arrivare in alto come cittadina può essere un segnale. Sono stata inclusa nella categoria dei pionieri e degli eroi. Preferisco essere cittadina e non essere definita in modo così elevato. Sono arrivata a questa segnalazione in maniera poco usuale, non sono uno stella dello schermo come Angelina Jolie o Brad Pitt. Sono una cittadina che ha cominciato a raccontare la sua realtà e forse i media stanno cominciando a capire che il vero potere è tra i cittadini.

Un terzo premio è quello di blogger prigioniera…

Con l’aiuto di mio marito ho cominciato a fare le pratiche per l’uscita dal paese, ho tentato di spiegare ai funzionari di partito che temevo mi venisse negata l’uscita per una questione burocratica e li ho messi in guardia contro le ripercussioni negative a livello internazionale. Ho telefonato a Eliádes Acosta, dirigente del Comitato Centrale Comunista, sono riuscita a parlare con la sua segretaria Ofelia per evitare che venisse fuori un inutile scandalo. Due giorni dopo è uscito l’articolo sul Time e ho chiamato di nuovo. Lei ci disse che avrebbe spiegato la cosa al compagno Eliádes, che sapeva già tutto. Pregammo di chiamare ancora per evitare le scandalo. Quando ho iniziato le pratiche per uscire, le probabilità erano al cinquanta per cento, credevo sia di poter viaggiare come no. Prima della cerimonia di consegna del premio a Madrid, pensavo che le autorità stessero valutando la questione. Alla fine hanno emesso un documento dove sta scritto che per il momento non posso viaggiare. In quel momento ho avuto la conferma di esprimere qualcosa che in qualche modo sostiene il mio blog: la lotta del cittadino contro il potere. Questo è il mio miglior post dell’anno. Credo che abbiano voluto punirmi, lasciandomi nel paese, però non vedo la punizione. Questo è il mio paese, qui sono tornata volontariamente e per ostinazione personale. Ho dimostrato che amo il mio paese.

È cambiato qualcosa nella tua vita dopo questi alti riconoscimenti?

La mia vita è cambiata poco. A parte il fatto che adesso ci sono più persone che mi chiamano e forse hanno più interesse a conoscermi. Nonostante questo continuo ad avere due vite: una virtuale e l’altra reale. La mia vita virtuale è immensa, enorme, non so neppure io fin dove può arrivare. Ho meno tempo reale, perché ho più responsabilità con il blog. Credo che la visibilità del blog mi dia molta più responsabilità per mantenerlo.

Dietro una grande donna c’è un grande uomo?

Mio marito Reinaldo è fonte di ispirazione, idea, sostegno, il mio braccio destro. Convivere per 15 anni con una persona che promuove il dialogo, il pluralismo, con una vita di soprusi come la sua, è importantissimo. Da quando è cominciata questa storia lui mi sta accanto e si rallegra con me per i successi raggiunti. Sono una privilegiata. Non lo dite a nessuno, non vorrei che me lo portassero via…

Fino a quando ci sarà il blog Generación Y?

Fino a quando avrò voglia di farlo. Il blog vivrà fino a quando avrò qualcosa da raccontare, non voglio fare promesse. Il blog non esisterà sempre, perché le cose si modificano. Voglio seguire i miei progetti fino a dove vogliono andare.

La blogsfera cubana…

La blogsfera cubana è un fenomeno ancora in fasce. Fino a due settimane fa dicevo allo stato embrionale, però adesso credo che sia in fasce. Bisogna contare sulla blogsfera, perché sta diventando sempre più importante. Inoltre, la tecnologia erode il sistema totalitario, è una parabola. La tecnologia si evolve più rapidamente dei censori. I censori possono impedire che mi sieda a un terminale di internet, possono evitare che possieda internet in casa, ma non possono chiudere un dominio web. Non possono impedirmi di pubblicare le mie cose. Per i censori è una battaglia persa. Essi potranno ritardare l’ingresso massiccio dei cubani su internet, ma non potranno evitare che accada. In un paio d’anni tutti i cubani si riverseranno su internet e i blogger avranno un ruolo importante. In questo momento mi piacerebbe che i giornalisti e gli analisti comprendessero i vantaggi del blog. A Cuba registriamo il fenomeno negativo di ottimi giornalisti che hanno cose da raccontare, secondo punti di vista interessanti, ma sono del tutto a digiuno di informatica. I ragazzi della mia generazione, al contrario, dominano i ferri del mestiere, il mouse è una prolunga delle loro mani, ma non sono interessati a esprimere opinioni e spesso non sanno che possono parlare per cambiare le cose. Questo è un vero problema. La vecchia generazione deve salire sul treno della tecnologia e i blog ne rappresentano una forma. La mia generazione deve comprendere che questa tecnologia non serve solo per scaricare giochi, film o musichette, ma anche per esprimere idee.

I tuoi obiettivi sono gli stessi di Eliécer Ávila, leader del Progetto di Vigilanza Tecnologica e Politica, specializzazione di Operazione Verità, dedicata “al monitoraggio costante di internet e alla missione di informazione e lotta in questa area”?

Vivo ogni giorno nel mio blog questo dilemma. Nel mio blog si coniò il termine di Brigata di Risposta Cibernetica (BRC). Le BRC sono gruppi di assalto, radicati a Cuba. Hanno orari. A partire dalle otto della mattina cominciano a boicottare e alle quattro smettono. Sono addestrati ad attaccare con insulti, annunci porno, rubando l’identità di altri commentatori per scrivere in loro nome e seminare il caos. Conoscere questo fenomeno, vederlo dall’interno, mi fa capire che sono privi di argomenti. Questi giovani fanno le cose come un gioco, un divertimento telematico che li porta ad attaccare coperti da uno pseudonimo, ma quando cominci a discutere capisci che non hanno argomenti per difendere le cose che dicono. Eliécer ha molti problemi come me, ma io non trattengo più scontento e frustrazione, mentre lui pensa di poter risolvere i problemi della nostra patria restando all’interno del sistema e dialogando con i suoi capi.

 

Aleaga Pesant (www.cubanet.org, 13/06/2008)

Traduzione di Gordiano Lupi


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