Ci sono cose di cui non è possibile parlare perché solo ad osservarle si ha l'impressione di rovinarle, di non dare loro la giusta attenzione. Ogni parola è di troppo, ogni sguardo in superficie rende vano il tentativo di incasellare le intenzioni dell'autore per descrivere la bellezza sublime dell'opera dell'autore. È una di quelle sensazioni sempre meno riconoscibili, una di quelle sensazioni che lascia muti, estasiati, quasi innamorati. Ugo Cornia, col suo Sulla felicità a oltranza mi ha regalato questa serenità attonita. Leggendolo mi sono scoperta ad osservare il mondo intorno a me con occhi diversi, con una buona dose di stupore e dolcezza in più, come se ogni oggetto dentro di me e al di fuori di me fosse uno spettacolo potente, potentissimo, quasi insostenibile.
Mi ritrovo quindi a volervi trasmettere queste mie emozioni senza esserne capace, basterebbe solo affermare Questo libro è di uno splendore disarmante e poi richiudere le pagine, consigliarvi solo di leggerlo mentre riapro il mio volumetto, cercando di riassaporare quelle atmosfere, quell'essere presente ma invisibile nello stesso tempo.
Tutto ha inizio con una data, il 23 gennaio del 1993, giorno in cui la zia del protagonista muore, in un momento inatteso ma atteso, un avvenimento che lo farà cambiare, riflettere e il lettore non diventa altro che uno spettatore concentrato negli sbalzi di avvenimenti quotidiani che Cornia ci racconta. Dall'età fanciullesca ad oggi, come si può non limitarsi solo a fare un cenno con la testa, ad ascoltare pensieri tanto nitidi, come «In quelle ore del pomeriggio io una volta dovevo fare qualcosa, facevo di sicuro qualcosa. Forse una volta, doveva succedere quando ero nell'infanzia, io al pomeriggio dovevo essere addirittura felice».
Parole semplici eppure che riescono a scavare nell'animo. Chiunque abbia un minimo di tridimensionalità interiore, quella tridimensionalità che a volte uccide e a volte innalza fino al cielo, si ritrova nelle parole dell'autore, pur avendo vissuto in modo diversamente, pur non avendo conosciuto mai quella madre, quel padre, quelle zie, ma ha conosciuto un'altra madre, un altro padre, altre zie. La casa era diversa, le vacanze anche, ma il senso di disagio, il senso di serenità, i momenti trascinati per non dover ammettere che è ora di cambiare, quell'immutabilità del mutabile sono comuni a tutti noi, in modo naturale e semplice. Ciò che non è né naturale né tanto meno semplice è descrivere quest'essenza, per questo Cornia mi ha lasciata – e vi lascerà – sopraffatta dalle emozioni.
Non c'è una trama, come avete ben capito. Solo la voglia di raccontarsi, di raccontare, di ricordare e di farvi ricordare. Persone che convivono con altre persone, che poi muoiono ed altre che continuano a vivere, per poi morire a loro volta, quando verrà il tempo, quando sarà l'ora, nel frattempo vivendo con le voci dei morti nella testa, pronunciando frasi che si ereditano senza nemmeno saperlo.
Sulla felicità a oltranza è la prima opera dell'autore, oggi in libreria con Le pratiche del disgusto.
Alice Suella