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Liceo Scientifico B. Russell: Studium et Ludus. Dall’informe alla parola: l’evento della poesia. (1)
08 Giugno 2008
 

Poeti organizzatori del Progetto

 

Gabriela Fantato, poetessa e critica letteraria. Suoi testi sono stati tradotti in arabo, inglese, francese, messicano, persiano e spagnolo. Libri di poesia: Fugando (1996); Moltitudine (2001); Northern Geography, con traduzione di E. Di Pasquale (2002); Il tempo dovuto (editoria&spettacolo, 2005) e le plaquette d’artista: Forse una geometria (2005) e La profezia era il mare (2006). È presente come autrice in varie antologie poetiche, siti letterari, riviste. Dirige la rivista di poesia, arte e filosofia: La Mosca di Milano. Ha scritto testi in versi per il teatro, tra cui si ricorda Ghost Café, andato in scena al Teatro Donizetti di Bergamo nel 2001. RAI Radio 3 ha mandato in onda in 22 puntate Enigma, poesie sui simboli dei Tarocchi, realizzate per la musica di Carlo Galante. Ha presieduto la giuria del Concorso Letterario 2007 del Liceo Scientifico B. Russell

 

Guido Oldani, nasce a Melegnano (Mi), dove vive, nel 1947. Ha collaborato con le principali riviste letterarie del secondo ‘900, da Alfabeta a Paragone a Poesia. La sua prima raccolta di liriche Stilnostro (Cens 1985) è prefata da un saggio di Giovanni Raboni. Nel 2001 ha pubblicato Sapone (Kamen, rivista Internazionale di Filosofia e Poesia, Edizione Vicolo del Pavone in occasione del X anniversario di pubblicazione della rivista). Nel 2005 ha pubblicato La betoniera (Lietocolle), plaquette tradotta in spagnolo e svedese. È presente in diverse antologie, tra le quali Il pensiero dominante (Garzanti, 2001) e Tutto l’amore che c’è (Einaudi, 2003). Ha collaborato con i programmi culturali di Rai 3. Attualmente collabora come critico letterario con il quotidiano Avvenire. È nel Consiglio direttivo della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano

 

Bernardo Barbata, nato a Palermo sessanta anni fa, è docente di italiano e latino, studioso di psicologia dinamica, dell’età evolutiva e delle emozioni. Opera come volontario presso una ONLUS di Milano che si occupa della prevenzione del malessere e del disagio. Collabora da sempre alla realizzazione del Concorso Letterario del Liceo Scientifico B. Russell. Ha tenuto presso il Liceo Russell un corso su “cosa sia la poesia” e sul “bisogno di fare poesia”

 

Antonella Martinelli, docente di religione al Liceo Scientifico B. Russell. Con il nome di Adele Desideri ha pubblicato Salomè (Il Filo 2003), Aforismi e Hommage à Piero Manzoni (Pulcinoelefante 2005), Non tocco gli ippogrifi (Campanotto 2006). È nell’antologia Milano in versi, una città e i suoi poeti, a cura di A. Gaccione, Viennepierre, 2006. È stata intervistata nella trasmissione “Caleidoscopio”, a cura di Andrea Bobbio, radio PNR, giugno 2007. La poesia “Inganno” è citata nella tesi di laurea di Carla di Quinzio, Dopo il figlicidio come dare spazio alla speranza, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Milano, novembre 2007. È stata recensita su il Corriere della Sera, L’Unità, Il Giorno, La Nazione, Calabria Ora, Poesia. Come critica letteraria ha pubblicato su diverse riviste stampate e on line (tra cui www.liberinversi.splinder.com e www.bottegascriptamanent.it, TELLUSfolio, La Mosca, Le voci della Luna). Collabora come critica letteraria con il Quotidiano della Calabria.

 

 

 

Prefazione

di Antonella Martinelli

(Adele Desideri, nome de plume)

 

Tutto è incominciato una mattina di settembre con una telefonata di Gabriela Fantato, presidente del Concorso Letterario 2007 del Liceo Scientifico B. Russell. «Adele, ho pubblicato le poesie dei tre finalisti del Concorso Letterario del Russell su La Mosca. Che ne dici di presentare nel “tuo” Liceo il volume nel mese di dicembre?».

Sapevo che dando una risposta affermativa mi sarei imbarcata in una serie di impegni senza fine. Ma naturalmente ho risposto che sì, avrei organizzato l’incontro.

Insieme al prof. Bernardo Barbata ho steso il progetto Studium et ludus (il titolo è suo) e - dopo un giro informativo nelle classi quarte e quinte - ho inventato un laboratorio on line di scrittura creativa. I tre studenti premiati al Concorso, ma anche diversi altri loro compagni, hanno proposto i propri testi in versi o alcune liriche e canzoni di autori noti, corredati da un commento. Nelle riflessioni hanno descritto il modo in cui percepiscono l’arte poetica oppure in quale misura e perché si riconoscono nelle opere scelte. Per due mesi c’è stato un intenso e faticoso scambio di mail. I ragazzi hanno realizzato varie stesure, successive le une alle altre: mi premeva che si impegnassero a migliorare il linguaggio, ascoltando i consigli e riflettendo sulle note critiche che proponevo. Non sono intervenuta sui contenuti per due motivi: non ho ritenuto opportuno violare il loro pensiero e, soprattutto, non ce n’è stato bisogno. Tutti avevano inteso al volo l’intento e gli obiettivi del progetto.1 Tutti hanno messo – nero su bianco - i sogni, i dolori, le speranze, le paure, le delusioni.

Terminato il laboratorio, il prof. Barbata ha suggerito alcune ulteriori minime modifiche.

Il 22 dicembre l’aula magna del Liceo era gremita di giovani; c’erano alcuni genitori e docenti, la psicologa dott.ssa Giovanna Di Benedetto, Gabriela Fantato, Guido Oldani, il prof. Barbata ed io.

Gabriela Fantato si è commossa nell’ascoltare le voci - un po’ tremanti e timorose - dei ragazzi, che rivelavano malesseri e dubbi, ma anche aspettative ed aspirazioni. Guido Oldani è rimasto colpito dal coraggio che gli studenti hanno dimostrato nel raccontarsi, tanto da invitarli per una successiva performance presso il Museo della Permanente di Milano. Tra i presenti, i genitori si sono emozionati per la toccante vitalità, per la consapevole sofferenza che i ragazzi hanno documentato; i colleghi hanno sottolineato lo spessore educativo del convegno, che ha sollecitato gli alunni ad apprezzare e a godere della poiesis. C’è stata una sorta di catarsi che ha coinvolto anche i grandi.

I giovani hanno apprezzato l’iniziativa e vi hanno aderito con passione ed entusiasmo, umiltà e costanza. Molti di loro si sono già prenotati per partecipare al progetto nel prossimo anno scolastico.

Francesca Cammarata, Matteo Gibbin e Daniele Gavazza sono stati menzionati sul blog di poesia del Corriere della Sera, curato da Ottavio Rossani.

Ora sto organizzando l’evento del 22 maggio in Permanente, che darà agli studenti del Russell un’ulteriore presenza nell’ambiente culturale milanese, oltre a quella già acquisita, con la citazione nel blog del Corriere, nel mondo letterario nazionale. Ho intenzione di proporre la pubblicazione di questo libretto ad un sito internet che si occupi sia di scuola che di letteratura.

Ed eccolo qui, il libretto. L’idea è stata dell’Associazione dei Genitori del Liceo Scientifico B. Russell, che desidero ringraziare in modo particolare per la collaborazione dimostrata in più occasioni. Ho accolto volentieri il suggerimento.

Credo infatti che sia importante testimoniare il valore aggiunto di quest’avventura letteraria, l’eccellenza della ricaduta pedagogico-didattica del progetto, che si può verificare leggendo le pagine seguenti, lasciandosi coinvolgere - senza frapporre barriere psicologiche o, peggio ancora, culturali - dalle parole singhiozzanti, sognanti, eccentriche, a volte anche un po’ orgogliose e narcisistiche, degli autori.

Nei testi che seguono vi sono, talora, ripetizioni esasperate di fonemi, passaggi formali un po’ aspri, sfumature semantiche non sempre logiche. Non ho voluto, ovviamente, stravolgere i commenti nè tanto meno i componimenti. Mi sono limitata a sollecitare alcune modifiche, evitando però di sovrapporre il mio stile a quello degli scrittori.

Quasi tutti hanno accettato le sollecitazioni, solo qualcuno non si è sentito di modificare, se non in minimi termini, la prima redazione. Tra perfezione e spontaneità ho scelto la spontaneità. Tra controllo della lingua e naturalezza ho scelto la naturalezza. Tra rigore di significato e libera espressione ho scelto la libera espressione. Insomma ho scelto loro, Daniele, Matteo, Luca, Gaia, Francesca, Ilaria, Jacopo, Andrea…

Inoltre, la nota biografica delle opere citate dagli artisti non è purtroppo precisissima.

In qualche caso ho dovuto utilizzare siti internet invece che fonti cartacee. È un metodo che non prediligo. Se è rimasta qualche piccola imprecisione, essa è dovuta alle difficoltà sovra menzionate.

Gustavo Pietropolli Charmet è convinto che «la morte della speranza in adolescenza sia un evento intollerabile». E suggerisce agli adulti di «aiutare gli adolescenti a tenere in vita la speranza che esista un tempo futuro in cui si realizzerà la promessa e il desiderio».

Promessa e desiderio. Di che cosa? Di crescere, penso, e di maturare un’identità forte, consapevole delle proprie potenzialità, dei propri limiti, dei propri bisogni, del proprio spessore culturale ed umano.

Allora, leggiamoli, i documenti dei ragazzi.

 

 

Francesca Cammarata racconta la sua Solitudine: «Come pellicola di cellofan/ la solitudine avanza.// Il suo manto diafano/ mi avvolge./ Sono in carcere.// Ma/ risuona il grido di libertà.//». Fa riflettere, Francesca. L’uomo è disorientato, afflitto dai mille affanni della vita quotidiana, dimentico che forse è necessario sostare, fare una pausa, guardare intorno e abbozzare un sorriso. Un semplice sorriso, per esprimere amicizia, condivisione, empatia, per uscire dall’isolamento.

 

Ylenia Casali sogna: «di essere investita completamente, generata e uccisa ogni giorno da una nuova alba e da un nuovo tramonto; di essere violentata, per così dire, e riempita dall’energia vitale che anima i viventi ed il cosmo intero» (pag. 15). Ylenia vorrebbe una vita ricca di vigore, di luce, di giocosità. Esprime un’aspirazione, un’attesa che interpreta, penso, i più elevati ideali della sensibilità contemporanea.

 

Monica Plantamura ritiene «che l'amore, o la carità, siano dentro ogni persona, indù, cristiana, mussulmana o anche atea». E aggiunge: «Molti uomini, però, non riescono ad esprimere questo moto dell’anima, forse per riservatezza, forse per insicurezza, o più semplicemente per paura. Paura di soffrire». Monica allarga lo sguardo, vola lontano. E fantastica una sorta di agape universale.

 

Francesca Frezza, invece, si identifica nel don Chisciotte: «tenace, me ne sto nel mio piccolo mondo rosa. Mi difendo così da quello che può ferirmi, sapendo però il rischio che corro. Il rischio è quello di restare per sempre intrappolata in una realtà che non esiste. Allora mi sforzo di mantenere un margine di equilibrio tra la vita e l’immaginazione. Per non impazzire, come don Chisciotte». Francesca ci trasporta nel mondo delle favole, dei miti, dell’utopia. Nel mondo del possibile, oltre i confini della concretezza. Ed è saggia, Francesca, non confonde il gioco della fantasia con la follia che non ha puntelli, limiti, e che è di per sé distruttiva. Francesca sa che, dopo avere toccato le stelle, è necessario tornare con i piedi ben fermi sulla terra.

 

Emiliano Miotto si protegge con una maschera, si cela dietro ad un modo di essere che non gli appartiene, pur di sentirsi accolto e considerato da coloro che lo circondano: «Nascondere il malessere mi fa sentire più forte. Non posso permettere che gli altri percepiscano la mia tristezza. Così continuano a pensarmi come un ragazzo allegro, leggero e solare, novantanove giorni su cento. E quell’unica volta in cui con coraggio decido di non sorridere, non se ne accorge nessuno». Credo sia facile riconoscere, nella ponderata meditazione di Emiliano, i piccoli e grandi compromessi che sono necessari per convivere nel mondo del lavoro, in famiglia, a scuola, con gli amici.

 

Ilaria Macario trasmette, con una metafora tanto semplice quanto efficace, il senso del dolore: «Rumore muto: quando nella tua testa c’è una vocina che ti dice che stai male. È muto, il dolore, perché non ne sei consapevole. Tutti ti dicono che va tutto bene e tu ti fidi e dici: “Va tutto bene”. Ma non è così e se solo cerchi di manifestare il turbamento gli altri ti soffocano, ti zittiscono. È un rumore muto che si prende gioco di te». E non c’è niente da aggiungere. È tutto chiaro: il dolore, purtroppo, fa parte dell’esistenza. È un compagno di viaggio ben noto.

 

Linda Pessina tocca il tema della mafia e segna un momento, in questo libretto, di intensa consapevolezza sociale e politica: «Fin da bambina i magistrati Falcone e Borsellino, due uomini fantastici che sono morti per la nostra libertà e per costruire un mondo migliore, sono stati i miei eroi. Fin da bambina ho desiderato di poter contribuire a realizzare il loro sogno: “la lotta alla mafia deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà, che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”2». Linda supera l’intimismo tipico dell’età evolutiva e attesta una precisa responsabilità nei confronti di un tema, quello delle associazioni mafiose, quanto mai attuale e ineludibile.

 

Floriana Frisan, infine, con un’immagine limpida ed incisiva affronta, forse inconsapevolmente, il tema del super-io, dell’istanza, cioè - individuale e collettiva - che con il giudizio, o meglio col pre-giudizio, blocca la naturalezza, la vivacità e l’autostima, e diffonde un clima di insopportabile diffidenza. «Ogni giorno subisco le critiche altrui, ogni giorno è una sfida restare in piedi e non lasciarmi abbattere dalla cattiveria e dall’aggressività di chi mi sta accanto (…). Vivo in un campo minato, i giudizi sono le mine nascoste sotto terra. Basta un passo dalla parte sbagliata perché esplodano e mi facciano del male» (pag. 35). È nella scuola, oltre che in famiglia, che i giovani molto spesso non si sentono accettati. Floriana invita, quindi, ad una scrupolosa meditazione, stimola un confronto ed interpreta uno stato d’animo molto diffuso, purtroppo, tra gli adolescenti.

 

Poco tempo fa ho letto il romanzo di Elisabetta Rasy, l'estranea.3 Mi ha colpito, in particolare un passaggio: «Era evidente che io ero una donna malriuscita, non a caso facevo una professione strana come quella di scrivere. In effetti, è una professione strana cercare di trascinare la forza trascinante del mondo dentro le parole, perché le parole quando si scrive scappano da tutte le parti o si siedono su se stesse come un cane che non vuole muoversi. Quando si scrive, ma certe volte anche quando si parla».

A scuola soprattutto si parla. In questo caso i ragazzi hanno scritto. Hanno scritto liberamente, senza la paura del brutto voto. Hanno potuto essere strani. Hanno potuto esprimere la stoltezza della verità, la provocante libertà dell’atto creativo, la stravagante irruenza dello spirito, quando diviene arte, poesia, parola, storia.

Hanno soprattutto dato voce alla loro “grande speranza di potercela fare a ricostruire il mondo ed il (suo NdA) significato”7.

Grazie, ragazzi.

Antonella Martinelli

docente del Liceo Scientifico “B. Russell”

(Adele Desideri, nome de plume)

(marzo 2008)

 

1 Obiettivi del progetto Studium et ludus, anno scolastico 2007-2008:

Promuovere e divulgare il piacere della lettura poetica, intesa come studium et ludus

Creare una palestra di idee e riflessioni a partire dalla discussione sugli scritti degli alunni premiati al Concorso Letterario del Russell, edizione 2006-2007

Comprendere che la lettura poetica, e la conseguente comprensione del testo, sono processi strettamente connessi alla modalità di creazione dell’opera da parte dell’autore ed ai suoi intenti comunicativi

Ascoltare dalla viva voce di un poeta i suoi versi per cogliere il momento della poiesis, l’accadimento della poesia e la manifestazione del processo demiurgico che genera la parola dall’informe.

2 Paolo Borsellino, Piazza Magione, quartiere Kalsa, Palermo, 23 giugno 1992, in www.cravenroad7.it e in www.unoenessuno.blogspot.com.

3 Elisabetta Rasy, l’estranea, Rizzoli, Milano, 2007.

 

 

 

APPARENZA

 

L'apparenza ha vestito i panni dell'amore

insinuandosi agilmente.

Lo aveva ingannato.

 

(premiata alla Sezione Poesia del Concorso Letterario del Liceo Scientifico “B. Russell” 2006-2007)

 

 

EMOZIONI

 

Fulgide, estenuanti,

estensioni della mente.

Lottano nell'abisso.

Non c’è vittoria.

 

 

SOLITUDINE

 

Come pellicola di cellofan

la solitudine avanza.

Il suo manto diafano

mi avvolge.

Sono in carcere.

Ma

risuona il grido di libertà.

 

 

Proprio in questo periodo stavo pensando a quale fosse il rapporto tra sentimento e poesia. Poi, sfogliando e rileggendo le mie poesie, mi sono accorta che la maggior parte di esse riflettono un profondo disagio e che i vissuti descritti sono tutt’altro che positivi.

Vivo la poesia come valvola di sfogo nei confronti della negatività che mi circonda.

Quando sento che il bagaglio delle emozioni mi appesantisce, prendo carta e penna e, istantaneamente - come se fossi un fiume in piena - scrivo, adoperando le metafore e le parole che in quell’istante mi sembrano più opportune e riuscite.

Così riesco a esplorare la mia interiorità, a carpire l’identità di ogni sensazione che mi invade. Metto li, davanti ai miei occhi ciò mi turba e in questo modo riesco ad accettarlo.

A lavoro compiuto, dopo una prima rilettura, mi capita di provare imbarazzo per quanto ho scritto. A volte l’immagine di me che viene fuori è opposta a quello che credo mi appartenga realmente.

Durante il periodo in cui ho composto “Apparenza”, frequentavo una persona. Dopo aver scritto “Apparenza” ho preso coscienza che tutto quello che credevo di provare era, appunto, pura apparenza. Era un sentimento che mi ero imposta perché desideravo ricevere amore e ricambiarlo. Ero, perciò, innamorata dell’amore in sé e non della persona che mi stava a fianco. È stato duro accettare di avere ingannato me stessa e di avere illuso la persona che credevo di amare.

L’unico sentimento che ricordo di aver provato con molta intensità in quel momento era quello della vergogna.

A volte l’inquietudine o la nostalgia mi offrono l’ispirazione per scrivere, altre volte invece traggo spunto da elementi del quotidiano, che mi ritrovo casualmente a osservare: quando ho composto “Solitudine” avevo davanti a me la figura di mia madre che avvolgeva del cibo nel cellofan. Mentre la osservavo, pensavo che il mio stato d’animo, in quel momento, era proprio così, avvolto in un cellofan, chiuso dentro una morsa impenetrabile di paura e di profonda angoscia. In altre poesie il motore creativo è scaturito invece dalla visione di un film o dalla lettura dei versi scritti da altri poeti.

Così è accaduto per “Apparenza”. Un poeta che amo molto, Jacques Prévert, esordisce nella poesia “Canzone” con queste parole: «L’infelicità si era vestita/ coi vestiti della menzogna».4 È un’immagine perfetta per esprimere il rapporto tra l’apparenza e l’amore.

Molte volte i temi trattati da altri poeti mi toccano intimamente e mi inducono a scrivere.

In sostanza l’estro creativo può essere stimolato da un’infinità di input, ma sempre, io credo, deve esserci un sentimento che scuote le corde dell’anima.

 

Francesca Cammarata, Liceo Scientifico “B. Russell”

 

4 Jacques Prévert, Le foglie morte, a cura di Maurizio Cucchi, Ugo Guanda, Parma, 1980, pag. 103.

 

 

 

Giordano Bruno contro l’universale ordine antico

 

Dal cor immensa forza la sprigiono

E fuoco d´ardor e furor mi sento

E strepito e contro il ciel mi pono

E m´involo ardente al firmamento.

Rombo è la mia scia al ciel, è tuono

Poste le mie piume di fuoco al vento

E corro a lassù, e abbatto e impono

E vo´ morir così, e giammai mi pento.

Immenso al ciel l´abisso del destino

E contr´egli il perder eterno è il patto

Ma ratto cangio l´alma in oro fino

E d´eterea forza al ciel m´abbatto

E cangio l´esser mio e son divino

E presto imbatto e mai sarò disfatto.

 

(premiata alla Sezione Poesia del Concorso Letterario del Liceo Scientifico “B. Russell” 2006-2007)

 

L´uomo in ogni istante della sua vita mette in moto la propria emotività. Tuttavia solo quando questa agisce dentro se stesso, egli è in grado di ritrovare tutta la sua forza interiore, ciò che lo rende, nel suo aspetto, superiore ed eterno. Questa poesia è stata una ri-stesura di un'altra poesia dal titolo: Fulmine mi scaglio all'alto loco a sua volta ispirata da uno scritto di Giordano Bruno, Poi che spiegat'ho l'ali al bel desio:

 

Poi che spiegat'ho l'ali al bel desio

 

Poi che spiegat'ho l'ali al bel desio,

Quanto più sott'il piè l'aria mi scorgo,

Più le veloci penne al vento porgo,

E spreggio il mondo, e vers'il ciel m'invio.

Né del figliuol di Dedalo il fin rio

Fa che giù pieghi, anzi via più risorgo.

Ch'i' cadrò morto a terra, ben m'accorgo,

Ma qual vita pareggia al morir mio?

La voce del mio cor per l'aria sento:

- Ove mi porti, temerario? China,

Che raro è senza duol tropp'ardimento.

- Non temer, respond'io, l'alta ruina.

Fendi sicur le nubi, e muor contento,

S'il ciel sì illustre morte ne destina.

Giordano Bruno, in www.filosofico.net/furori.htm

 

Il testo di Giordano Bruno è per me uno dei più significativi mai scritti. In esso è descritta la forza umana, intesa nella sua capacità di varcare le soglie mortali, per giungere a sfidare i portali dell´immensità del cielo e le energie divine o naturali ad esso opposte. Inserito nell'opera di Bruno Gli eroici furori, mi ha affascinato fin dalla prima volta che l'ho letto. Mentre lo sentivo risuonare dentro di me, mi invadeva un’incontenibile forza emotiva. A partire da queste letture ho iniziato a scrivere la poesia sopra citata. Tuttavia le prime poesie le avevo già composte sin dall'età di undici anni. Ma solo a partire dai quindici ho cominciato a stilare un numero di poesie significativo. La mia scelta della rima alternata è anch'essa condizionata da Giordano Bruno, il quale ne fa un uso che la rende quasi esclusiva. Nel mio componimento è rappresentato l'uomo nel suo apice, capace di sfidare onnipotenze invincibili, che per loro stessa natura sarebbero intramontabili e intoccabili. Egli può essere capace di sacrificare la propria esistenza e di convogliare tutto il proprio vigore in un solo istante riuscendo, così, ad essere al pari di chi gli si oppone. Può divinizzarsi oltre ogni possibile suo limite. Può diventare l'oppressore dei suoi oppressori, trasformandosi in qualcosa capace di ferire il cielo e di opporsi al destino. Tutto questo nell'istante che precede la sua morte. Una morte necessaria, perché con essa i numi sfidati si ristabiliscono nel loro ordine. Queste potenze per loro natura non possono essere che combattute in quel solo momento. Nel momento in cui, cioè, l´uomo abbandona la sua esistenza su questa terra. L'istante diviene eterno e gli permette di assumere l'essenza divina. Divino per un attimo, egli resta divino per sempre.

Giordano Bruno è, secondo me, lo scrittore che meglio ha descritto la forza d'animo dell'uomo, la sua capacità di elevarsi al di sopra dei propri stessi limiti e perciò anche di segnare la propria stessa condanna.

 

Daniele Gavazza, Liceo Ginnasio “T. Livio”

 

 

 

IL FILO DELLA SPERANZA

 

Sottile

scorri sul suo corpo inerme,

flebile

come il suo respiro

ti incurvi docilmente

tra una piega e l’altra

del suo bianco inferno,

per tornare subito dopo

ad esser liscio,

piatto, immobile

fermo, senza movimento.

Ti osservo, da sempre, una vita,

e la stessa immagine appare

nella mia mente che ogni notte,

temendo possa esser l’ultima,

non prende sonno ma resta

muta aspettando illusa

un tuo piccolo gesto,

con la paura

che possa essere la fine del letargo

con la speranza

che possa essere l’inizio del risveglio.

 

(premiata alla Sezione Poesia del Concorso Letterario del Liceo Scientifico “B. Russell” 2006-2007)

 

 

L’idea di scrivere questa poesia è passata nella mia mente in occasione della morte di Piergiorgio Welby e a seguito della lettura di Utopia di Thomas More, in particolare di un preciso passo in cui si parla dello stato di vita vegetativo. Ma, come spesso accade, a causa di impegni inderogabili, non ho avuto l’immediata possibilità di buttar giù sulla carta quello che mi frullava per la mente. Così l’idea, appena accennata, dei versi che ho letto ha continuato a vagabondare nella mia testa. Fino a che un giorno, mentre ricopiavo le composizioni che intendevo mandare al Concorso Poetico del Liceo Scientifico “B. Russell”, è accaduto l’imprevedibile: si è cancellata dal mio computer una poesia a cui tenevo molto. Ho sentito, paradossalmente, quella perdita come se fosse la morte di una persona cara. E tra la rabbia, il senso d’impotenza e il dispiacere, mi sono messo ancora scrivere.

Non c’è stato, all’inizio, nessun particolare processo di meditazione ed elaborazione formale, “Il filo della speranza” ha preso vita di getto - mi vengono a mente gli impressionisti che facevano allo stesso modo con i loro dipinti - buttando giù tutte le emozioni e le sensazioni che provavo, mentre riflettevo riguardo al difficile rapporto che intercorre tra il malato terminale e i suoi parenti. E pensavo agli stati d’animo di chi è legato affettivamente alla persona che è appesa ad un filo, tra morte e vita, e a quanto debba essere difficile affrontare gli ultimi istanti, quando a scomparire è una persona amata.

Naturalmente, poi, ho lavorato a lungo sulla forma e sopratutto sulla scelta dei vocaboli. Devo ammettere che non mi piace parlare delle mie poesie, svelarne le origini più profonde. Credo che sia una sorta di violenza, come mettere a nudo una figlia. Per cui preferisco dire altro in proposito e lasciare agli uditori, o ai lettori, la discussione critica, l’eventuale immedesimazione o coinvolgimento. Infatti ogni mia composizione - bislacca, bella o brutta che sia - è per me una creatura, qualcosa a cui sono necessariamente legato. È inoltre una traccia che potrà affiancarmi per sempre e ricordarmi un piccolo istante di ciò che ho vissuto. Se il fato sarà favorevole e gentile nei miei confronti, forse essa sarà anche un’immagine che resisterà dopo la mia morte, qualcosa di infinito, di eterno.

Quando decido di mettermi a scrivere, all’inizio non penso alla forma, quindi. Butto nei versi tutte le sensazioni e gli stati d’animo che provo, senza alcuna considerazione estetica o grammaticale. Pare forse una pazzia, però questa pratica è frutto anche della concezione che ho della poesia, come espressione libera del sentimento. Non mi interessa, in sostanza, avere come risultato rime baciate o alternate, o chiasmi o anastrofi. Anzi, per essere molto chiaro e forse ancora un po’ ingenuo, odio propriamente le liriche in cui si cerca solamente la bellezza estetica e formale. Ecco perché giungo ad essere uno dei più convinti detrattori di Dante Alighieri: sinceramente non lo sopporto perché mi pare che l’unico suo intento sia stato quello di mostrare quanto fosse bravo nel comporre un’opera immensa, tutta in terzine rimate.

Mio scopo ultimo, quindi, è la più pura espressione dei sentimenti, delle sofferenze, delle tensioni, dei contrasti, delle ipocondrie, ma anche delle gioie e dei piaceri, che albergano dentro di me. Un poeta senza emozioni, non è un poeta. Il poeta, in una qualche maniera, è una figura predestinata, incapace di sottrarsi al destino che lo porta, continuamente ed inevitabilmente, all’esplosione dei suoi stati d’animo nei versi.

Infine la musica mi è essenziale, quando scrivo. E mentre compongo ascolto musica di ogni genere: classica, leggera, pop, commerciale, romantica, e addirittura, paradossalmente, canzoni punk, rock e metal. Talvolta anche semplici suoni e rumori possono però aiutarmi a trovare l’ispirazione. Tuttavia la musica, nel senso più ampio del termine, rimane la mia miglior compagna di scrittura.

Il movente creativo nel mio caso può essere determinato da una riflessione filosofica, tratta anche dagli studi scolastici (e non) e dalle opere dei grandi pensatori. Oppure, a volte, la molla può scattare dalle semplici sofferenze adolescenziali, o dalle aspirazioni del mio animo anticonformista e sognatore, dalle forti tensioni e dai profondi contrasti che sento in me, dal desiderio di infinito, dall’amore per una persona speciale.

 

Matteo Gibbin, Liceo Scientifico “B. Russell”

 

 

 

Fissare il cielo,

osservare

il lento fluire delle nuvole,

perdersi nel vuoto

che trabocca dal cuore.

 

Questa è una poesia che ho scritto in un momento strano della mia vita, un momento in cui pensavo di avere avuto tutto quello che desideravo. Ne ero quasi certo, non fosse stato per una sensazione, un vuoto, una mancanza. Sentivo che in tutto quello che avevo ottenuto, qualcosa ancora non era compiuto. Non capivo bene, tuttavia, dove fosse la falla, il buco, l’assenza.

 

Il tempo,

lento e rapido,

ti cattura tra le spire.

Sei in trappola.

 

Ho scritto questi versi mentre riflettevo sul tempo. Il tempo regola la vita di tutti noi. È spesso per molte persone, ed anche per me, un’ossessione. Il tempo, il senso del tempo che passa veloce come una saetta, ci angoscia: ma il tempo, in fondo, lo abbiamo creato noi uomini per spiegare il continuo alternarsi di luna e sole, di freddo e caldo. È una nostra invenzione. E ne siamo succubi. Ecco, in questa poesia ho voluto alludere alla soggettività, all’inesorabilità del tempo.

 

Il tempo,

il terribile artefice

e padrone

della vita.

Lavoro,

scuola,

famiglia,

denaro,

tempo,

prigione.

La libertà,

è una foglia,

una piuma,

un sorriso,

che il vento porta via.

 

Questa è una semplice poesia sulla libertà. Mi sono chiesto, forse per la prima volta: “Che cos'è la libertà?”.

 

Luca Cappellari, Liceo Scientifico “B. Russell”

 

 

 

VIENI, ENTRA E COGLIMI, SAGGIAMI PROVAMI5

 

Vieni, entra e coglimi, saggiami provami…

comprimimi discioglimi tormentami…

infiammami programmami rinnovami.

Accelera… rallenta… disorientami.

Cuocimi bollimi addentami… covami.

Poi fondimi e confondimi… spaventami…

nuocimi, perdimi e trovami, giovami.

Scovami… ardimi bruciami arroventami.

Stringimi e allentami, calami e aumentami.

Domami, sgominami poi sgomentami…

dissociami divorami… comprovami.

Legami annegami e infine annientami.

Addormentami e ancora entra… riprovami.

Incoronami. Eternami. Inargentami.

 

Non mi è facile commentare questa poesia, ma ci provo ugualmente.

Al di là dei falsi perbenismi, vorrei poter interpretare con le parole giuste il languore erotico celebrato qui da Valduga.

C’è, in questa lirica, una metafora sessuale che sconvolge i modi consueti e tradizionali di concepire la donna: un candido angelo - forse un po’ triste -, oppure una meretrice, o ancora una cortigiana succube dell’uomo.

Ma è il sentimento femminile, qui, a svolgere il ruolo del protagonista. E, soprattutto, non è il sesso ad essere messo in gioco.

Mi spiego meglio. Mi sento affascinata da tutto ciò che mi circonda e osservo con stupore il mondo intorno che cambia, muta, si trasforma.

E sogno. Non voglio che la mia esistenza si riduca ad una quotidiana e noiosa routine di gesti, azioni, riti, compiuti per costruire un futuro rassicurante. Non voglio accettare passivamente ciò che il destino, ammesso che esso esista, mi ha riservato.

Sogno invece di essere investita completamente, generata e uccisa ogni giorno da una nuova alba e da un nuovo tramonto; di essere violentata, per così dire, e riempita dall’energia vitale che anima i viventi ed il cosmo intero.

L’amore per la vita è, per me, l’unica ragione valida per accettare il cambiamento come condizione dell’esistenza, per giocare con gli eventi, sia pure con serenità ed equilibrio. Questa poesia di Valduga è per me allora una preghiera rivolta al creato affinché la condizione umana non sia statica e muta, senza senso e anonima.

Il rossore che divampa le gote, l’ansia che attanaglia lo stomaco, l’ebbrezza dei momenti d’amore, la paura - così come la serenità - sono eventi che donano significato al tempo. Eventi che rendono vivi. E senza la vita non può darsi nemmeno la felicità.

 

Ylenia Casali, Liceo Scientifico “B. Russell”

 

5 In The Love book, Le più belle poesie d’amore di Patrizia Valduga.

 

 

 

La carità è paziente,

è benigna la carità;

non è invidiosa la carità,

non si vanta, non si gonfia,

non manca di rispetto,

non cerca il suo interesse,

non si adira,

non tiene conto del male ricevuto,

non gode dell’ingiustizia,

ma si compiace della verità.

Tutto copre, tutto crede,

tutto spera, tutto sopporta.

La carità non avrà mai fine.

 

Perché ho scelto questo pezzo? Perché ogni volta che lo leggo si muove qualcosa dentro di me. È una sensazione inspiegabile, ma anche estremamente piacevole.

La prima volta in cui ho sentito leggere questo brano stavo guardando il film I passi dell'amore di Adam Shankman, nel quale la parola carità era stata sostituita con la parola amore. Allora non sapevo che si trattasse del paolino “Inno alla carità”, tratto dalla Prima Lettera ai Corinzi. Non avevo mai pensato che carità significasse amore.

Nella tradizione cristiana carità è un concetto fondamentale. È quel sentimento che, se resta ben saldo nel cuore, rafforza sempre più il legame con Dio.

Ma allora chi non crede non ha carità? Non prova amore?

Io penso che l'amore, o la carità, siano dentro ogni persona, indù, cristiana, musulmana o anche atea. Molti uomini, però, non riescono ad esprimere questo moto dell’anima, forse per riservatezza, forse per insicurezza, o più semplicemente per paura. Paura di soffrire.

Credo che «l'amore sia paziente e gentile»,6 aiuti a crescere e fortifichi.

A volte però esso è anche crudele. Può provocare terribili ferite.

E allora, mi chiedo, come può una persona dimenticare il dolore provato per le sofferenze subite da parte delle persone più care e credere ancora in questa forza vitale cosi profonda?

Ogni uomo e ogni donna reagiscono in modo diverso. Alcuni continuano ad amare perché credono profondamente nell’energia positiva degli affetti. Altri commettono il grave errore di raffreddare il cuore. Ma forse tutti alla fine si rendono conto che senza carità non c’è vita.

Gli esseri umani vivono spesso come se fossero in una stanza chiusa, completamente al buio. Hanno timore. Non sanno trovare la via d’uscita. Sono soli.

Ma ecco spuntare una luce, anche se inizialmente fioca. Poi, a volte, questo lume si fa sempre più intenso. È l'amore, che guida verso l'uscita e fa guardare il mondo da una prospettiva migliore.

L'amore è paziente e gentile, dicevo, non è mai geloso.

«Non è presuntuoso né pieno di sé. Non è scortese ed egoista. Non si offende facilmente e non porta rancore. L’amore si delizia della vita. È sempre pronto a perdonare e a dare fiducia, a sperare e a resistere a qualsiasi tempesta».7

Monica Plantamura, Liceo Scientifico B. Russell

 

6 Cor 13, 4-8.

7 Adam Shankman, I passi dell’amore, 2002.

 

a cura di Antonella Martinelli (Adele Desideri nome de plume)

e Associazione genitori del Liceo scientifico “B. Russell” di Milano

 

 

 

...fine prima parte

(liberamente tratto da: tutti i tempi, Oscar Mondadori, Milano, 2003)


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