E così siamo quasi giunti al finale anche se non sappiamo come sarà. Perché sembra che l’affascinante storia del castello di Cusago sia infinita e il suo destino senza pace proprio come gli spiriti delle persone morte violentemente, che spesso si trasformano in fantasmi. Ogni castello dovrebbe avere il suo, ma quello di Cusago, mi spiace per gli amanti della parapsicologia, non lo possiede. Perché è lui, il vero fantasma. È il rudere di un glorioso passato che rischia di essere inglobato nel volgare business dei nostri giorni.
La decadenza totale iniziò quando la famiglia Casati Stampa, in accordo col Comune di Cusago, nel dopoguerra, lo utilizzò per dare alloggio ai Cusaghesi che per colpa del conflitto non avevano più la casa. Stop alla fattoria come in uso nell’800 e alle battute di caccia compiute ancora dal marchese Casati che comunque aveva asportato arredi e suppellettili per metterle nelle altre residenze, quelle facenti parte, come abbiamo visto, della cospicua eredità contesa. Residenze tra cui la villa di Arcore. Le famiglie sfrattate non si fecero scrupoli di rendere il loro soggiorno più comodo e così oltre a mettere tappezzerie sopra gli affreschi e le persiane alle finestre con gli archi in cotto, costruirono anche bagni interni, buttarono giù muri e ne alzarono altri. Una grande casa popolare, nobile, certo, ma popolare dentro la quale oltre agli alloggi, dagli anni ’20 alla metà dei ’70 convivevano in ordine cronologico sparso: il circolo sociale, la balera, qualche officina, la sede del fascio, alcune aule scolastiche, sedi di partito, l’archivio della famiglia nobile e l’immancabile ristorante molto rinomato in zona.
Il Cavaliere, appropriatosene, sul suo destino aveva idee un po’ confuse, ma la discesa in campo e le tante attività l’avevano distratto da tutto questo ben di Dio. Tanto a far funzionare le cose c’erano i suoi uomini e le sue immobiliari… Coriasco, Finedim, Edilnord. Quest’ultima riuscì a far costruire sui terreni del nobile lascito un quartiere residenziale “Milano Visconti”, fotocopia ridotta di Milano 2 e Milano 3 che dà rifugio ai paperoni d’Italia. Sporting privato, servizio di Vigilanza, giardini curatissimi e tanto verde.
Ben presto le famiglie del castello furono spostate in alloggi popolari più comodi e nella nobile proprietà, durante gli anni ’80, rimase soltanto il ristorante denominato originalmente “Il Castello”. Ben presto i pavimenti cominciarono ad essere pericolanti, il tetto a non tenere quasi più e anche il ristorante fu sfrattato. Attorno alla piazza Soncino fu abbattuta una vecchia cascina e ricostruito un nucleo immobiliare nel quale si trovano gli uffici comunali, la posta, attività commerciali e naturalmente appartamenti. Corte Madonnina, il nome, in memoria di una Madonnina affrescata su un muro della vecchia cascina. Il tutto in mano ad Edilnord di Paolo Berlusconi, prima, Pirelli, ora.
Di questi ultimi anni non ci sono documenti in merito al castello, ma i ricordi dei Cusaghesi sono vivi: sappiamo ad esempio che negli anni ’20 si coltivavano bachi da seta proprio come ai tempi dei Visconti… qualcosa quindi era rimasto!
Ma la decadenza era iniziata alla grande. Quando il ristorante venne trasferito il castello venne chiuso. Progetti zero, manutenzione idem. Nessuna delle società s’impegnò in una destinazione d’uso seria e in un progetto di ristrutturazione. Ma si sa che più passa il tempo e più i danni aumentano facendo impennare i costi di un suo recupero. Un castello bollente, quindi, che nessuno vuole a parte i piccioni e i topi ora unici inquilini. Alla faccia di una legge del 1939 e di un seguente decreto legge del 1964 che lo dichiara immobile di notevole interesse storico ed architettonico. Eppure siamo nell’hinterland milanese, nella ricca Lombardia…
Ma nel 1992 quattro studenti di architettura del Politecnico di Milano, Bibiana Castagna, Antonella Paoli, Antonella Ponti e Fulvio Sancito, lo scoprirono, lo amarono a prima vista e decisero di farne l’oggetto della loro tesi di laurea dal titolo “Merito et tempore” (“Con il merito e con il tempo”). Il titolo riprendeva la pennellessa dipinta sul soffitto a cassettoni. Mitici questi ragazzi che presentarono la tesi anche a Paolo Berlusconi oltre alla curiosa cittadinanza (il mese scorso tre di loro, con un quarto architetto, si sono presentati alla nuova proprietà con una attuale proposta di ristrutturazione, ndr). Il lavoro consisteva in un recupero completo e in una destinazione d’uso consona al glorioso passato: un centro dell’antiquariato polifunzionale. Negozi di antiquariato, sala delle aste, locali per esposizioni, laboratori artigianali e di restauro, locali per una fiera dell’antiquariato, sala audiovisivi, depositi, ma anche ristorazione, uffici e casa del custode. Per il recupero, i fantastici quattro prevedevano interventi di pulitura, consolidamento, stuccatura e protezione. Purtroppo dopo una prima curiosità, la tesi venne abbandonata, ma la sezione lombarda de l’Istituto Italiano dei Castelli, sostenitore della tesi, nel 2004 dedicò “Le Giornate Italiane dei castelli” proprio al castello di Cusago con tre conferenze. Poi stop. Un po’ ci pensa la Pro loco che “all’ombra del castello visconteo” si è inventata varie manifestazioni dall’antiquariato (anche lei!), ai fiori passando alle Giornate Medievali con accampamenti, tornei, cene medievali, falchi, mercato degli antichi mestieri. Tutto ciò sembra però non bastare per far conoscere la situazione e smuovere le acque.
L’ultima proprietà, una cordata di azionisti, l’aveva comprato da Finedim e ne voleva fare una scuola di botanica, un’università del verde. Le Belle Arti erano d’accordo, i soldi sembrava ci fossero. Sembrava… Allora s’interessò anche il Parco Agricolo Sud che di una parte ne voleva fare la sua sede. Il business tra Parco, proprietà e Comune svanì e la proprietà la scorsa estate decise nuovamente di rivenderlo.
Non lo vuole proprio nessuno questo castello pieno di guai… Eppure abbiamo detto che è esente da presenze spiritiche.
Così il futuro acquirente sarebbe l’immobiliare (un’altra? Uf!) Kreiamo di Cesano Boscone, che vorrebbe fare del castello la sua sede di rappresentanza. Ma avrà i soldi necessari? La stima molto approssimativa è di circa 20 milioni di euro. Riuscirà in tempi se non brevi, vista l’imponenza dell’immobile, almeno decenti?
Intanto il paese non sta a guardare e oltre a spettegolare, “Aspettano che crolli per farci le villette” frase gettonatissima nei ritrovi alcolici, vuole darsi da fare. È nato così il comitato “Salviamo il castello di Cusago” costituito da cittadini che, ci tiene precisare “è un comitato apolitico” oltre ad aver raccolto 3.000 firme. Il comitato desidera un recupero in tempi brevi, ma teme anche una speculazione immobiliare. Inoltre vorrebbe che il Comune ne acquisisse una parte per una fruizione pubblica. Insomma, che non sia l’ennesimo passaggio di proprietà senza nulla di fatto né un luogo per pochi come il Castello di Tolcinasco diventato resort di lusso per golfisti.
L’anno prossimo ci saranno le elezioni e 3.000 firme impensieriscono o forse possono essere una spinta in più. Nel frattempo la Sovrintendenza ha incontrato sindaco e comitato e poi, separatamente, i vertici di Kreiamo. Ora si attende un incontro collegiale durante il quale Kreiamo sveli la destinazione d’uso e il progetto di recupero. Il FAI, l’Istituto Italiano dei Castelli e molte associazioni sul territorio simpatizzano e appoggiano la richiesta del comitato.
La questione è complessa, ma soprattutto è scandalosa. Intanto per chi abita in zona potrà ammirare le antiche mura, la torre imponente e gli artistici rattoppi durante le manifestazioni che di tanto in tano vi si tengono... Come quella di florovivaismo, del 6 aprile, “Giardini nel tempo”.
Fiori e colori per coprire le vergogne di un rudere abbandonato e per dare speranza ad un recupero annunciato… con il merito e con il tempo?
Simona Borgatti
(4 - fine)