Si resta stupefatti e inebetiti di fronte al clima di violenza, che a tutti i livelli di convivenza, sta investendo il nostro paese.
Dovunque si sente parlare di atti di intolleranza e la cronaca abbonda di episodi che dimostrano la recrudescenza di una violenza che fino a ieri abbiamo condannato come espressione di barbarie. La violenza sta diventando una costante del nostro vivere quotidiano e l’indifferenza denuncia uno stato di malessere latente presente già da tempo nel nostro paese e che investe tutti i settori della società; ci si interroga su cosa abbiamo sbagliato se tutto va alla deriva, se non c’è più armonia tra gli individui stessi, se non c’è il rispetto delle regole secondo dettami democratici, se tutto si sfalda dalla famiglia alla scuola, se non ci sono ideologie storiche a supporto di una realtà che muta, se non siamo più capaci di accogliere, di capire, di tollerare, di dialogare, se la paura e il timore hanno sostituito i nostri valori di una convivenza civile e democratica, se abbiamo perso il senso di pietà e di amore che ha alimentato la nostra cultura, se abbiamo dimenticato i nostri morti e le nostre lotte in nome di un’unità, di una democrazia, di una bandiera che ci affratellasse nella nostra identità, in un’ideologia che ci portasse ad aprirci alla diversità secondo i veri valori cristiani. Si ha l’impressione che il cambiamento che ha investito il nostro paese sia la soluzione a tutti i problemi, rifiutando ciò che siamo stati e che oggi non siamo; c’è la volontà di agire senza vedere, di colpire senza capire, di serrare le porte e lasciare fuori le nostre responsabilità.
Si cerca un capro espiatorio come panacea ad ogni male, e non ci rendiamo conto che stiamo uccidendo la nostra parte più nobile: il cuore, il sentimento, l’emozione.
Forse stiamo vivendo il sonno della ragione che ci impedisce di guardarci intorno e di vedere il baratro che ci attende; la cecità ci chiude gli occhi, perché così si vuole che sia, siamo vittime di un momento di buio mentale in cui i nostri valori affondano, senza difesa.
A nulla vale essere buoni con chi è lontano, a nulla serve prodigarsi per chi soffre, quando la sofferenza è nelle nostre case, a nulla vale parlare e predicare se alle parole non segue il giusto esempio. Forse siamo ancora in tempo per aprire gli occhi e vedere che tutto è falsato intorno a noi come falsata è la nostra identità storica che ci differenziava dagli altri: la razionalità ci deride, la sensibilità si nasconde, l’amore è sepolto, le case sono serrate, le ronde, obbrobrio di ogni società si organizzano, i rifiuti sono l’immagine di un paese nella cui immondizia il pensiero annega; un letame che ha sepolto il credo, il buon senso e il dialogo. Ma c’è una parte della società che aspetta risposte serie e concrete, che vuole e che deve continuare il dialogo con la storia, che manifesta con la violenza il proprio disagio, che si ribella a una società nella quale non si riconosce; una parte di noi verso la quale abbiamo grosse responsabilità legate al nostro egoismo e all’egoismo di quanti nel corso di questi anni non hanno saputo o voluto fare un passo indietro e di quanti pensano che il rimedio ad ogni male sia la lotta alla diversità, dimentichi che così, in sordina sono state costruite le grandi tragedie che ancora oggi ci investono e ci fanno arrossire e vergognare. Riprendiamoci la vita ed educhiamo i giovani secondo i modelli e i nostri valori che ci hanno contraddistinto, secondo l’esempio di tolleranza, di convivenza, di ospitalità, di un credo democratico; quale storia racconteremo ai nostri figli, se non quella priva di un presente ideologico; sarà una favola triste dove donne e bambini vengono offesi nella loro dignità, dove le parole non diventano fatti, dove il credo non attecchisce, dove le Istituzioni non rispondono secondo le nostre attese. I nostri figli si volgeranno indietro per capire e vedranno il presente martoriato da differenze che fino a ieri gli abbiamo insegnato a rifiutare e ci interrogheranno; ma di quale religione, di quali leggi, di quali principi potremo loro parlare? La vergogna opprime lo spirito di chi rifiuta la violenza, di chi ha creduto e ancora crede in una società più giusta, meno legata alla logica del denaro e più agli affetti, i soli capaci di coprire la “crepa” che si allarga a dismisura per inghiottirci.
Noi dobbiamo riappropriarci del nostro ruolo di educatori ed educare secondo una traiettoria storica dove non c’è posto per la violenza, facendo appello a tutti i linguaggi della comunicazione, anche per confutarne messaggi impropri; potremo forse a nostra discolpa dire ai nostri figli e ai nostri giovani che a un tratto ci siamo imbarbariti perché abbagliati da promesse e parole, che abbiamo usato la violenza uccidendo e devastando, dimentichi di tutto ciò che siamo stati e cedendo a tentativi subdoli? Potremo reggere a tanta e tale vergogna? Potremo definirci educatori, potremo insegnare loro con i nostri principi, quando li abbiamo impunemente violati? Cosa racconteremo? E come coniugheremo tutto questo con l’educazione che pretendiamo loro impartire? È questa la ferita più profonda e più lacerante: il loro giudizio sarà inclemente verso chi, preso nell’ingranaggio del momento, potendo, non ha voluto o non ha saputo aprire gli occhi della propria ragione. Ma nel profondo, nessuno di noi vuole ciò, allora sforziamoci di richiudere la “crepa” con il dialogo e il buon senso, affidandoci ancora una volta all’“educazione” e alla formazione, agendo in tutte le sfere sociali per poter guardare con tranquillità i nostri figli senza vergognarci.
Anna Lanzetta