Michele Apicella, personaggio principale di quasi tutte le opere di Nanni Moretti, è reduce da un discorso in televisione sulle vere ragioni del movimento comunista. Cos'è il comunismo? Come si muove, in Italia? E soprattutto: si muove ancora?
La pellicola si apre con il protagonista in macchina, che canta “E ti vengo a cercare” di Franco Battiato e che perde il controllo dell'auto, andando a sbattere. Sin dalle prime immagini viene mostrato il forte disequilibrio di Michele, i suoi dubbi, il suo cercare delle risposte dalle stesse domande ossessive di secoli. Le sicurezze di un tempo, quelle che lo spingevano anche ad atti crudeli (come fissare un cartello sopra un fascista, con scritto “sputatemi addosso”) oggi sembrano decadute. La genialità del regista è quella di raccontare tutto questo utilizzando la metafora della pallanuoto.
L'allenatore che parla, parla, parla, di possibili tattiche che si san già che non funzioneranno mai, ma poi devono funzionare per cosa? È chiave una delle prime frasi pensate da Michele: “sta parlando di uno sport. Ma quale?” Tutti si disperdono, tranne il più giovane. Forse l'unico che può ancora essere illuso da qualcosa. Gli altri si muovono per inerzia, per non tradire qualcosa che non si conosce più .
L'intero film, o quasi, viene girato dentro ad una piscina. I protagonisti principali sono quattro: la squadra vincente, la squadra perdente, il pubblico e l'emozione.
La spiegazione simbolica della squadra vincente e di quella perdente è quasi superflua (quando mai, i comunisti, hanno vinto in Italia?) , il pubblico rappresenta la classe elettorale, che soffre per le solite storie che si ripetono da decenni. Eppure, come ogni volta che il Dottor Zivago scende dal tram per raggiungerla (lei, l'amore) il pubblico soffre, così ad ogni elezione l'allegro (anche se non troppo) teatrino si ripete. L'attesa, il credere ancora in qualcosa. Per questo il sentimento è il quarto elemento portante della pellicola. Senza sentimento il comunismo non sarebbe esistito. Il sole dell'avvenire è solo un palla di cartone attaccata con lo spago, solo che ai tempi nessuno sembrò accorgersene.
Limitare questa pellicola ad una semplice autocritica del movimento sarebbe superficiale. C'è molto molto di più. Rappresenta non solo la sinistra di un tempo – ma anche quella di oggi, a ben vedere – ma anche quel giornalismo senza slanci, ricco solo di luoghi comuni e frasi fatte. Il giornalismo superficiale, supponente. Chiave la scena in cui Michele viene intervistato e si mette a urlare: Come parla! Con tutta la disperazione accumulata.
Michele si ritrova ad avere a che fare con individui urlanti, con i quali non riesce nemmeno a confrontarsi. In realtà, nessuno parla con nessuno, tutti si vomitano addosso le solite (in)certezze secolari.
Tutto ciò che vediamo è simbolico. Dalla squadra vincente (in partenza) che non spreca nemmeno tempo per preparare tattiche di attacco, in quanto conosce perfettamente la situazione dei perdenti (che hanno perso, perdono, e perderanno per sempre), dal pubblico intero che canta E ti vengo a cercare a cappella, in un momento di estasi comune, di aggregazione, che però finisce così come arriva, da un secondo all'altro, spinti ad urlare qualcosa di incomprensibile contro un nemico invisibile.
Significativi anche i paralleli con Michele da piccolo, quando tutto era ancora da decidere, quando avrebbe potuto cambiare sport, dall'inizio, senza perdere tutto quel tempo e ritrovarsi, trent'anni dopo, nella stessa situazione iniziale.
Una delle pelicole più isteriche di Moretti, critico e lucido. Alcune scene sono irresistibili. Come la visione pubblica di Dottor Zivago (con un uomo che dice: “Avvisatemi quando arriva il pezzo del tram che scappo, non resisto!”), il dialogo con la figlia e quello sopra citato del coro del pezzo di Battiato.
Da vedere più volte, per cogliere ogni sfumatura. Geniale.
Alice Suella