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Marco Cipollini: S. Vivaldo contra Montignoso
San Vivaldo
San Vivaldo 
24 Maggio 2008
 

In Toscana un luogo assai frequentato nelle gite familiari è San Vivaldo; il richiamo è dovuto ai boschi vasti e rigogliosi e all’aria fine, ma principalmente alla cosiddetta Gerusalemme, che vi fu costruita tra il 1500 e il 1515. È un complesso di una ventina di cappelle, ciascuna di una forma peculiare e con all’interno un grande altorilievo di terracotta dipinta, raffigurante un episodio della Passione. Papa Leone X, della famiglia dei Medici, concesse l’indulgenza a quanti vi compivano un pellegrinaggio, dato che quello in Terrasanta era divenuto insostenibile dopo la conquista turca. Il complesso architettonico, grazie anche alla sua dislocazione silvestre, doveva apparire un piccolo paradiso a quei pellegrini che allora vi giungevano dopo un cammino lungo e travagliato. Gli altorilievi della Passione, con il loro stile fortemente espressivo e predicatorio, sono quanto di meglio può dare l’arte popolare; e forse a quel tempo, in pieno Rinascimento, era impossibile creare qualcosa di artisticamente mediocre, specie in un’area d’influenza fiorentina.

Se proseguite per qualche chilometro verso Il Castagno, trovate un altro luogo di culto, Montignoso. Sulle rovine di un vetusto castello fu edificata una chiesetta romanica, di architettura ruvida e onesta. Oggi vi opera la congregazione dei Servi del Cuore Immacolato di Maria. Ma oltrepassate il cancello: per un attimo non ci credete; ma chiusi e riaperti gli occhi… Sì, esiste! Davanti a voi si estende per uno o due ettari una Disneyland del sacro.

Appena entrati, da una teca vi sorride la statua colorata, ad altezza quasi naturale, di papa Wojtyla, il quale soavemente minatorio vi introduce in quel pietrificato carnevale tropicale. Eccolo: intorno a un grande spiazzo pavimentato con pacchiane lastre da giardino, si dispiegano a U casette e grotticelle che sembran fatte col pongo. Sono di una dimensione mal definibile, come affette da gigantismo nano, e si espandono pure sul poggiolo retrostante. Laggiù a sinistra, invece, intravedete un auditorium all’aperto, che si duplica coperto da una grande tettoia sostenuta da alte colonne, incredibilmente rosee; la presenza di un altare e di una croce lo qualifica come un’area di culto.

   Intanto avanzate verso la Gerusalemme dei Puffi, tra costruzioni da Pianeta delle scimmie e statue bamboccione, come fatte di marzapane colorato. Provate a ridere, ma non vi riesce. Colui che concepì questa “cosa” si sarà creduto colpito da un fulmine mistico. Io ci vedo piuttosto lo zampino peloso del Supremo Parodista. All’inizio dello spiazzo, entro un recinto sta accucciato un cammello, grosso poco meno la metà del naturale, addobbato di una gualdrappa rosea (il rosa confetto è la nota dominante di questa sinfonia cacocromatica). Una lapide, ivi, consiglia di farci sedere i pargoli per la rituale fotografia di famiglia, sorridente a duecento denti. Quindi i passi barcollanti vi conducono alla Casa del Faraone, un microcesso sorvegliato dai leoni del Marzocco (avete letto bene), finché non arrivate alla Casa dei Pastori, i quali, a letto sotto le coperte, sono destati dall’angelo. Chi ha montato questo teatrino nemmeno conosce il Vangelo, dove i pecorai dormono all’addiaccio per sorvegliare il bestiame. Un tempo, quando “ci si credeva”, per questi scherzi si portava il cilicio a vita. La Capanna (formato pigmeo) con Gesù Bambino è invasa da pecore e agnelli, ce ne son più che in Abruzzo o in Sardegna. Il Bambino se ne sta smarrito lì in mezzo, comprensibilmente. In ogni quadro, poi, su una lapide sono attaccati dei ciottoli: provengono dalla Terrasanta! Vi arrovellate a capirne il senso. Io ci ho visto, sottinteso, uno scopo umanitario, cioè togliere pietre alle sassaiole nella striscia di Gaza. Ci si chiede pure dove si sia potuto reperire così tanta paccottiglia color pastello, se da un fabbricante dei Nanetti e Biancaneve o, data la quantità, se sia made in China. Un sorriso flaccido suscitano le altre lapidi che, in ogni stazione, riportano i nomi dei “mecenati” che hanno finanziato questo sciocchezzaio. Sì, è bene che ne rimanga il nome.

   Dopo aver girato per questo ferro di cavallo, proseguite salendo a sinistra, dove vi attende il tirassegno con Pilato, etimologicamente (!) pelato. E a suo modo un capolavoro è l’Ultima Cena, alle cui pareti sono incollate patacche di gesso colorato con i fiorellini, da salotto buono di Nonna Speranza, e di un’idiozia esulcerante sono i medaglioni con gli angiolini rococò. Poco oltre stanno allineate delle baracchette in muratura con incapsulati padripii ecc., con fotografie e nomi dei dedicatari. Il gusto è microborghese, da poveri quattrinai che presumono con quattro mattoni di aver eretto ai cari estinti una cappella medicea. Fin dove arriva la pietà filiale! Oppure è una vendetta inconscia verso i genitori? Eppure alla gente tutto questo piace. Vi si aggirano gruppetti di persone che esclamano: “bellino! Guarda quello! Fammici una foto!” E certo prediligono questa colluvie di Kitsch al parco di Collodi, che nel suo genere è un gioiello.

   Di chi è la colpa di questa disfatta educativa? Non ditemi, per favore, che “è dei tempi”, perché c’è sempre una responsabilità puntuale. Se si tollerano a stento i putti di terracotta che pisciano nelle fontanelle private, qui non si può, perché si tratta di un’opera di apostolato. Qui si tocca con mano quanto sia scivolata ai tacchi la cultura del clero regolare e secolare, che mosso dalla volontà (non so quanto pia) di far rientrare nei recinti ecclesiali il gregge smarrito, così operando è sceso al suo livello, e pertanto ne avalla il degrado culturale, e in definitiva lo perde.

   Ci si chiede: ma che bisogno c’era di questa caricatura di santuario ad appena qualche chilometro dallo splendido San Vivaldo? E come reagisce a tutto ciò l’alto clero toscano? Non si possono non conoscere tali facezie panoramiche, che se le avesse realizzate l’Associazione Atei e Agnostici, giustamente sarebbe stata portata in tribunale per vilipendio alla religione. E la Regione Toscana, cosa aspetta a contrastare questo scempio paesaggistico? Vieni qua, presidente Martini, e facci un bel discorsino sulle strombazzate “Terre del Rinascimento”! Vieni anche tu, Alberto Asor Rosa, a veder dove arriva la gentile e cólta Toscana! E voi non venite, Vittorio Sgarbi e Antonio Paolucci, che tanto vi scalmanate per un civilissimo tram a Firenze? Attaccatevi a questo di tram! E naturalmente anche tu, caro Philippe Daverio, porta qua il tuo papillon inamidato, e mostraci a tutto schermo il tuo faccione sbigottito. (L’invito non è rivolto al Bonito Oliva, marca leader dei critici sottaceto, che queste cose gli garbano, specie se ridicolizzano il sacro.) Ma soprattutto si richiede la presenza di Monsignor Ravasi, coltissimo ministro della cultura dello Stato Vaticano, che si perde dietro agl’inani convegni su fede e darwinismo. Venga piuttosto a Montignoso, ove darwinisticamente è palese una tremenda involuzione culturale che si spera non sia dovuta alla fede. Gradiremmo un suo parere sincero e possibilmente pubblico. Perché è assurdo che si sostengano simili buffonate e nel contempo si proclami inscindibile il legame tra l’Arte e la Religione Cattolica. Dall’Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis (41):

 

“Il legame profondo tra la bellezza e la liturgia deve farci considerare con attenzione tutte le espressioni artistiche poste al servizio della celebrazione. […] Lo stesso principio vale per tutta l'arte sacra in genere, specialmente la pittura e la scultura, nelle quali l'iconografia religiosa deve essere orientata alla mistagogia sacramentale. Un'approfondita conoscenza delle forme che l'arte sacra ha saputo produrre lungo i secoli può essere di grande aiuto per coloro che, di fronte a architetti e artisti, hanno la responsabilità della committenza di opere artistiche legate all'azione liturgica. Perciò è indispensabile che nella formazione dei seminaristi e dei sacerdoti sia inclusa, come disciplina importante, la storia dell'arte con speciale riferimento agli edifici di culto alla luce delle norme liturgiche. In definitiva, è necessario che in tutto quello che riguarda l'Eucaristia vi sia gusto per la bellezza. Rispetto e cura dovranno aversi anche per i paramenti, gli arredi, i vasi sacri, affinché, collegati in modo organico e ordinato tra loro, alimentino lo stupore per il mistero di Dio, manifestino l'unità della fede e rafforzino la devozione.”

 

Non so se la devozione ne sarà rafforzata (ne dubito assai), ma certo una visita a Montignoso lo stupore lo alimenta, non per il mistero divino, ma per l’altrettanto infinita ottusità umana. Non si tratta qui di non voler condiscendere alla “pietà popolare” o ai “poveri di spirito”, bensì di condannare questa epifania dell’ignoranza; perché qui si tratta — ecco il punto — di un attentato alla nostra civiltà, che tanto ci si ripromette di difendere. Da chi e da cosa? Da sé stessa?! Oh i tanto conclamati Valori! Magari sbandierati dai fautori di questa emorragia d’imbecillità, che nemmeno il Flaubert di Bouvard e Pécuchet arrivò a concepire. I pochissimi chilometri fra San Vivaldo e Montignoso denunciano, oltre l’incolmabile distanza che ci separa ormai dall’età più gloriosa della nostra arte, l’attuale miseria culturale e morale, generalizzata. Giova riportare un aneddoto. Quando uscì Riso amaro, questo bel film nazional-popolare fu attaccato ferocemente dalla stampa cattolica, sessuofobica, per quel geyser di sano erotismo che era Silvana Mangano. Scandalizzò i benpensanti perché leggeva sdraiata Grand Hotel! Ma fu aggredito anche da quella comunista, blindata nella difesa ideologica del neorealismo. Giuseppe De Santis, il regista, andò da Togliatti e gli chiese come mai nel Partito ci fossero tanti critici cretini. Il Migliore, sorpreso di tale ingenuità, replicò press’a poco: “per forza che ci sono! Non siamo mica una cricca d’intellettuali, siamo un grande partito popolare!” Or dunque, se non stupisce che nella Chiesa Cattolica, per sua propria definizione Universale, tantopiù ci sia una pletora di (a voler essere indulgenti) semplicioni, che in Paradiso forse ci finirà ugualmente, nemmeno sorprendano così tanti componenti del clero di un livello culturale infimo. Se già il presente del Cattolicesimo ci riserva questa slavina di obbrobrii — e una volta buona bisognerà parlare della moderna architettura sacra — ebbene, un’alternativa più spiccia ed efficace all’insegnamento di storia dell’arte nei seminari potrebbe essere uno scambio culturale con i Talebani, tecnici esperti di iconoclastia. Se ne avverte tanto il bisogno a Montignoso.


Marco Cipollini

 

 

"San Vivaldo contra Montignoso" uscirà nell'estate 2008 sulla rivista Erba d'Arno, 112-113.


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