La famiglia italiana è cambiata. Ce ne accorgiamo anche nei nostri paesi. La riduzione della natalità ora si è estesa anche al Sud passando da 4-6 figli a 1-2, mentre al Nord è frequente il figlio unico. Per mantenere la media dell’1.8 a fronte di un 2.8 meridionale, il 45% ha un solo figlio.
Le riflessioni del parlare comune riguardano la varietà, la vivacità delle famiglie di un tempo, quando attorno alla tavola si riunivano molte persone e i bambini crescevano in una ragnatela di relazioni.
L’attenzione sulla donna che lavora e, quindi, spesso sceglie di non generare figli, è un tema di energica discussione fra generazioni culminanti, spasso, nel giudizio sanzionatorio del “non voler figli perché costringono a un maggior lavoro”. Non è semplice l’organizzazione dentro casa soprattutto se il contesto lavorativo è poco flessibile; a volte può ancora essere ostile, nonostante la normativa a favore della maternità
In effetti, conciliare lavoro fuori e dentro casa con una famiglia da crescere richiede un buon equilibrio e molte energie da dedicare a tutti i membri familiari. Ecco perché nasce il primo figlio e e in molti casi resta unico.
L’aspetto che, a volte, viene sottovalutato è l’educazione dei figli unici. La rarefazione dei bambini fa convogliare sull’unico figlio le gioie, ma anche le ansie, i dubbi, le aspettative dei genitori e dei parenti. Si investe il bambino di pesanti responsabilità che rischiano di renderlo ansioso se non riuscirà a soddisfare le aspettative. Molte aspettative, poi, sono orientate al successo nei vari campi, figlie dei modelli di riferimento sociale, e può essere frustrante doverle rincorrere!
Un bambino su cinque, in Italia, è colpito da depressione, dicono i dati di questi ultimi anni.
Crescendo il bambino si confronta e si scontra solo con figure adulte, al massimo qualche altro suo coetaneo se la variabile generazionale gli permette dei cugini. La relazione che si costruisce è, quindi, di tipo verticale. La mancanza di quella orizzontale, tra fratelli, rischia di portare a una carenza di socializzazione primaria, cioè dei comportamenti che i fratelli adottano (screzi, intimità, litigi, amicizia e complicità…). Diventa difficile vivere questa socializzazione solo ai giardini oppure con i coetanei al corso di… dove vigono regole precise.
Per non creare le premesse a una difficoltà nella relazione serve offrire molti contesti di incontro e scontro fra coetanei, dove i bimbi se la vedano da soli, dove possano fare esperienza, mettersi in gioco, sperimentare atteggiamenti e comportamenti.
Ogni decisione educativa diventa a rischio se non c’è nel contesto parentale un buon equilibrio affettivo. Come dirgli di no? Come sgridarlo se è così solo? E come fargli assumere le sue responsabilità quotidiane senza un confronto con altri bambini? Saranno pochi o tanti i compiti che gli possiamo affidare?
Come in ogni questione di vita esistono degli indicatori che tracciano la rotta. I bisogni del bambino sono quelli di sempre: il bisogno di autonomia, di scoperta del mondo, di stare con altri bambini, di giocare, di provare desiderio. Spesso colmiamo i bambini di beni materiali ma non soddisfiamo il bisogno di sicurezza, di dedizione, di stabilità affettiva, di coerenza educativa, che rimangono fondamentali anche nell’era tecnologica.
Chi si occupa di educazione sa che giorno per giorno si occupa di dubbi e incertezze, non ci sono ricette, ma buon senso e affetto finché il bambino camminerà con le sue gambe.
La nostra attenzione non si allenterà anche quando sarà cresciuto, saremo presenti quando ha bisogno, ma se gli abbiamo dato alcuni strumenti adeguati saprà cavarsela da solo, perché ciascuno, comunque, vive in prima persona l’avventura della vita.
Fausta Svanella