L’ex ministro dell’Interno Giuliano Amato, l’altro giorno, ha messo il dito nella piaga: in Italia c’è effettivamente troppa detenzione preventiva e poca certezza della pena. Da tempo i radicali sostengono che quella della giustizia negata è la vera, grande emergenza di questo paese.
Abbiamo assistito a una virulenta campagna demagogica sulla cosiddetta sicurezza. È stato uno dei cavalli di battaglia del centro-destra durante la campagna elettorale; ma è un “qualcosa” che si è scatenata prima: all’indomani del provvedimento di indulto che noi radicali abbiamo fortissimamente voluto e per il quale ci siamo battuti.
È evidente che l’indulto è stato un provvedimento impopolare. Però occorre fare i conti con la realtà: nelle carceri italiane erano recluse 20mila detenuti in più rispetto ai posti disponibili. L’indulto insomma è stato un provvedimento assolutamente giustificato. Contestualmente, si sarebbe dovuto emanare un provvedimento di amnistia per sgomberare le scrivanie dei magistrati di centinaia di fascicoli “minori” e comunque destinati alla prescrizione, e consentire loro di potersi dedicare ai procedimenti più gravi. Una campagna demagogica, allarmista, fascio-sfascista lo ha impedito. C’era inoltre urgenza e necessità di provvedimenti che si sarebbero dovuti inserire nel quadro di riforme strutturali della giustizia e del sistema penale. Così non è stato, e questa inerzia oggi produce i frutti che sappiamo e che anche il presidente Amato denuncia.
L’indulto ha comportato un massiccio – e temporaneo – sfoltimento nelle carceri; e con una buona dose di ipocrisia si è sostenuto che in questo modo centinaia, migliaia di criminali sono stati lasciati liberi di scorrazzare nelle nostre città. Ipocrisia e improntitudine: ogni giorno, grazie a quell’amnistia quotidiana che si chiama prescrizione, sono decine i detenuti che lasciano la cella. Ma in questo caso nessuno si scandalizza, nessuno sembra farci caso. Soprattutto il recupero umano dei detenuti sembra non interessare quasi nessuno. A fine luglio, su circa 30mila detenuti usciti dal carcere per effetto dell’indulto, ci sono state appena 158 borse di lavoro che hanno portato a otto assunzioni; niente, come niente sono le attività lavorative all’interno del carcere. Secondo le ultime rilevazioni sono meno di un migliaio o detenuti che lavorano veramente all’interno del carcere.
Nelle carceri italiane ci sono più imputati che condannati. Ogni dieci detenuti, sei sono in attesa di giudizio. Significa che solo ventimila sugli oltre cinquantamila detenuti, è stato condannato. Il 38 per cento è costituito da stranieri; il 23 per cento da tossicodipendenti, circa uno su quattro; un altro due per cento ha problemi di alcolismo. Entro la fine dell’anno, si prevede che nelle nostre carceri saranno stipate oltre 62mila persone. Questo significa il rischio di implosione del sistema penitenziario, con le prevedibili, inevitabili tensioni e possibili rivolte. «Occorre agire strutturalmente, e siamo in grave ritardo. È realistico immaginare che un nuovo indulto non appartenga alla fantascienza ma alle necessità possibili». Non lo diciamo noi, ma Eugenio Sarno, segretario generale della UIL-penitenziari.
Queste sono le cifre e i dati di un’emergenza che dovrebbe, potrebbe essere tema per un’ampia riflessione, per un grande dibattito. Purtroppo si preferisce fare demagogia e propaganda invocando una “tolleranza zero” che ha il sapore delle proverbiali grida manzoniane.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 13 maggio 2008)