La capital de ¿todos? los cubanos
Tengo veinte minutos para llegar del Parque Central hasta una pequeña Galería –cercana a la Plaza Vieja- donde un amigo expone sus cuadros. Si intento seguir a pie me perderé la parte del discurso inaugural y el pintor naif no me lo perdonará. Capturo un bicitaxi y le ofrezco diez pesos porque vaya a toda rueda. El ciclista me mira alegrándose de las pocas libras que tendrá que cargar y tararea un reggaetón que dice “le gusta el bate a la mujer del pelotero, le gusta la carne a la mujer del carnicero… y la del bombero me está pidiendo fuego…”.
Ya estamos en marcha y durante el trayecto me siento como una estirada señorona subida en palanquín. Aligero mi culpa pensando que si no fuera yo, el pobre chofer habría tenido que cargar un par de gordos que también le hacían señas. No he salido del remordimiento cuando éste desatiende el timón y me pregunta: “¿Eres de La Habana?”. Confirmo mi origen citadino y con ojos codiciosos me dice “Yo soy de Guantánamo. Estoy buscando alguien que se case conmigo para que me ponga en el registro del carné de identidad. ¿Estás soltera?”
Lo directo de la propuesta me deja abrumada. Quiero explicarle que ya tengo pareja, que no poseo una propiedad donde inscribirlo y salvarlo de la deportación. Se me ocurre aclararle que mi barrio está muy próximo a esa torre -en forma de pirulí truncado- donde se alberga el poder, lo cual hace extremadamente complicado domiciliar una nueva persona. Todos los argumentos para negarme a tan súbito pedido de matrimonio se los resumo en uno breve “No puedo”.
El hombre me mira como si lo estuviera condenando al centro de retención de “ilegales” por el que ya ha pasado. El mismo sitio de donde salen ómnibus cada semana para extraditar, junto a un acta de advertencia, a los que están “sin papeles” en La Habana. Su mirada me hace sentir culpable de haber nacido en esta ciudad achacosa y exclusiva, coqueta con el turismo internacional y ceñuda con los compatriotas de otras provincias.
Estoy a punto de cambiar de idea y casarme con él, pero llegamos al lugar de la exposición y mi amigo el pintor me salva del anillo de bodas.
Yoani Sánchez
La capitale di tutti? i cubani
Ho venti minuti per arrivare al Parque Central fino a una piccola galleria - vicina alla Plaza Vieja - dove un mio amico espone alcuni suoi quadri. Se voglio proseguire a piedi perderò la parte inaugurale del discorso e il pittore naif non me lo perdonerebbe mai. Catturo un bicitaxi e gli offro dieci pesos perché vada a tutta velocità. Il ciclista mi guarda rallegrandosi delle poche libbre che dovrà trasportare e canticchia un reggaetón che fa “le piace la mazza alla moglie del battitore, le piace la carne alla donna del macellaio… e quella del pompiere mi sta chiedendo fuoco…”.
Siamo già in marcia e durante il tragitto mi sento come una superba signora alzata sopra una portantina. Alleggerisco la mia colpa pensando che se non fossi stata io, il povero autista avrebbe dovuto caricare un paio di grassoni che anche loro gli facevano cenni. Non sono ancora uscita dal rimorso quando l’autista trascura il timone e mi chiede: “Sei dell’Avana?”. Confermo le mie origini cittadine e lui con occhi bramosi mi dice: “Io sono di Guantánamo. Sto cercando qualcuno che si sposi con me, perché mi inserisca nel registro della carta di identità. Sei nubile?”.
Una proposta così diretta mi lascia imbarazzata. Voglio spiegargli che ho già un compagno, che non possiedo una proprietà dove poterlo iscrivere e salvarlo dalla deportazione. Devo chiarirgli che il mio quartiere è troppo vicino a quella torre - in forma di cono rovesciato troncato - dove risiede il potere, che rende estremamente complicato domiciliare una nuova persona. Tutti gli argomenti per negarmi a una tale repentina proposta di matrimonio li riassumo in un conciso “Non posso”.
L’uomo mi guarda come se lo stessi condannando al centro di ritenzione degli “illegali” dal quale è già passato. Lo stesso luogo da dove escono autobus ogni settimana per estradare, insieme a un atto di avvertenza, coloro che sono “senza documenti” all’Avana. Il suo sguardo mi fa sentire colpevole di essere nata in questa città malaticcia ed esclusiva, civetta con il turismo internazionale e accigliata con i compatrioti di altre province.
Sono sul punto di cambiare idea e sposarmi con lui, però siamo arrivati al luogo della esposizione e il mio amico pittore mi salva dall’anello di matrimonio.
Traduzione di Gordiano Lupi