È ormai diventato chiaro a tutti che siamo costretti a una corsa contro il tempo. L’Italia, in particolare, deve affrettarsi a lottare contro la velocità di restringimento del cappio al collo che ha e che è diventata allarmante. La nostra nazione rischia di regredire, come livello di vita, in un mare di inutili accuse e recriminazioni tra ricette, di destra e di sinistra, “per uscire dalla crisi”. Ma non ci salverà né la destra, né la sinistra, se non troveremo le soluzioni tecnologiche per il problema più drammatico che abbiamo di fronte: quello dell’energia. L’inesorabile aumento quotidiano del prezzo del petrolio e le scontate dichiarazioni del Presidente dell’Iran, Mahmoud Ahmadinejad, per il quale il prezzo di 120 dollari al barile è ancora troppo basso, non lasciano alternative: non ci resta che correre, per eliminare o almeno ridurre drasticamente la nostra dipendenza energetica da chi vende energia.
La situazione dell’Italia è tra le più gravi. Perché consumiamo troppa energia e perché ne produciamo troppo poca. Siamo uno dei paesi a più alto rischio di “crisi energetica”.
Sulla corsa a cui siamo costretti pesano, oltre alla nostra natura più simile a quella delle cicale che a quella delle formiche, due grossi errori di portata storica.
Al primo errore siamo stati costretti dall’ingordigia delle compagnie petrolifere, ma anche e soprattutto dalla cecità o dall’incoscienza dei governi dei vincitori dell’ultimo conflitto mondiale, che vietarono, con il Trattato di Postdam del 1945, la produzione di idrocarburi sintetici e addirittura la prosecuzione degli studi, per migliorare le tecniche per abbassarne i costi di produzione. Gli Alleati rastrellarono la Germania requisendo tutti i brevetti (poi sfruttati). Fotografarono tutto il fotografabile degli impianti, arrestarono centinaia di scienziati tedeschi e li costrinsero ad andare a lavorare negli Stati Uniti.
Poiché anche l’Italia, dietro la formidabile spinta della Germania, si era mossa verso la sintesi degli idrocarburi, pensando di sfruttare il carbone della Sardegna, il divieto che ci fu imposto nel ’45 e la successiva ottusità economico-scientifica, hanno prodotto un ritardo di quasi un secolo per l’inizio della corsa alla quale siamo ora obbligati.
Il secondo errore ce lo siamo andati a cercare con il famoso referendum con cui, in modo quasi plebiscitario, gli italiani, nominati in blocco, ope legis, esperti di problemi nucleari e ambientali, rinunciarono alle centrali nucleari.
Pochi sanno che già la Germania pre-nazista era stata sensibilissima al problema della produzione di idrocarburi sintetici. Pochi, anche tra fisici, chimici e ingegneri, sanno che circa un secolo fa, nel 1913, alcuni famosi scienziati tedeschi (Bergius, Bosh, premi Nobel nel 1931, per la chimica) e successivamente, intorno agli anni ’20, Franz Fischer e Hans Tropsch, misero a punto delle tecniche che, usando il carbone di cui la Germania era ricca, realizzavano la sintesi di idrocarburi anche liquidi, cioè la benzina sintetica. Il geniale brevetto Fischer-Tropsch è ancora oggi alla base di quasi tutti i procedimenti per ottenere prodotti di sintesi da tutti i materiali biologici (per via del loro contenuto in carbonio) e addirittura dall’anidride carbonica esistente nell’aria.
Pochi sanno che, tra le iniziative non errate dei governi nazista prima, fascista e franchista subito dopo, ci furono ingenti finanziamenti statali a favore sia della ricerca che della produzione a livello industriale, soprattutto della benzina sintetica.
Forse è utile ricordare che, con pochi collaboratori e limitatissimi mezzi economici, Bergius scoprì quali tipi di carbone e in quali condizioni si ottimizzava la produzione di benzina sintetica. Con lo scoppio della Grande Guerra e il rapido peggioramento degli eventi legati alla controffensiva francese sulla Marna, i comandanti tedeschi toccarono con mano l’importanza vitale dei carburanti e, in piena guerra, ottennero grandi finanziamenti per ridurre i costi della sintesi degli idrocarburi. Nel 1916 Bergius realizzò uno stabilimento nei pressi di Mannheim. Gli studi si concentrarono soprattutto nel tentativo di ottimizzare il passo più critico del procedimento: l'idrogenazione del carbone, ovvero la reazione che, partendo da molecole contenenti atomi di carbonio ottenuti dal carbone, in presenza di vapor acqueo ad alta temperatura, genera molecole di sintesi, contenenti atomi di carbonio e ossigeno. Una pausa sia nella ricerca, che nella frenesia della produzione, si ebbe quando la Germania conquistò i giacimenti petroliferi romeni. Nel 1918, con la sconfitta, seguì inevitabilmente un periodo di crisi e di stasi.
Ma Bergius trovò finanziatori tedeschi e olandesi che gli consentirono di realizzare, negli anni 1922-1925, una “fabbrica” che produceva benzina sintetica dal carbone.
Nel 1925 si interessò alla produzione di benzina sintetica la Badische Anilin und Soda Fabrik (nota come BASF ancora oggi).
Nel 1927 fu avviata la costruzione a Leuna della prima grande fabbrica di benzina sintetica che nel 1931 era in grado di produrre 300.000 tonnellate di benzina all'anno.
Nel 1935 la produzione arrivò a 400 mila tonnellate per toccare i 6,5 milioni di tonnellate nel 1944.
E poi? E poi, abbiamo visto, seguì una politica inqualificabile dal punto di vista innanzitutto scientifico, ma anche economico e politico.
Forse non tutti sanno che, date le enormi quantità di carbone esistente sulla Terra, l’energia che se ne potrebbe ricavare è di gran lunga superiore alla somma delle energie ricavabili da tutte le altre fonti non rinnovabili, compresa quella nucleare. E forse non tutti sanno che attualmente il Sud Africa produce e vende benzina sintetica. E chi sa che le compagnie petrolifere attualmente mischiano alla naturale una certa percentuale della sintetica? Perché? Ma per aumentare i guadagni, visto che la sintetica ormai costa meno della naturale e per allungare i tempi delle speculazioni sull’esaurimento dei giacimenti petroliferi.
Una nota a carattere personale: le Università di Perugia, Milano e Parma rispettivamente tramite i gruppi di ricerca dello scrivente, del Prof. V. Ragaini e del Prof. P. Moggi, sono promotrici, insieme a due università cinesi di una proposta per realizzare un reattore per la produzione a livello industriale di idrocarburi sintetici. Questi tre gruppi hanno ricevuto un bel no alla richiesta di finanziamenti inoltrata al Ministero.
È prevedibile che anche l’Italia si rimuoverà, finalmente, verso la sintesi degli idrocarburi, perché gli USA, dopo averne ritardato gli studi in tutto il mondo, stanno “scoprendo” la benzina sintetica. Ecco quanto riportano, infatti, le agenzie, dopo altre notizie riguardanti la sperimentazione effettuata con cacciabombardieri vecchi che, senza che si fossero apportate modifiche ai motori, hanno usato benzina sintetica.
La risposta al bisogno energetico degli Stati Uniti potrà arrivare nel ventunesimo secolo dal carbone. Lo affermano Klaus Lackner e Jeffrey Sachs, ricercatori americani della Columbia University di New York, in uno studio pubblicato la settimana scorsa. In un momento in cui l’impennata dei prezzi del petrolio spinge a cercare soluzioni alternative poco costose e di produzione nazionale, i due ricercatori suggeriscono l’uso dei carburanti liquidi ottenuti dal carbone. Si tratta di sfruttare il processo di “liquefazione del carbone”, già conosciuto ed utilizzato soprattutto in Sud Africa. Secondo Lackner e Sachs sarà solo necessario ricorrere ad un’infrastruttura più consistente per fabbricare benzina, diesel e kerosene a prezzi più bassi degli attuali.
La beffa finale.
Paolo Diodati