1970, alba dell’8 agosto, Roma, quartiere Parioli. La nobiltà romana, il bel mondo e il popolino rimangono scossi dall’efferato omicidio-suicidio del conte Camillo Casati Stampa; il nobiluomo, sconvolto dalla gelosia, uccide la seconda moglie, la procace Anna Fallarino, il suo amante e si suicida: il tutto a colpi di revolver. Oltre all’aspetto pruriginoso della vicenda che anima i telegiornali e i commenti al bar – sembra che il conte consumasse tendenze voyeristiche insieme alla bella moglie – scattano sui giornali gli scoop sulla cospicua eredità mentre gli occhi dei famelici fotografi non smettono di scrutare ogni espressione sul volto della contessina Annamaria.
La ragazza, non ancora maggiorenne – lo sarà da lì a due anni – avuta dalle prime nozze con Letizia Izzo, è sconvolta, oltre che dal dramma personale, anche per il can-can mediatico scandalistico e per l’ingente eredità: un patrimonio che comprende, in mezza Lombardia, tenute agricole, terreni, scuderie, ville, appartamenti, palazzi, un castello, gioielli, quadri, mobili e ovviamente azioni. La stima, denunciata colpevolmente in difetto nel 1971, ammonterebbe a 2 miliardi e 400 milioni di lire nonostante la stampa favoleggi a 400 miliardi.
La polizia indaga e scopre, dall’analisi balistica, che i colpi sparati dal conte hanno freddato Anna Fallarino all’istante; la cosa è molto importante perché in questo modo l’eredità, per legge, passa direttamente alla figlia e non ai parenti della Fallarino, cosa che del resto essi auspicavano. E chi, al posto loro, non l’avrebbe sperato?
La ragazza è giovane, non può appropriarsi di tutto il patrimonio, urge quindi trovare un avvocato ed ecco che esso si materializza nelle vesti di un giovane, ma non giovanissimo, rampante professionista da Reggio Calabria: Cesare Previti, coinvolto in un primo tempo dai familiari della matrigna – un caso? – che si prenderà a cuore la debole fanciulla e soprattutto la sua eredità. Il monte premi è alto per chi si dimostrerà servizievole e così la zia Emilia Izzo chiede di partecipare alla riffa, ma… la nipotina si presenta a Palazzo di Giustizia di Roma scortata da Previti e dal senatore liberale Bergamasco, vecchio amico della nobile famiglia, e precisa di voler essere affidata a quest’ultimo. Nonostante la legge preveda che sia un parente a doversi occupare di un minore orfano, il tribunale di Milano dà il benestare all’anziano senatore. Previti, rimanendo il protutore, guarda e fa l’inventario: sarà il legale rappresentante degli interessi della contessina in caso di conflitto tra quest’ultima e Bergamasco, quindi è meglio conoscere la quantità patrimoniale. Ovvio.
Il 21 ottobre Annamaria, sotto stress per la stampa-avvoltoia, abbandona la patria trovando rifugio nell’arcipelago delle Seychelles dove si occuperà in prima persona di una struttura turistica. Il dado è tratto: Previti gestisce concretamente, Bergamasco burocraticamente. Il patrimonio è sparso in tutta la Lombardia ed è difficile da inventariare e da valutare, inoltre sembra che dal conteggio risultino mancanti alcuni appezzamenti nell’agricola Cusago, paese posto a 6 Km, direzione Ovest, dal capoluogo in cui i possedimenti dei Casati Stampa annoverano anche un castello visconteo.
E così si arriva al 1972, anno in cui Annamaria diventa maggiorenne rifiutando di occuparsi personalmente del lascito e riaffidando, con esplicito mandato, la fiducia a Bergamasco.
L’anno seguente sposa un Donà delle Rose decidendo di vivere in Brasile e incarica Previti di vendere la favolosa tenuta di Arcore. L’acquirente è un Cavaliere che in 10 anni continuerà a rinviare i 500 milioni pattuiti rogitando definitivamente nell’80, dopo aver fatto pagare alla nobile ben sette anni di tasse. E Cesare lascia fare.
Ma torniamo in un’altra campagna, quella posta ad ovest: Cusago. Dopo aver venduto, disperso, distrutto, regalato (?) arredi e suppellettili del castello in cui soggiornarono perfino il Moro e Beatrice d’Este, nel 1979 avviene la scrittura privata – si badi: scrittura privata, non contratto – tra Annamaria e la Coriasco, immobiliare nella cui orbita gravitano sia il Cavaliere che l’avvocato. La contessina riceve, a titolo di permuta, azioni dei Cantieri Riuniti Milanesi che si scopriranno essere prive di valore, l’immobiliare incamera terreni con fabbricati sia rustici che urbani.
In seguito, Coriasco venderà i terreni, castello incluso, ai Cantieri Riuniti Milanesi acquisiti dal Cavaliere, che di lì a breve fonderà il gruppo Fininvest e l’immobiliare Edilnord gestita dal fratello Paolo. E il 15 novembre 1989 avviene la firma tra comune e immobiliare per la relativa convenzione urbanistica. Sindaco di allora e di oggi, Luigi Cairati, democristiano.
Quante discussioni animarono la tranquilla vita del paesello: parte dell’opposizione remò contro, ma la meglio la ebbe il Luigi che comunque cercò di scendere a patti; nuovo centro residenziale sì, ma di metratura limitata rispetto al progetto originario. Palazzine? Sì, ma alte non più di tre piani e poi giardini, parchetti fruiti anche dalla cittadinanza: non un quartiere chiuso come Milano 2 e Milano 3 bensì aperto verso il paese. A questo si aggiunge il rifacimento di piazza Soncino, la piazza dove sorge il castello, testimone silenzioso di dubbiose transazioni affaristiche: la cascina Cairati viene completamente rasa al suolo per lasciare il posto alla Corte Madonnina dove s’insedieranno gli uffici comunali, appartamenti e attività commerciali sempre di proprietà Edilnord e facenti parte anch’essi a Milano Visconti.
Un’eredità, un castello, un cavaliere: ieri come oggi… e le congiure di Palazzo proseguono!
Simona Borgatti
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