La micrologia, lo scrivere breve, è uno dei tratti distintivi (certo non l’unico e forse non il più rilevante) che marca il Novecento e sfora oltre. Ma esso non va unicamente ricondotto all’aforisma che, per quanto breve, è una forma del tutto strutturata e concettualmente chiusa. Una cosa sono gli aforismi (che si pongono come veicoli di messaggi più o meno definiti: “Tutta l’arte è assolutamente inutile”, sentenziava ad esempio Wilde), un’altra è la scrittura sfrangiata e frammentaria che si pone come una linea curva destinata a rimanere aperta: un respiro solidificato.
Certo non aforismatica, in quanto antisapienziale se non addirittura anticoncettuale, è la scrittura breve di cui si compongono i Quartini di Gaetano Testa e Francesco Gambaro. Inaddomesticabile al suo interno, il libro appare sorprendente fin dalla consistenza materiale: già la sua forma quadrata rimanda subito al titolo e innesca un fulmineo gioco di rimpiattino fra significante e significato, ponendo come elemento strutturale l’idea di specularità. Il volume si presenta infatti come un doppio assemblaggio di brevissimi testi (ma sono in tutto ben 500 per ognuno degli autori), frammenti di scrittura in prevalenza di quattro righe, composti da due autori che senza dubbio si possono considerare fra i principali protagonisti della sperimentazione espressiva di area palermitana (che affonda robuste e “nobili” radici in lontani sussulti ai fianchi del Gruppo 63, il cui convegno di fondazione si tenne appunto a Palermo).
Testa e Gambaro hanno al loro attivo anche diversi volumi pubblicati autonomamente (si veda ad esempio per Testa il feltrinelliano romanzo d’esordio del 1968 o il recente La coda di Tatai pubblicato con Flaccovio e per Gambaro i volumi editi con Sellerio o l’ultimo, Sia affar vostro, edito con Flaccovio). Tuttavia lo scrivere in coppia è nel loro caso una procedura ormai consolidata e naturale, che li ha condotti a pubblicare prima di questo almeno altri tre libri stesi secondo una struttura “speculare”. Il fatto è che i due autori, pur appartenendo a generazioni diverse (Testa è del 1935, Gambaro del 1954), hanno alle spalle un comune percorso costellato di mille sintonie, comuni avventure culturali, esperienze di vita in continua straniante interazione con una Palermo sentita come allettante, asfissiante, perigliosa e avvolgente. Fra i tanti, l’elemento che li pone più marcatamente in tangenza è però un’idea di scrittura come dato corporale, ritmata sulle pulsazioni cardiache, in scandalosa “presa diretta” con la vita.
Questi Quartini vanno dunque letti come uno sterminato e sfrangiato inventario della quotidianità: somigliano a macchie sulle lenzuola, ai ronzii delle orecchie, agli oggetti insignificanti che lo sguardo incontra per caso, agli odori corporali, alle extrasistoli della mente. Sono sedimentazioni di fiati, tracce di vissuto raccolte sui fogli con lo stesso incalzare caotico con il quale le molteplici sollecitazioni sensoriali ci vengono incontro (dall’esterno o dall’interno, non importa).
Trasformati in parole, però, questi microtasselli dell’esistenza diventano altra cosa, non restano pure e semplici testimonianze, ma si trasformano in oggetti caldi e strani che ci consentono una presa di distanza, una focalizzazione dilatata come da un cannocchiale rovesciato che rimpicciolisce e riduce tutto ai minimi termini, ma nello stesso tempo ci dà conto della natura sfrangiata, minuscola e smisurata nella quale noi tutti formicoliamo alla rinfusa insieme a scarafaggi, idee, grattacieli, miraggi, virus, sogni e galassie: “un quotidiano misura impeccabile dell’universo, al quale è affidato l’unico senso possibile di ciò che siamo e di ogni suo costante tradimento. Ovvero, alla fine, il nonsenso dell’essere” (Guido Valdini, dall’intervento di presentazione).
I testi sono accompagnati da 19 tavole grafiche di Gaetano Testa, calco perfetto delle pagine scritte e straordinaria prova di duttilità espressiva da parte di questo grande performer del segno, la cui mano scrive o disegna indifferentemente e ininterrottamente; e che negli anni non ha mai smesso di estroflettere nella sperimentazione più variegata, felice, furibonda e lancinante ogni molecola del suo essere nel mondo.
Alfonso Lentini
Da “Quartini” di Gaetano Testa e Francesco Gambaro
(Nuova Ipsa editore, Palermo, 2007)
Gaetano Testa:
7
una gallina volante
forse non è un bel vedere
ma io ho già un volo di sparviero
e una vista adattata al fetore della carogna
15
non parlerei di elementa
re sopravvivenza e neppure
di vera e propria vita parlare di
niente è propriamente ciò che faccio
16
la funzione dell‘aggeggio
complicatissimo è rispondere
alla complicazione scalare scalan
do la complicazione che sopravviene
17
ci giro attorno
perché tu non veda
che ogni tanto mi fermo
dove tutto l‘attorno è in moto
18
il punto è
che ci sei anche tu
e osservarti mi distrae
dal mio essere di fronte a te
19
dunque
la gallina vola la
ruota cade il bimbo peta
il miele scorre e il chip lo lecca
20
ti metto in mano
due anelli di acciaio
e un sacchettino di cacao
e ti dico portami dalla mamma
21
pioviggina
abbiamo l‘ombrello la
strada non è poi tanto lunga se
ci alziamo sulle punte vediamo cos‘è
25
oltre le bottigliette
i flaconcini i pennarelli
che ti sistemo in una scatola di scarpe
bada alla polvere che fa coni negli angoli
26(21sett)
i semplici
e i menocinque
mi stanno sequestrando
oggi la mente domani il corpo
38bis
mi chiedi poi
mentre ingolliamo miele
se voglio o no venire a vedere
le tue rose canine da combattimento
42
le tue natiche conservano
una morbidezza una tinta una
linea da inferno rosa mi valuto
l‘altezza del balcone e i passanti
65
ti sto parlando di lei
e qualora pensassi che invece
ma no io non penso e tu neppure
quasi quasi tanta identità ci strozza
66
serena di notte telefona
da accascina che dormirà
sola nel mezzo del deserto paura
e sonnifero e tu che fai le dici buonanotte
69
un signore
sostenendomi fa
stia fermo si appoggi
al muro 5 secondi e stia dritto
71
mi guardo allo specchio
dell‘ingresso vedo una faccia
in una corona di peli bianca che
ha l‘occhio lucente e fa brutte smorfie
76
la regola non c‘è
la sfera è stazzonata
valentina non sarà mai pronta
comandano i polpacci il piede recrimina
77
vengo da k
mi fermerò un istante
a m dove c‘è un punto di ristoro
se trovo una parallela secondaria la prendo
78
non voglio
evitare ma voglio
se possibile incontrare
con qualche anticipo me stesso
79
tuona e ora piove
il volo della mosca si ferma
nella memoria di lunghe ditate
e cacchette sul vetro sporco di polvere
135
mentre ti parlo osservi
una mosca che non vedo mi giro
a verificare continuando a parlare di
ciò che è un braccio con ascia che mi squarta
Gaetano Testa è nato a Mistretta nel 1935. Fra i suoi libri: S. p. A. (Feltrinelli, 1963), 5 (Feltrinelli 1968), L’idea del consumo (con Elio di Piazza, Flaccovio, 1973), Per approssimazione (Flaccovio 1978), Borno (con Francesco Gambaro, Perap 1990), Azzonzo (Perap 2001), Kleenex (con Francesco Gambaro, Flaccovio 2003), La coda di Tatai (Flaccovio 2004). Ha al suo attivo mostre personali alle Case Di Stefano di Gibellina, all’Ars Nova e al Teatro Biondo di Palermo.
***
Francesco Gambaro:
518
mi sono svegliato stanco
essendomi addormentato sui trampoli a molla
518
di conseguenza ho questa forma di strabismo dislessico
che mi si spalma lungo il corpo
e mi impedisce di leggere i giornali
514
pigio sui tasti senza fermarmi
il senso del nostro scrivere
sta tutto dentro questo frenetico mestiere
486
se la vedo la prendo a schiaffi
per tutta risposta mi prende a schiaffi
ci sono persone giuste intorno che
eccitate
mi prendono a schiaffi
471
ci sono serate a teatro
le serate a casa dopo il teatro
molto più teatrali
460
un certo andare indietro fa girare la testa
come un certo capovolgersi
avrebbe la mia faccia
il mento al posto della testas
449
c’era una vasca da bagno arrugginita
abbandonata su un campo abbandonato
più volte fotografato
che mi voleva dire qualcosa
423
e le ragazze
le ragazze sedute
con quelle fette di culo all’aperto
cantano
419
succhio un gambero dopo l’altro
non capisco
ma sono felice
414
accendo il computer
corro in formula uno
muoio subito
405
cado cado
dentro una gabbia per pappagalli
cado cado e domani
comunque dovrò fare una telefonata
alla padrona di casa
Francesco Gambaro è nato a Palermo nel 1954. Fra i suoi libri: Cose di Giufà (Il Vespro, 1978), Borno (con Gaetano Testa, Perap, 1990) Jallo (con Gaetano Testa, Perap 1992), Palermo Civico Palermo (Sellerio 1999), I giorni quanti (Perap 2001) Si guarda com’è il sole (Sellerio 2002), Sia affar vostro (Flaccovio 2007)
Alfonso Lentini è nato a Favara (Agrigento). Vive a Belluno, dove insegna, scrive e si occupa di arti visive.
Fra i suoi libri: L’arrivo dello spirito (con Carola Susani, ed. Perap), La chiave dell’incanto (Pungitopo), Mio minimo oceano di croci (Anterem), Piccolo inventario degli specchi (Stampa Alternativa), Un bellunese di Patagonia (Stampa Alternativa).
Come artista, nelle sue mostre e installazioni propone opere basate sulla valorizzazione della parola nella sua dimensione materiale e gestuale.