Fin dalle prime pagine non si hanno dubbi su quale sia la cornice sociale e geografica in cui è inserita la vicenda dei Buddenbrook: il romanzo è ambientato nel mondo del patriziato mercantile dell’Ottocento di una città dell’Ansa che, anche se non viene mai nominata, non è difficile riconoscere. Si tratta di Lubecca, la città che insieme a Brema e soprattutto ad Amburgo costituiva un triangolo di commerci e scambi fiorenti lungo la costa del Baltico. Proprio a Lubecca era nato Thomas Mann nel 1875, ed era proprio rampollo di una famiglia come quella descritta nelle pagine del suo romanzo. Com’è noto, vita e poesia, o, per dirla con Goethe, Poesia e verità, non si possono sovrapporre, non coincidono mai del tutto; certo è tuttavia che il grande prosatore attinge a piene mani per questa sua prima opera, pubblicata nel 1901 quando non aveva ancora 26 anni, dalla storia della sua famiglia e dalla sua stessa autobiografia.
Il romanzo si apre con il trasferimento del vecchio Buddenbrook in una casa di proprietà che è il simbolo di un’ascesa economica all’apparenza irreversibile; ma proprio con l’ingresso in questo palazzo cittadino - nella Megstrasse come l’abitazione della nonna di Thomas Mann - ha inizio il lento ma inesorabile “declino della famiglia” che, come indica il sottotitolo, è appunto il tema dell’epopea manniana.
Quando, morendo, il vecchio Buddenbrok consegna nelle mani del figlio Johann/Jean la ditta a cui ha dedicato come già suo padre la propria esistenza, gli affida con il commercio all’ingrosso di granaglie anche una missione precisa: quella di mantener viva la tradizione della schiatta, anteponendo agli interessi dell’azienda a qualsiasi altra valutazione o considerazione d’ordine personale. La ditta dovrà rimanere indivisa nelle mani del primogenito e passare così di generazione in generazione. Il destino dei due figli maschi di Jean è dunque segnato fin dall’infanzia. Thomas, il maggiore, compirà studi di carattere commerciale e seguirà le vestigia paterne, il cadetto, Christian, vanesio e sognatore, avrà invece più spazio per dedicarsi alla “inutilità” dell’arte.
Fin dall’inizio del romanzo è chiaro qual è il tenore di vita della famiglia: alla festa d’inaugurazione della nuova dimora, gli ospiti portano in omaggio, come da nordica tradizione, “sale e pane”; ma il sale è racchiuso in saliere d’oro massiccio e il pane, vario ed elaborato, è servito su vassoi d’argento pesante. La “merenda” (il ricevimento avviene nel tardo pomeriggio) consta di un susseguirsi di portate succulente, servite su porcellana biscotto o in coppe di cristallo, mentre la conversazione passa con assoluta nonchalance dal tedesco al Plattdeutsch (il dialetto basso tedesco) e al francese, seconda lingua che tutti i commensali comprendono. Eppure, anche in questa cornice ovattata e dorata, incombe un senso di malinconia: non solo è l’ora del crepuscolo, ma è anche ottobre, la stagione preferita dalla letteratura dello scorso fin de siècle, con tutti i suoi differenti e affini “ismi”: decadentismo, impressionismo, neoromanticismo. C’è quindi fin dalle prime pagine un’allusiva anticipazione di quella declino che lentamente arriverà al suo apice nel corso della narrazione.
I figli di Jean Buddenbrok imparano fin da bambini ad amare la ricchezza, ma insieme ad aborrire ogni spreco; lo scialacquio è invece tendenza evidente nella famiglia della moglie del cavaliere d’industria, Betsy Kröger, altro nome nordico, molto significativo, perché proprio Tonio Kröger si chiamerà il protagonista di un racconto mangiano del 1903. I Kröger, infatti, sono dediti a un edonismo che dispiace al vecchio Buddenbrook, agli occhi del quale l’unica forma d’investimento seria sta nell’immissione di capitale nell’azienda per aumentarne la stabilità, la capacità concorrenziale e quindi la rendita. Per questo, per esempio, non fa soggiornare sua figlia Tony in un grand hotel di Travemünde, quando la ragazza diciannovenne viene allontanata per un periodo da casa per decidere se accettare o no la proposta di matrimonio del mercante Grünlich. Tony viene mandata a pensione presso una semplice famiglia della costa, dove s’innamora del giovane Schwarzkopf, studente di medicina che passeggiando con lei sulla spiaggia, le giura amore eterno. Ma come si è detto, le ragioni del capitale hanno il sopravvento su quelle dei sentimenti in casa Buddenbrook; e così, come Tony s’adatta ubbidiente a sposare quel Grünlich che si rivelerà un mero cacciatore di dote, così il fratello maggiore, Thomas, rinuncia ragionevolmente al suo amore per una graziosa fioraia, rendendosi conto dell’inopportunità di una simile mésalliance.
Quando il padre muore all’improvviso, Tony è già tornata nella casa della Mengstrasse con la figlioletta Erika, perché - come ha deciso Johann, ben sapendo che la figlia non è affatto affezionata al marito - un divorzio, pur essendo in qualche modo una pubblica dichiarazione di fallimento, è pur tuttavia preferibile all’indebolimento dell’azienda per tappare i buchi finanziari di un genero lestofante. Se il divorzio è un primo evidente segno di disordine in una famiglia di convinta tradizione protestante, dove il matrimonio è sempre stato concepito, oltre che come assolutamente indissolubile, come unione atta a favorire l’interesse economico della famiglia, un altro evidente motivo di inquietudine è dato dalla salute di Thomas, colpito in gioventù da una forma polmonare. Anche se la crisi sembra superata dopo un periodo di cura, Tom mostra un’altra sua debolezza sposando, dopo un periodo di formazione professionale ad Amsterdam, l’olandese Gerta, una donna eccentrica non solo per la sua capigliatura rossa, ma anche per il suo amore per l’arte, soprattutto per la musica.
Gerta suona con passione il violino, non ama la vita mondana alla quale si adatta solo per amore del marito, e conserva fino alla fine quel tratto esotico che era anche della madre dello scrittore, cresciuta in Brasile e quindi avvezza a un mondo solare e meno imbrigliato dentro le regole della convenienza della tradizione nordica. Già nel matrimonio di Thomas con Gerda Ardnolsen, dietro cui si adombra la coppia dei genitori dello scrittore, mette in evidenza nel binomio Leben und Geist, vita e spirito, binomio che sarà alla base della poetica di Thomas Mann fino alla produzione della maturità, l’inconciliabilità dei due termini che lo compongono. La destabilizzazione raggiunge tuttavia il suo apice, fra gli eredi di Johann Buddenbrook, nella figura di Christian, donnaiolo e poltrone, instabile e malato immaginario: insomma la zavorra della famiglia. Christian è un clownesco libertino del tutto incapace di gestire un’impresa commerciale, insomma un fallito nato.
Tony, che vive il proprio divorzio come una colpa nei confronti della famiglia, per cercare di cancellare questa macchia, accetta di sposare in seconde nozze Alois Permaneder, un grossolano produttore di birra bavarese, uno “straniero” meridionale, caciarone e scomposto che nulla ha in comune con il ricercato bon ton al quale è la signora è abituata. Siccome però la sua posizione economica è stabile, la famiglia appoggia quest’unione che si rivelerà una seconda catastrofe. Tony infatti si trasferisce con il secondo marito a Monaco, ma a quest’uomo che parla dialetto e non si trattiene dallo snocciolare moccoli ed espressioni inconvenienti neppure davanti alla suocera bigotta, non riesce davvero ad affezionarsi. Tanto più che, non appena incassa la dote assegnata dai Buddenbrock a Tony, Permaneder cede al proprio socio la sua parte dell’azienda, lascia la vita attiva e si ritira in pensione, deciso ad accontentarsi di una rendita sufficiente, ma non certo tale concedere a Tony una vita nel lusso e nello sfarzo. La gioia della donna per una sua seconda gravidanza si conclude con la nascita di una seconda figlia che sopravvive al parto solo pochi minuti; la dedizione alla bisboccia e ai boccali di birra del marito, già di per sé invisa a Tony, diventa insopportabile quando una notte, in preda ai fumi dell’alcool, Permaneder cerca di abusare della cuoca sulle scale di casa e viene colto in flagrante dalla moglie. Ancora una volta Tony, umiliata e offesa, torna in seno alla famiglia. Per la figura di Tony, lo scrittore si ispira alle vicende di vita della zia Elisabeth Mann, una sorella di suo padre, divorziò sì due volte, anche se non si trasferì per il secondo matrimonio a Monaco, bensì nei dintorni di Stoccarda
Thomas Mann fa invece sposare Tony in seconde nozze a Monaco, non solo perché la capitale bavarese è una città agli antipodi rispetto alla discreta e silenziosa Lubecca, ma anche perché la conosceva personalmente assai bene: dopo la maturità, infatti, - concluso cioè il corso di studi presso il Katherineum, il severo e prestigioso liceo classico di Lubecca -, Thomas aveva raggiunto la madre a Monaco nel 1894. Qui, infatti, la donna si era trasferita alla morte del marito, deceduto nel 1891, il quale, essendosi reso conto che né Heinrich, il figlio maggiore, né Thomas, il secondogenito, avevano interesse e inclinazione a portare avanti l’azienda di famiglia, l’aveva liquidata nel 1890, assicurando così ai familiari una rendita cospicua.
Monaco fu luogo fondamentale nella formazione del futuro scrittore, perché qui, all’università, egli ebbe modo di approfondire il pensiero dei due filosofi che segnarono in maniera definitiva la sua poetica: Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche. Di Monaco era poi la moglie di Thomas Mann, Katia Prigsheim, figlia di bavaresi molto abbienti, che lo scrittore sposò nel 1905. Nel 1914 Thomas Mann si trasferì con la famiglia nella villa, oggi restaurata, dove visse con la moglie e i sei figli nati dal loro matrimonio fino al momento dell’esilio.
Nel romanzo invece di Monaco si parla malissimo; è più per il fatto che non riesce ad “acclimatarsi” all’ambiente zotico e ignorante che la circonda, che per l’effettiva offesa subita dal marito che Tony torna in seno alla famiglia, e non si lascia persuadere neppure da Tom a ricongiungersi al consorte onde evitare uno scandalo. Monaco le è odiosa più di quanto possano essere i pettegolezzi e le cattiverie e le frecciate a cui si espone con un secondo divorzio - soprattutto da parte dei facoltosi nuovi ricchi e dalle cugine povere rimaste zitelle.
Quello che mina la stabilità della famiglia non sono tuttavia soltanto le stravaganze di Gerta, la superficialità di Christian e l’insuperata adolescenzialità di Tony, ossia non solo cause attribuibili al carattere e alla psicologia dei personaggi, ma anche cause organiche come la cagionevole salute dell’ultimogenita Clara, andata sposa a un pastore, destinata a morire giovanissima di una forma di tubercolosi cerebrale. Quel che minaccia poi al massimo la sopravvivenza dei Buddenbrook è l’assenza di un discendente. Gli affari del console Thomas Buddenbrook sono floridi, il suo successo pubblico di liberale lungimirante lo porta ad essere eletto senatore nel consiglio cittadino, la sua vanità trova appagamento nella costruzione di una nuova casa lussuosa, nella Fischergrube, ma gli manca un erede. Il problema sembra risolversi con la nascita del piccolo Johann Kaspar, che in famiglia tutti chiamano Hanno. Ma il bambino è di salute estremamente delicata e di una sensibilità eccessiva; è una creatura fragile, di una timidezza patologica, impaurita dalla vita e incapace quindi di affrontare anche le minime difficoltà concrete. Thomas sente immediatamente questo figlio, dagli occhi bruni affossati in occhiaie azzurrine e dai denti cariati e accavallati, come un estraneo; non ha nulla della sua determinazione e concretezza, è evidente che non sarà mai in grado di prendere in mano le redini dell’azienda, di cui, infatti, nel suo testamento disporrà la liquidazione.
Hanno vive nel suo mondo di fantasia, che non di rado si trasforma in angosciosa visionarietà, e mostra fin da piccolo una particolare inclinazione per la musica: insomma sembra aver preso tutto dalla madre che, estranea alle faccende dell’azienda del marito, s’occupa soltanto del suo violino su cui con passione riproduce, insieme al suo maestro di piano, la musica di Wagner, il musicista più amato anche da Thomas Mann. Proprio da Wagner lo scrittore dichiarò di aver appreso come strutturare una lunga epopea, e la critica ha sottolineato l’affinità fra l’apertura del romanzo e quella de “L’oro del Reno”.
A Hanno, che precocemente si dedica al piano, non interessano i nomi delle strade di Lubecca o dei magazzini che appartengono alla ditta di suo padre; non riesce a vivere nella concretezza, e anche per Natale desidera in dono dalla nonna una teatro di marionette con i fondali del Fidelio, visto che è rimasto stregato dalla sua prima visita al teatro Civico di Lubecca, dove appunto aveva potuto assistere a quest’opera di Beethoven. Padre e figlio sono così rappresentanti di due mondi opposti: quello del pragmatismo borghese l’uno, quello dello spirito insondabile l’altro. Hanno non sembra proprio destinato a riportare alle vecchie glorie una famiglia sempre più tarlata anche nella moralità. Christian non cessa di condurre una vita da scavezzacollo, Tony non riesce a riabilitarsi in società, come ha sperato, neppure mediante sua figlia Erika, la quale sposa un assicuratore privo di scrupoli che per via di alcune azioni truffaldine finisce in prigione e, quando viene scarcerato, abbandona moglie e figlia sparendo definitivamente dalla circolazione.
Thomas è quindi sempre più isolato: viene sì omaggiato da più parti in occasione delle celebrazioni del centenario dalla fondazione della ditta di famiglia, ma i commerci – che porta avanti per senso del dovere e non per scelta – non gli interessano nel profondo, e guarda sempre più con ironico distacco alla sfrenata concorrenzialità e spregiudicatezza dei nuovi arrampicatori sociali, quali gli Hagenström, odiati da Tony, che finiscono, alla morte della vecchia madre, per acquistare la mitica casa della Mengstrasse. Ma anche nel privato Thomas è solo: la fredda Gerda trascorre più tempo facendo musica con il giovane ufficiale von Trohta che con lui; sul fragile figlio, che non ha la stoffa dell’artista, ma solo quella del sensibile dilettante, non può certo contare. Abbandonato a se stesso, l’uomo, precocemente invecchiato, oppone alla propria molteplice insoddisfazione una cura spasmodica della propria persona e del proprio aspetto esteriore, presentando al mondo una maschera di impenetrabile impeccabilità, dietro la quale si nasconde un tormento che erompe – e che tuttavia viene immediatamente arginato per viltà – alla lettura di Schopenhauer. A nulla serve una vacanza nell’autunnale e piovosa Travemünde: Thomas si sente vicino alla fine e fa testamento, disponendo la liquidazione della ditta. Alla sua morte precoce e un po’ assurda – seguita all’estrazione di un dente – anche la sua casa viene venduta. La moglie si trasferisce con il figlio fuori le mura, salvo poi abbandonare anche la nuova piccola villa rossa di periferia alla morte di Hanno, quel ragazzino segnato fin dall’infanzia dalla malattia che, a quindici anni muore di tifo. Con il decesso dell’ultimo rampollo della famiglia, la saga si chiude e Gerda, che non si è mai davvero integrata nella realtà di Lubecca, torna da suo padre ad Amsterdam.
Il romanzo ha una struttura rigorosamente circolare: si apre con l’acquisto della casa, si chiude con la vendita dell’ultima casa dell’ultimo Buddenbrook. La complessità del romanzo, narrato sostanzialmente dalla prospettiva autoriale, è dato anche dalla varietà dei registri stilistici a cui lo scrittore ricorre; non solo al flusso narrativo si alternano lettere, documenti, dialoghi, ma anche i livelli del linguaggio si adeguano di volta in volta al personaggio. Tutto questo conferisce alla saga familiare e cittadina un tratto d’autenticità che infatti non piacque a molti abitanti di Lubecca, che si riconobbero in questo quel personaggio e accusarono l’autore di averli diffamati. La saga della famiglia Buddenbrook illustra il passaggio dall’Ottocento, il secolo delle certezze, al Novecento, dove a dominare la realtà sono invece il relativismo e la coscienza della fuggevolezza e della caducità.
Gabriella Rovagnati