Introduzione al libro inedito
Un uomo
di nome Che Guevara
di Alejandro Torreguitart Ruiz
(che in Italia non ha ancora trovato
un editore)
Alejandro Torreguitart non è uno storico, ma un giovane narratore cubano che si è preso la briga di studiare la vita del Che per raccontarla come se fosse un romanzo. Un uomo di nome Che Guevara è un testo interessante che presenta Che Guevara e quel che resta del mito, al di là dei cartelli sul lungomare, quelli dove sta scritto il tuo esempio è ancora presente, le tue idee sono in mezzo a noi. Il giovane autore avanero abbandona la narrativa a base di sesso e racconti di vita quotidiana per affrontare un mito indistruttibile della rivoluzione cubana. Ne viene fuori un racconto senza retorica che svela luci e ombre sulla figura di Ernesto Guevara.
Alejandro Torreguitart ha il coraggio di raccontare che il Che era un uomo capace di giustiziare un traditore con freddezza e disprezzo della vita umana. I libri cubani tacciono sui questo punto, forse non è troppo eroico porre fine a una vita a sangue freddo, sparare a una persona inerme che se ne sta inginocchiata ai tuoi piedi implorando pietà. Il Che è un uomo spietato, senza mezze misure, esecutore di sentenze di morte, implacabile amministratore della giustizia rivoluzionaria. Il cammino del Che sulla Sierra Maestra è cosparso di cadaveri di spie, disertori e delinquenti, sentenzia condanne a morte per episodi di ribellione. Ernesto Guevara viene descritto come un uomo che si immedesima nella rivoluzione cubana al punto di ripudiare la vita civile e non pensare più a moglie, figlia e genitori lontani. Un uomo che si identifica completamente con un’idea e lotta sino alla morte per la sua realizzazione.
Torreguitart racconta pure i giorni difficili del dopo rivoluzione, quando Che Guevara è il responsabile delle esecuzioni che si tengono alla Cabaña e vedono protagonisti personaggi di primo piano del vecchio regime, ufficiali, sottufficiali, torturatori della polizia e semplici delatori. Si parla di cinquantacinque fucilazioni in cento giorni e il Che le ritiene necessarie perché il potere nasce dalla canna del fucile. Non mancano gli accenni ai dissidi con Fidel, perché il Che non può accettare una coesistenza pacifica con gli Stati Uniti, il linguaggio diplomatico e una politica che non condivide. La sua missione resta quella di diffondere la rivoluzione socialista e di creare un uomo nuovo capace di sacrificarsi per la rivoluzione. Ernesto Guevara polemizza con Castro, non ama i sovietici e ammira i cinesi che sente vicini alla sua idea di socialismo.
I dirigenti della rivoluzione hanno dei figli che nei loro primi balbettii non imparano a chiamare il padre; hanno delle mogli che debbono partecipare al sacrificio di tutta la loro vita per portare la rivoluzione fino al suo destino; il giro dei loro amici coincide strettamente col giro dei compagni della rivoluzione. Non c’è vita fuori di essa. Una frase che rappresenta il programma di un uomo votato al sacrificio per una causa che ritiene imprescindibile.
Alejandro Torreguitart si sofferma sulla tragica fine del Che e afferma che Fidel è il responsabile unico della scelta boliviana. Ernesto è entusiasta della missione perché la Bolivia è vicina all’Argentina e da là si può esportare la rivoluzione alla sua terra natale. Il Che immagina una guerriglia allargata capace di far cessare le ostilità tra Unione Sovietica e Cina per unire le forze contro l’imperialismo. Il Che teorizza due, tre, molti Vietnam, ma soprattutto una Terza Guerra Mondiale per far trionfare il socialismo su scala mondiale. Viene fermato perché resta solo, abbandonato da tutti, soprattutto da Fidel. Non sparare. Sono Che Guevara. Ti sarò molto più utile da vivo che da morto, dice al soldato che lo cattura. Capelli appiccicati, abiti laceri, sporchi, la gamba ferita che perde sangue, senza stivali. Il Che è il fantasma di se stesso, un uomo irriconoscibile. Fino alla frase storica: So che sei venuto per uccidermi. Spara, ucciderai solo un uomo. Ed è proprio vero, come dice Torreguitart, che Ernesto Guevara è stato più utile da morto che da vivo alla causa rivoluzionaria e al consolidamento del potere di Fidel. Un eroe morto diventa un simbolo di riscossa e una bandiera da agitare contro il nemico imperialista. Un rivoluzionario vivo sarebbe stato un soggetto scomodo da collocare in una Cuba troppo piccola per contenere due presenze ingombranti come il Che e Fidel. Se Ernesto Guevara fosse ancora vivo, sarebbe il primo avversario di Castro e di un regime che ha tradito il sogno rivoluzionario. E poi il Che non vorrebbe mai vedersi simbolo commercializzato e globalizzato su spille e magliette indossate da stupidi turisti. Non è per questo che ha combattuto.
Nonostante tutte le ombre possibili e i difetti di un uomo complesso, Che Guevara resta la sola figura romantica di una rivoluzione tradita.
Gordiano Lupi