Caro Presidente Giorgio Napolitano,
per la festa della Repubblica e della Costituzione, il prossimo 2 giugno, mentre La ringrazio per il Suo impegno, La prego anche di ascoltare un cittadino impegnato nella cultura di pace, che è l’essenza della cultura politica.
Tra tutte le festività nazionali, l’unica totalmente civile, disarmata, a-militare, è proprio il 2 giugno. È il giorno in cui, nel 1946, gli italiani – per la prima volta le italiane – votarono scegliendo la Repubblica ed eleggendo l’Assemblea Costituente, con la scheda democratica, che è l’opposto di qualunque arma e con qualunque arma è del tutto incompatibile.
Perciò, la parata militare, per quanto si tenti di farla apparire ingentilita, è la manifestazione più impropria e più contraddittoria con il significato bello di questa giornata festiva.
Tra le giornate storiche nazionali, quella a cui l’esercito fu totalmente e giustamente estraneo, fu proprio il 2 giugno 1946. Ciò è fuori di ogni dubbio. Del 2 giugno l’esercito non ha alcun merito, né alcuna parte in esso. Davanti alla scheda, l’esercito deve ritirarsi.
Allora, l’ostinazione a celebrare militarmente questa giornata civile, può essere spiegata solo con l’idea distorta, arcaica e nefasta, di voler vedere nell’esercito, nelle armi omicide, ripudiate dalla Costituzione come mezzo di risoluzione delle controversie, il simbolo più alto e felice della nostra nazione, della vita popolare, delle istituzioni civili e politiche.
Questa idea è assurda, indegna della Repubblica. È vero tutto il contrario, per chi sa guardare le cose con mente libera dalle contaminazioni storiche, sempre tragiche, tra politica e violenza, e con lo sguardo nuovo e coraggioso di chi è consapevole che o l’umanità abolisce la guerra o la guerra abolisce l’umanità.
Ci sono esperienze storiche, programmi, strategie, mezzi e disponibilità, se la politica volesse conoscerli e sceglierli, per difendere i veri diritti senza abbassarsi nella vergogna e nel crimine della guerra, ingiustificabile, che tutto offende e nulla difende.
La politica è convivenza e comincia soltanto dove non c’è violenza, né segnali di violenza, come sono le armi, capaci solo di uccidere persone e distruggere lavoro, negazione della convivenza e della politica.
Le armi non sono mai una gloria, mai motivo di festa, di gioia, di unità popolare. Anche quando sono state necessarie per la difesa del diritto e la liberazione dalle tirannie, perché non erano predisposti mezzi nonviolenti, sono state motivo di tristezza e segno della mancanza di modi umani di difendere e affermare l'umanità.
Ci si rende conto che questa evoluzione necessaria dell’umanità incontra tante difficoltà e lentezze. Ma almeno a livello di simboli, di feste, cioè nei giorni di speranza e di sguardo più libero e alto, cioè più intelligente, dovremmo esprimere visibilmente questo bisogno, desiderio, dovere. Tanto più oggi che, nel ritorno spaventoso delle guerre di dominio e di vendetta, che fomentano e poi utilizzano il terrorismo, e di minacce peggiori, il nostro Paese resta ancora troppo allineato alle politiche violente e minacciose, mentre sperpera vergognosamente immense risorse, sottratte al diritto dei poveri, in armamenti spaventosi e pericolosi, semi di altre guerre. In questo, Lei, Presidente, ha un compito.
Consideri, signor Presidente, l’idea di introdurre nel 2 giugno questo segnale di avanzamento nella civiltà delle relazioni umane: che sia una festa civile, a-militare, a cui i soldati potranno partecipare in borghese e senza armi, come i cittadini, perché in quella occasione non hanno alcun titolo né merito maggiore, e non esprimono la civiltà costituzionale.
Sappia che i cittadini più leali e più liberi da idee violente, come da interessi particolaristici o oscuri, vogliono e attendono che l’Italia abbia un cuore e anche un volto di pace, cioè di risoluzione attiva e civile, vitale e non omicida, dei conflitti umani. Non un volto armato, segno di un cuore non pacifico.
Potranno irritarsi i mercanti di morte, che hanno interesse a esibire e vendere armi omicide e affascinarne quella parte di popolo che, ingannata, non riesce a riflettere. Ma non avranno ragione di dispiacersi i militari democratici, se riflettono sul vero significato di questa festa.
In questo 2 giugno, dica, per favore, agli italiani, una Sua parola nuova su questo tema essenziale. I simboli sono realtà forti e incisive. Il 2 giugno deve rappresentare e incoraggiare le arti popolari della vita, del vivere insieme nell’intera umanità, e non le arti disumane della morte. La pace giusta e stabile si fa solo coi mezzi della pace.
Cordialità sincere, con fiducia ostinata, contro la cupa tristezza dei tempi violenti.
Enrico Peyretti