Una delle opere più rappresentative dell’avanzata del proletariato è il dipinto di Giuseppe Pellizza da Volpedo Il Quarto stato. L’opera è di enormi dimensioni, cm 293x545; in esso, il pittore ha raffigurato la marcia di una folla di lavoratori che incedono preceduti in modo emblematico da tre personaggi: un anziano, un uomo maturo e una giovane donna. In una lettera a Morbelli del 1895 Pellizza dichiara che l’arte moderna deve essere "elevata nel concetto ed umana": "…non è più il tempo di fare dell’Arte per l’Arte, ma dell’Arte per l’Umanità". È insito in queste parole il suo impegno a utilizzare l’arte come strumento di conoscenza, di divulgazione e di educazione. Nasceva questa esigenza dal contesto storico coevo: gli scioperi agrari e urbani del 1897-98, culminati con le giornate di Milano e le cannonate di Bava Beccaris, avevano convinto Pellizza della bontà della sua intuizione artistica e della validità della sua idea. Come scriveva egli stesso a Neera nel 1903, “potè essere quale io lo volli: un quadro sociale rappresentante il fatto più saliente dell’epoca nostra, l’avanzarsi fatale dei lavoratori…”In quegli anni l’artista dimostrava sempre più attenzione ai problemi e alle manifestazioni operaie, tentando nel contempo di superare il "vero" dei macchiaioli con una più realistica adesione al soggetto. Lo rivelano i primi schizzi con presa dal vero della scena, che rappresentano scene urbane, ma anche lavoratori delle campagne. La sua interpretazione della storia come progresso continuo e inarrestabile dell’umanità e l’adesione alle istanze socialiste, lo inducevano a partecipare attivamente alla Società agricolo-operaia di mutuo soccorso di Volpedo, anche in qualità di Vice-presidente, dove insisteva sui valori di solidarietà, pacifismo, fratellanza e istruzione per il popolo. Un fatto di cronaca, una manifestazione operaia, dà l’avvio a una serie di disegni e di schizzi in cui compaiono prima operai poi, per coerenza col mondo rurale della sua esperienza, contadini singoli o a gruppi, con i figli per mano o con gli attrezzi da lavoro; è questo il mondo che Pellizza intende portare nella sua opera.
Egli era convinto che spetti all’artista un’importante funzione educativa, e che sia suo il compito di elevare lo spirito degli uomini attraverso l’arte e il suo contenuto estetico.
L’opera rappresenta un momento di sciopero e di protesta dei lavoratori verso la classe borghese per la rivendicazione dei propri diritti, ma Pellizza gli conferisce un significato ben più ampio di cammino del popolo verso la libertà.
Il Quarto stato, frutto di un lavoro più che decennale, raffigura una folla di contadini e lavoratori che avanza compatta verso lo spettatore, sullo sfondo di un paesaggio dominato da una sottile striscia di cielo, dalle tonalità molto cupe.
Aprono il corteo due uomini e una donna che regge un bambino in braccio.
La scena, illuminata da una calda luce meridiana, è ambientata nella piazza di Volpedo e gli stessi abitanti funsero da modello per il dipinto per una maggiore aderenza al vero voluta dal pittore.
Il quarto stato a differenza di altri dipinti come La libertà guida il popolo di Delacroix in cui era rappresentato un momento di rivoluzione sociale, celebra l’affermazione di una classe sociale, costituita da lavoratori che, avviati anche verso una crescita intellettuale, rivendicano il rispetto dei propri diritti. I popolani, ritratti con gli abiti da lavoro, avanzano con dignità e fiducia.
Il dipinto è suddiviso in vari piani: dominano il primo le tre figure che avanzano sicure e dignitose. Il movimento è nel complesso accentuato dalle pieghe delle vesti della donna, che accenna a un colloquio con la figura a destra: l’uomo incede sicuro ed è messo ben in evidenza dal panciotto rosso sulla camicia bianca, disinvolto con una mano nella cintura e con l’altra a reggere la giacca, buttata sulla spalla; fondamentale appare il ruolo della donna che con la mano invita gli altri a seguirla (Pellizza usa come modella, la moglie Teresa); importante la sua presenza perchè richiama l’attenzione sui problemi delle famiglie.
I contadini in secondo piano sono quasi tutti uomini; gli atteggiamenti molto naturali rivelano un attento studio dal vero; discutono tra loro e le espressioni sono palesi attraverso la fisionomia dei volti e la gestualità.
La luce solare modella le figure in modo plastico e illuminando la scena dalla parte dell’osservatore indica, simbolicamente, l’uscita del popolo dalle tenebre (della storia) e il suo avanzare verso la speranza; la tecnica divisionista risponde pertanto pienamente alle esigenze dell’artista. Per ottenere la massima luminosità, Pellizza usa una gamma cromatica abbastanza chiara con toni caldi, ocra e rosati che fa risaltare il riflesso di luce sul piazzale. (E. Bernini, R. Rota, a regola d’arte 4. Dal Seicento all’Ottocento, Editori Laterza)
Eseguita tra il 1898 1 il 1901 l’opera è diventata il simbolo delle lotte intraprese dai lavoratori e dalle classi subalterne della società per liberarsi dallo stato di miseria e di sfruttamento in cui ancora versavano alla fine del XIX secolo. Nel dipinto, Pellizza ha inteso rappresentare l’inesorabile progresso dell’umanità verso la costruzione di una società migliore, più giusta e più democratica.
L’opera ha nel contesto storico un alto valore simbolico, proponendosi come manifesto delle lotte intraprese dai lavoratori e dalle classi subalterne della società per liberarsi dallo stato di miseria e di sfruttamento in cui ancora versavano alla fine del XIX secolo.
Il dipinto segna in modo emblematico il passaggio dall’Ottocento al Novecento.
Giuseppe Pellizza da Volpedo (Volpedo 1868-1907) è uno dei maggiori protagonisti del divisionismo italiano e di quella linea artistica che intendeva la pittura, uno strumento di impegno sociale, per denunciare la situazione di abbandono e di degrado in cui versavano le classi subalterne.
Simbolo delle lotte dei lavoratori, l’opera ha avuto alterne vicende a seconda dei periodi storico-politici: simbolo delle lotte dei lavoratori e del progresso democratico perseguito dalle forze liberali dell’epoca, fu occultata durante l’era fascista nei depositi della Civica Galleria d’Arte Moderna di Milano; recuperata nel 1945, dopo la Liberazione, è stata lungamente esposta nella Sala della Giunta Comunale di Palazzo Marino a Milano; oggi si trova alla Pinacoteca di Brera. (I colori del tempo a cura di Enrico Crispolti Gruppo sanpaolo imi )
Realizzato nell’ultimo decennio del XIX secolo, il Quarto stato si colloca sullo sfondo di uno scenario storico-politico e sociale che risente fortemente delle vicende italiane postunitarie. Negli anni Settanta, soprattutto al Nord, erano venute a scontrarsi le esigenze di due schieramenti apparentemente solidali nello sforzo di raggiungere il progresso e il miglioramento economico, ma decisamente contrapposti nei fini e nei metodi: la borghesia diffidente di qualsiasi mutamento sociale che turbi l’incerto equilibrio del neonato Stato italiano; il popolo aspirante al miglioramento economico, inteso come estensione del concetto di proprietà: di terre, di diritti e di salari.
Negli anni Novanta si moltiplicavano i momenti di un dibattito riguardante il problema sociale, sia per le riflessioni di impronta positivista, ma soprattutto a causa del propagarsi del pensiero socialista attraverso pubblicazioni e traduzioni: nel 1872 era nata in Italia l’Internazionale anarchica e negli anni Ottanta il Partito socialista rivoluzionario di Romagna. Del 1882 è la fondazione del Partito operaio italiano e nel 1888 l’emigrazione raggiunge il suo punto culminante. Nel 1892 nasce a Genova il Partito dei lavoratori che diventerà Partito socialista italiano; nel 1891 esce la "Critica sociale" di Turati e nel ’96 l’"Avanti" di Bissolati, mentre nel 1895 Antonio Labriola pubblica il primo studio marxista In memoria del manifesto dei Comunisti e dodici deputati socialisti entrano alla Camera. Il proletariato si sentiva sempre più solidale e "popolo" che prendeva coscienza del proprio ruolo storico, rivendicava i propri diritti. Le sconfitte militari in Etiopia e una crisi interna delle istituzioni favoriva tensioni sociali sempre maggiori. Ne sono testimonianza le lotte del 1871 nel Mantovano, nel Pavese, nel Cremonese, i tumulti di Ravenna (1883) che vedevano repubblicani e socialisti uniti contro lo sfruttamento del bracciantato agricolo, i moti del 1884 nel Polesine, nel Padovano e di nuovo nel Mantovano; e poi ancora i conflitti contadini di Faenza, Ferrara, Parma del 1889, i Fasci siciliani del 1893, i disordini in Lunigiana nel 1894 e infine le cannonate di Bava Beccaris a Milano nel 1898, con la conseguente promulgazione delle leggi Pelloux e l’adozione di sistemi di sicurezza che finivano per isolare sempre di più le due classi contrapposte. I riferimenti ideologici che sottendono al Quarto stato rientrano nel filone socialista di Turati, un socialismo positivista e riformista diffuso nell’Italia settentrionale alla fine dell’Ottocento da cui deriva l’idea della sicura e ineluttabile avanzata dei lavoratori, forti solo del loro diritto. (Cesare Badini e Esterina Dana - Il Quarto Stato: contesto, genesi e fortuna). L’arte è uno strumento efficace per farci riflettere attentamente sul passato e sul presente e per proiettarci verso il futuro.
Anna Lanzetta
Immagine: Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto stato, 1901, olio su tela, 2,85x5,43m, Milano