La filosofia per Severino è dare forma all'informe. L’Antologia (Rizzoli, 2005) era uscita per la prima volta nel 1988. Viene ripresentata adesso in un’edizione ampliata curata sempre dall’autore, in collaborazione con Giorgio Brianese, con delle nuove sezioni dedicate ad Eschilo e Leopardi: inseriti, diremmo, de facto nel novero dei più rilevanti filosofi del pensiero occidentale. Il volume fa da pendant alla Filosofia dai Greci al nostro tempo, pubblicata in tre volumi sempre dalla Rizzoli, rispettivamente, i primi due nel 1984 ed il terzo nel 1986. In quei libri, Severino aveva caratterizzato, dal punto di vista storiografico, i principali autori ed i problemi più salienti che hanno attraversato la filosofia dell’Occidente dal VI secolo a.C. (Talete) al XX secolo d.C. (l’ultimo filosofo di cui si fa menzione è Emmanuel Mounier, morto nel 1950). Severino affermava, in quell’opera, che l’intero corso del pensiero occidentale è stato segnato dal tentativo – perennemente rinnovatesi, sia pure con guise e sotto formalismi diversi – di prendere coscienza del divenire delle cose umane da parte dei singoli pensatori che, volta per volta, si sono succeduti nel corso della storia.
Il problema del divenire, dell’eterna mutevolezza degli enti che sono, ha condotto i vari filosofi a considerazioni esse stesse multiformi e molteplici. In questa Antologia filosofica, invece, Severino conduce lo stesso lettore, di quei suoi tre volumi di storia della filosofia, a rendersi pienamente conto della verità di ciò che Severino stesso era andato asserendo lì. La filosofia ha avuto sempre, dentro sé, la tendenza a dar forma all’informe, e cioè alla morte, al nulla, al disordinato. Ha perseguito questo scopo sin dai tempi di Aristotele, del quale è riportata la celebre prima pagina della Metafisica, quella che comincia con l’affermazione: «Tutti gli uomini per natura tendono al sapere». Per arrivare a Martin Heidegger, allorquando questi nella Lettera sull’umanismo afferma che «L’essere attende ancora di divenire esso stesso degno per l’uomo di essere pensato». I punti di passaggio, gli snodi per così dire cruciali, sono molti nel corso dei 26 secoli coperti dal libro di Severino. Se, ad esempio, questa ricerca della forma fu per i primi greci un compito onnipervasivo (da cui: l’investigazione sul principio di tutte le cose quale funzione inerente alla filosofia delle origini; principio successivamente individuato: nell’acqua da Talete, nell’Apeiron da Anassimandro, nell’aria da Anassimene, nel Polemos da Eraclito, ecc.) mano mano questa ricerca venne specializzandosi. In questo senso vero punto di svolta può essere considerato Epicuro (III secolo a.C.) il quale afferma: «Abituati a pensare che nulla è per noi la morte: in quanto ogni bene e male è nel senso, laddove la morte è privazione di senso». Da qui, il concentrarsi della filosofia successiva (tardo antica e medievale) solamente nella zona del senso, che per Sant’Agostino – padre della speculazione medievale cristiana – è un senso psicologico e teologico ad un tempo: «Dio e l’anima, questo voglio conoscere».
Con l’epoca moderna una consapevolezza di tipo nuovo si farà largo. La ragione può rivelare e svelare tutto il senso. Alla mancanza di senso prodotta dal divenire, la filosofia apporterà (adesso) per i secoli che vanno dal XVI al XIX un rimedio sulla base, appunto, delle conquiste teoriche e pratiche rese possibili dalla ragione. Al culmine di questo processo, Friederich Nietzsche si accorgerà, però, che «il rimedio è stato peggiore del male». Ovvero: «Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio è morto, così sono morti tutti questi sacrileghi». La filosofia, per esistere ancora, deve diventare ancilla delle scienze particolari: sociologia, antropologia, politica, economia, biologia, fisica, chimica, ecc. A queste verrà riservato l’ufficio di svelare singole e circoscritte parti di quell’unica realtà che ha perduto il suo senso. Assieme al suo scopo, alla sua storia ed alla sua natura. Severino percorre dunque tutto questo cammino della riflessione filosofica utilizzando pagine capitali tratte dai testi centrali del pensiero occidentale. Egli comincia riportando un brano della Metafisica di Aristotele e conclude questa Antologia con un’autocitazione; il capitolo XXI dal titolo “La filosofia e il nostro” tempo si compone di un passaggio tratto da La tendenza fondamentale del nostro tempo, opera di Severino pubblicata da Adelphi nel 1988.
Anche nella scelta delle opere che aprono e chiudono il libro è ravvisabile tutto il percorso compiuto da Severino. Se, infatti, nel IV secolo a.C., in cui è vissuto Aristotele, la filosofia può dirsi ancora Metafisica, nel XIX secolo in cui Severino scrive l’opera succitata essa, per esistere, deve definirsi solo come una tendenza fra le altre. Una tendenza che cerca di strappare ancora al molteplice un segmento di rappresentazione, al disordine una parvenza d’ordine, all’informe la forma.
Gianfranco Cordì