Bisogna fingere. Fingere di aver capito, come cantava Guccini parecchi anni fa, che vivere è incontrarsi, aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare, bere, leggere, amare, grattarsi... Non c'è scampo. O ce la fai o ce la fai, l'alternativa è sopravvivere nel malessere, nella coscienza di non essere liberi, di essere solo degli automi senz'anima, felici di essere schiavi e difendendo la Macchina che stritola e spolpa e scava, fino a ucciderti.
Sintaxerror – e già il nome è tutto un programma – non riesce. Pur svegliandosi ogni mattina per “fare il suo dovere, essere uomo, andare a lavoro e salvare il mondo” rimbalza tra coscienza e incoscienza, disperazione e quieta rassegnazione. Alla fine non c'è niente da fare: la maggior parte della gente non si rende nemmeno conto di respirare, si intrappola in clichè umani, si rinchiude dietro ad un lavoro fisso, a una famiglia, a dei figli, si consola comprando la macchina, uscendo il sabato sera e sfogando la propria frustazione uccidendo il tempo, violentandolo, quasi. Sintax vive in un motel, in uno stato provvisorio perenne, in mezzo a bottiglie di vino e sudiciume. A volte, quando l'odio e l'insofferenza diventano troppo acuti, si lascia prendere dall'inerzia, si getta sul letto, abbassa le persiane ed attende. Mentre nel motel le coppie improvvisate escono ed entrano, mentre la natura continua ad essere splendida nonostante il cancro umano che la invade.
Finché un giorno succede una cosa. Una cosa come un'altra. Di solito quel qualcosa, nei romanzi di formazione, è l'amore, la luce che scende dal cielo, la fede, un sogno. No. Sintax, semplicemente, vede crescere il suo malessere e lo vede trasformarsi. Una pancia. Da uomo incinto. L'essere che vive dentro di lui cerca di ucciderlo – così pensa Sintax – lo ucciderà nel nascere e nel frattempo gli stritola gli intestini, il dentro di sé, che non vede ma sente parlare, minaccioso, insopportabile. Sintax è solo. A parte l'uomo che cuce gli occhi, che vive insieme a lui, di poche parole e di sani insegnamenti, l'unico personaggio che merita di essere ascoltato fino in fondo. Nonostante il lavoro non proprio rispettabile ed il suo non essere conforme alle regole del mondo. O forse proprio per questo?
La pancia cresce, i capi-carcerieri (così chiama i suoi superiori) lo seviziano con parole e gesti, per coprire la loro inadeguatezza e il loro essere senza speranza. Anche Sintax è senza speranza, certo, ma almeno ne è cosciente, vorrebbe uscire da quel buco dove lavora e fare qualcosa, respirare anche solo, ma farlo perchè lo desidera, non perchè gli comandano di farlo.
Il romanzo di Giordano Lannaioli, Una cosa come un'altra, riesce a far raggiungere le ultime pagine senza far presagire la conclusione della vicenda. Strizzando un occhio a Bukowski ne segue le orme per un po' e poi se ne allontana, per scelte di vita, perché gli amici percorrono un pezzo di strada insieme ma non è detto che arrivino a destinazione mano nella mano. Con questo voglio dire che l'autore non è la risposta italiana di Bukowski, come direbbero tutti i critici di letteratura frustrati. Lannaioli è, senz'altro, un modo nuovo di vedere e pensare letteratura italiana, intriso semmai di vita, di ispirazione, e soprattutto di serie intenzioni di non lasciarsi sopraffare dal sistema sociale schiavista che ci circonda.
Concludo citando un pezzo dell'autore: arrabbiato, frustrato, e deciso nell'indecisione.
«Non mi piace alzarmi al mattino, non mi piace vedere le facce della gente in autobus, al mare, dal tabaccaio, non mi piace questa puzza che infesta ogni angolo di strada, le facce di quelli che si inculano un ragazzino e poi aiutano la nonna della vittima ad attraversare la strada, quelli che tramano alle spalle dei loro migliori amici, non mi piace tutto questo amore, fiducia, amicizia, tutte parolone mai comprese, solo fiato alla bocca.
Non mi piace vivere in un mondo di gente disumana, robotica, morta, cammino in mezzo ai morti e non mi piace, da secoli subisco le regole degli altri, la musica degli altri, il volere degli altri, balli al ritmo degli altri da quando nasci a quando crepi e non ce la faccio a staccare il cordone, non è facile, che fai? Come? Dipendi dal mondo.
Devi prendere un pullman e passare da una città all'altra? Dipendi dal mondo. Devi farti operare, o visitare, o superare un esame universitario? Dipendi dal mondo. Vuoi comprare la frutta, i preservativi, le sigarette o qualche cazzo di plastica da ficcarti nel culo? Dipendi dal mondo, e io non voglio più dipendere da nessuno, sono stanco».
Alice Suella
Giordano Lannaioli è nato a Roma nel 1978. Una cosa come un’altra è il suo romanzo d’esordio.