Il 22 aprile scorso Notizie Radicali ha pubblicato un intervento di Valter Bergamini e Walter Mendizza “Radicali: cessione gratuita di verità sul 25 aprile”. Un’utile provocazione, la loro: perché fa pensare, chiede una reazione.
Bergamini e Mendizza sono due compagni radicali che vivono in Friuli Venezia Giulia, e assieme ad altri compagni lodevolmente ogni anno vanno a rendere omaggio al cimitero degli anglo-americani di Tavagnacco, vicino Udine. È un “piccolo” segno di gratitudine e riconoscenza che tutti dovremmo avere verso quei giovani venuti da paesi lontani a combattere e morire per la nostra libertà.
Questo tipo di cerimonie, di gratitudini e di riconoscenze dovrebbero essere in tanti a coltivarle; è un qualcosa che non si vuole, non si deve e non si può dimenticare. Dove Bergamini e Mendizza decisamente esagerano è quando parlano della Resistenza o della Guerra civile che dir si voglia. Il Partito Radicale (e nel suo piccolo Notizie Radicali) è una prateria molto vasta, dove hanno diritto di cittadinanza le opinioni più varie. E nessuno vuole ignorare i tanti lati oscuri e bui di quegli anni. Si può ricordare la strage di Porzus, dove perse la vita, tra gli altri, il fratello di Pier Paolo Pasolini; si può ricordare la vicenda dei partigiani Gianna e Neri, con la torbida vicenda legata all’oro di Dongo; c’è stata una Resistenza che è stata raccontata da Beppe Fenoglio, quella di Uomini e no di Elio Vittorini, quella di Carlo Cassola e La ragazza di Bube; c’è l’omicidio di Giovanni Gentile a Firenze, ad opera di un commando partigiano e la sconcertante rivendicazione di quel delitto probabilmente di Concetto Marchesi (e gli inquietanti risvolti di quella vicenda sono stati esemplarmente raccontati da Luciano Canfora ne La Sentenza); non avevamo bisogno di Giorgio Pisanò “ieri” e di Giampaolo Pansa “oggi”, per sapere dei crimini consumati nel cosiddetto “triangolo rosso” e dintorni; bastava leggere Giovannino Guareschi o la Settimana Incom di Lamberto Sechi. Sempre a proposito di pagine oscure, è consigliabile (l’ha recensito a suo tempo su N.R. Francesco Pullia), il libro Il piombo e l’argento. La vera storia del partigiano Facio (Donzelli editore, pagg. 232, 24,50 euro) di Carlo Spartaco Capogreco.
Tutto questo e molto altro, che pure potrebbe essere detto e ricordato; furono tempi, come canta il poeta René Char, di «monti furenti e di fantastiche amicizie». Tutto ciò, però, non giustifica giudizi liquidatori e sbrigativi. Nel movimento partigiano ci furono certamente individui senza scrupoli; certamente in Friuli Venezia Giulia i partigiani “titini” si macchiarono di infamità; e figuriamoci se si nega che la guerra, come accade in ogni guerra, abbia fatto emergere, assieme al meglio, il peggio di tanti. Però ci furono anche splendide figure di partigiani comunisti, socialisti, azionisti. Negarlo è miope. Ne citiamo uno per tutti, caro, ne sono certo, anche a Bergamini e Mendizza: Loris Fortuna.
Nelle carceri di Gorizia c’è una lapide che lo ricorda. In quel carcere nella primavera-autunno 1944, il partigiano Fortuna venne tenuto prigioniero, condannato a morte e successivamente a tre anni di lavoro forzato e quindi tradotto in un campo di sterminio nel quale riuscì fortunosamente a sopravvivere. La sua compagna Gisella Pagano, alla morte di Loris ha trovato un suo “Diario”, un quaderno composto da fogli leggeri sui quali, dal 20 aprile 1944, giornata della sua traduzione a Gorizia, scrisse a matita le vicende degli interminabili giorni di prigionia.
«24 aprile 1944, lunedì, due compagni di cella se ne sono andati. Non so che cosa a loro sia successo. Vengono altri due slavi e un italiano. Per tutta la notte si sente urlare straziatamente nelle celle di rigore. Ora sono le due di notte. Io penso a Udine... Chissà cosa sarà di me!».
17 agosto, giovedì, Loris annota «Graziani, Pranz e Bruno saranno fucilati domani alle sei. Ottengono di passare la loro ultima mattina con noi... Poi, si sente una scarica».
11 settembre, lunedì, si svolge «il quarto processo della serie, il pubblico ministero chiede la PENA DI MORTE PER ME!».
«17 settembre, domenica, Bruno Bencini di Genova, viene condannato a morte. Passa tutta la notte con noi. Lo aiutiamo a scrivere le ultime lettere e la “volontà”. La mattina del 18, viene il frate... Alle sette sparano dal Castello di Gorizia. Alle sette e mezzo Ronioni dice di aver visto dalle sue sbarre il furgone del Municipio, con la bara!».
21 settembre, giovedì, «Sono partiti settanta detenuti per la Germania: 46 uomini e 24 donne».
25 settembre, lunedì, «Stasera sono arrivati in prigione alcuni avvocati, tra cui Blessi...».
2 ottobre, lunedì, «I giudici che ci avevano dato sei mesi sono stati destituiti dal Tribunale Tedesco: privati dello stipendio ed espulsi dal Litorale Adriatico, li hanno confinati a Salò».
19 ottobre, giovedì, «Ecco la sentenza! NON LA PENA DI MORTE, ma condannato per tre anni ai “lavori forzati”. Pippo invece a nove...».
Per quel che riguarda Salò e i repubblichini. Bergamini e Mendizza chiedono una legge «in cui si dica che coloro che aderirono alla RSI furono dei combattenti come chi militò dalla parte opposta». Al tempo. Vale quello che disse una volta Vittorio Foa: “È vero, abbiamo combattuto tutti e ci furono combattenti che lo fecero con onore da una parte e dall’altra. Ma la differenza è questa: abbiamo vinto noi, e voi siete qui. Se aveste vinto voi, noi qui non ci saremmo». Non si può e non si deve dimenticare neppure per un istante che c’erano militi repubblichini di Salò, a guardia dei vagoni piombati dove gli ebrei, gli zingari, i “diversi” venivano mandati nei lager a morire. Dovrebbe essere almeno compreso tra i libri di testo da leggere facoltativamente nelle scuole il libro di Susan Zuccotti L’Olocausto in Italia. Proprio dal libro della Zuccotti prendiamo la storia di Rita Rosani:
«Nata a Trieste nel 1920, insegnò nella scuola israelita della sua città fino al 1943. Quando i tedeschi occuparono l’Italia, trovò un nascondiglio per i genitori, due ebrei cecoslovacchi che si chiamavano Rosenthal e che vivevano in Italia da anni. Subito entrò nella resistenza armata, e partecipò a numerose azioni nella zona di Verona. Il 17 settembre 1944 due partigiani che erano stati catturati e torturati furono costretti a condurre un contingente di circa cinquecento soldati tedeschi e fascisti al loro nascondiglio. Il gruppo di Rita, formato da una quindicina di partigiani, venne attaccato e tentò di resistere. Durante la ritirata Rita fu ferita e cadde. Secondo il suo comandante, un fascista italiani la trovò e la finì con un colpo di pistola. Oggi una lapide nella sinagoga di Verona onora Rita Rosani; ce n’è un’altra nella scuola israelita di Trieste dove aveva insegnato. È l’unica partigiana in Italia di cui si sappia con certezza che cadde in combattimento. Fu insignita di medaglia d’oro alla memoria».
Poi, certo: dalla parte di Salò combatterono personaggi come Carlo Mazzantini, Dario Fo, Giorgio Albertazzi, Raimondo Vianello, Livio Zanetti… fecero scelte sbagliate per mille ragioni, che spesso nulla avevano a che fare con la causa che difesero. Enzo Biagi racconta in Disonora il padre che lui e un amico avevano deciso di raggiungere i partigiani in montagna, per non essere arruolati dai repubblichini; avevano già lasciato Bologna, quando l’amico ci ripensò, non se la sentiva di abbandonare i vecchi genitori in città. Tornò indietro. I repubblichini lo costrinsero ad arruolarsi, se voleva avere salva la vita. Uno, Biagi, si trovò con le bande partigiane azioniste; l’altro a combattere per Salò e Mussolini.
Il 25 aprile è bene che resti una festa, una data da celebrare. Non so quanti siano a conoscere il nome del barbiere di Roncabello, che nonostante le torture, non tradì le famiglie ebree nascoste nel suo paese. Tra i molti viali, le tante strade, piazze e scuole che sono intitolate a martiri ed eroi della Resistenza, ce ne sono pochissimi che ricordano l’esistenza di infami leggi razziali, che se fossero state applicate integralmente sarebbero state perfino più dure di quelle naziste. Vi furono persone coraggiose che seppero dire di NO a quelle leggi; ma ci fu anche tanto silenzio, tanta omertà, complicità. Nel nostro paese, che non ha mai avuto una vera tradizione di antisemitismo, fu possibile che oltre 6800 venissero rastrellate prima, deportate poi, per essere condotte nelle camere a gas. Certo, ci fu una straordinaria gara di solidarietà per aiutare profughi e perseguitati, chi sopravvisse lo deve anche a questo, per limitarci agli ebrei, in 38.400 si salvarono. Ma le squadre di “esperti” cacciatori di ebrei inviate in Italia da Adolf Eichmann furono affiancate da migliaia di fascisti italiani: lo fecero per carrierismo, per denaro, per convinzione, per qualsivoglia motivo, ma lo fecero. E’ una memoria che non va smarrita, è un qualcosa su cui non bisogna smettere di imparare, riflettere, cercando di comprendere l’inconcepibile.
Buon 25 aprile.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 24 aprile 2008)