Una delle cose che maggiormente sorprendono, in questi giorni, è la grande sorpresa che tanti mostrano di avere di fronte al successo elettorale della Lega di Umberto Bossi, anche in aree del paese fino a ieri considerate immuni dal “morbo” federalista; e, in via subordinata, per il tracollo della sinistra estrema: quell’eterogeneo cartello elettorale che ha visto uniti Rifondazione comunista, comunisti italiani e verdi che si era presentato alle elezioni con il simbolo dell’Arcobaleno. In realtà, i “sorpresi” avrebbero dovuto per tempo spiegarci, interpretare, aiutare a capire. Evidentemente i “sensori” per captare gli umori del paese sono tutti saltati e ognuno va là dove lo porta il cuore. È significativo che sia un osservatore americano, il politologo Edward Luttwak, analista del Centro Internazionale per gli Studi Strategici, a mettere il dito sulla piaga: «Può essere sorpreso solo chi non aveva letto attentamente il livello di scontento che si era accumulato in Italia contro la sinistra. Intere aree, come la Campania di Iervolino e Bassolino erano in rivolta perché gli amministratori della sinistra avevano lasciato sopravvivere interessi clientelari sotto la loro gestione. A livello nazionale il problema era aggravato dal sostanziale stallo del governo Prodi, bloccato dai numeri e dalla mancanza di intese».
L’analisi di Luttwak risponde anche alla domanda: a cosa si deve il crollo rovinoso della sinistra “arcobaleno”? La spiegazione, anche in questo caso, era sotto gli occhi di tutti, invisibile solo a chi ha deciso di tenerli chiusi. Ma, per dire, c’è ancora qualcuno che si ricorda i libri che scrisse ormai molti anni da Daniele Vimercati, il primo giornalista che – certo, anche per sua intima simpatia – seguì con attenzione il fenomeno Bossi? Rileggerli può esser utile, e qualche risposta alle domande d’oggi la si può trovare.
Spesso – lo dicono in molti – il successo della Lega e il crollo della sinistra estrema si intreccia. Non è un travaso meccanico; però non c’è dubbio che la Lega ha saputo intercettare molto del malcontento e dell’insoddisfazione che prima aveva trovato una sponda nei partiti di Fausto Bertinotti, Oliviero Diliberto e Alfonso Pecoraro Scanio. Una quota poi di sinistra che aveva dato il suo consenso alla sinistra a sinistra dei DS, questa volta ha optato per “il voto utile”, e dirottato il suo consenso sul Partito Democratico; una “cannibalizzazione” aspramente contestata, col senno del dopo, da Bertinotti, Diliberto e Pecoraro Scanio; ma da quando si rimprovera a un contendente di provare di catturare consensi? Loro, senza riuscirci, non hanno tentato di fare altrettanto? No, non è davvero questo un modo serio di ragionare.
Può “semplicemente” essere che una consistente, determinante “fetta” di opinione pubblica si è semplicemente stancata del “partito del NO”? Il “partito” del NO alla riduzione delle imposte sul reddito di impresa, che nei paesi confinanti al nostro sono sensibilmente più basse o inesistenti; il “partito” del NO alle infrastrutture necessarie e urgenti, per mantenere competitività: in Spagna la linea ferroviaria ad alta velocità Madrid-Barcellona è in fase di completamento, la rete autostradale, pur servendo un minor numero di abitanti ha un chilometraggio che supera il nostro; in Slovenia il sistema autostradale permette già il collegamento con Italia e Austria, e tra breve sarà pronto l’allacciamento con Ungheria e Croazia. Stupirsi dunque se la Spagna ci sopravanza nelle classifiche di tutti gli osservatori europei e mondiali? Stupirsi se tanti imprenditori preferiscono trasferire armi e bagagli la loro attività nei paesi confinanti? Non si sta parlando di Stati Uniti o di Nuova Zelanda, o Irlanda. Si sta parlando di paesi che, per arrivarci praticamente basta uscire di casa e attraversare la strada. Nel 2007 la Slovenia è entrata nell’area Schengen: lì il costo del lavoro è di un terzo inferiore a quello italiano, il reddito di impresa è tassato al 22 per cento, ed entro il 20 per cento; in più godrà dei fondi strutturali UE. Cosa dovrebbe fare un imprenditore settentrionale?
Sentito mai parlare di Lione e di Sophia Antipolis in Francia? Vengono offerti supporti nella ricerca scientifica e tecnologica, rapidità di risposta nei permessi e nelle autorizzazioni, incentivi per l’acquisto di aree destinate alla costruzione di capannoni e impianti, risorse umane altamente qualificate. Secondo i dati contenuti nel sito Lyon-business.org, oggi a Lione operano 50mila imprese, 150 delle quali sono leader mondiali nel loro settore; quella regione si colloca tra le prime dieci in Europa per quel che riguarda la creazione di ricchezza. Fino a poco tempo fa, Sophia Antipolis era una sconosciuta cittadina tra Nizza e Cannes; ora è sede di alcune tra le più importanti aziende specializzate in elettronica, informatica, telecomunicazioni, biotecnologie, ricerca farmaceutica. Provate a immaginare che cosa sarebbe potuto accadere se avessero dovuto fare i conti con un equivalente francese di Bertinotti, Diliberto, Pecoraro Scanio...
Non parliamo poi dell’emergenza rifiuti: ci sommergono un po’ ovunque: non come a Napoli, ma insomma, sono un grosso problema. Però, tetragoni, dicono NO ai termovalorizzatori, NO a nuove discariche, NO a tutto. SÌ solo a comportamenti illegali, come occupazioni di linee ferroviarie e autostrade... Andiamo avanti? Si prenda il caso Alitalia. Non ci si vuole impantanare nella discussione se sia opportuno o meno vendere l’azienda al colosso Air France o privilegiare un’altra cordata. Il problema è come si è arrivati a questa situazione: monopolio, e poi divieto di licenziamento perché l’articolo 18 non si tocca, diritto di sciopero esercitato in maniera selvaggia. Così Alitalia è precipitata in un “triangolo maledetto”, dove i profitti si riducono e i costi aumentano in maniera esponenziale e all’infinito. Il risultato è quello che vediamo: un’azienda al collasso, tecnicamente fallita; e al contribuente costa un milione di euro al giorno. Lasciamo perdere le “cordate” e quella parola d’ordine berlusconiana: “Amo l’Italia, volo Alitalia”. Qualcuno provi a spiegare perché, per amare l’Italia devo volare su una compagnia che fa pagare un Roma-Venezia più caro di Roma-Venezia-Roma in un’altra compagnia; e a pari trattamento.
Grazie al NO del “partito del NO” in Italia ci sono 28 chilometri di ferrovie ogni 100mila abitanti, mentre la Germania ne ha 43,4, la Francia 51,1 e l’Austria 70. Il 61,7 per cento della nostra rete ferroviaria è a binario unico (9935 chilometri), il restante 38,3 per cento (6173) a doppio binario. Il 33,6 per cento (ben 5420 chilometri) non è ancora elettrificato. A parte la nuova linea ad alta velocità che per il momento riguarda solo Torino e Novara, e tratti della Bologna-Milano e della Napoli-Roma-Firenze, possiamo contare su un sistema ferroviario uguale a quello di un secolo fa. Nel 1981 l’Italia aveva 150 chilometri di ferrovia ad alta velocità; nel 2006 è arrivata a 562. La Francia ne aveva 301 e oggi ne ha 1.573. La Germania e la Spagna sono partite da zero, ora ne hanno 1.291 e 1.225 e stanno costruendo nuove tratte.
Sono cifre che si commentano da sole. Un malinteso senso della difesa dell’ambiente, un ancor più miope difesa di interessi corporativi di cui il partito del NO sempre e comunque è stato alfiere e paladino, ha creato una situazione intollerabile; e che alla fine non è stata tollerata. Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e Verdi siano stati sonoramente puniti dall’elettore.
A Chianciano forse di questo non si riuscirà a parlare. Altro che due giorni occorrerebbero. Ma sono temi, questioni, problemi che non si possono eludere. Se qualcuno vuole capire le ragioni del successo della Lega, e della sconfitta della sinistra comunista e verde, qualche risposta deve cominciare a cercarla anche indagando da queste parti...
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 18 aprile 2008)