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Piero Cappelli: Sulle elezioni, sulla sinistra da ripensare
17 Aprile 2008
 

La Sinistra istituzionale italiana ha fallito e ha perso. Tutta. Da quella fuori dal Pd a quella dentro. È finita. E deve ripensarsi. Ma i ‘democristiani’ sopravvivono e restano in più schieramenti, di cui l’Udc ne è la manifestazione più conservatrice dei ‘cattolici’ targati in politica e sui quali il card. Ruini ha riposto le sue speranze e oggi Veltroni dice di voler allacciare con Casini una nuova collaborazione. Non più appropriato in questo momento e in questa situazione del famoso detto andreottiano: “il potere logora chi non ce l’ha”. Veltroni, con solo 180.000 voti in più rispetto a quelli di Prodi di due anni fa, ha distrutto svuotando si senso e di significato la Sinistra e non ha conquistato il Centro. E come dice Beppe Grillo, che ha pure lui una grave responsabilità in merito, ha “fatto risuscitare Berlusconi”.

Però, dopo il flop del governo Prodi e senza la nascita del Pd ci sarebbe stato certamente un fine molto peggiore del 33% per il centro-sinistra che non ha raggiunto quel 35% soglia minima posta da Veltroni come ‘consolazione’. Se, patrimonio dei fessi, Veltroni avesse avuto modo di gestire il suo nuovo ruolo di segretario Pd con Prodi e il suo governo, forse non saremmo andati così presto alle elezioni cumulando quindi più tempo per rafforzare il nuovo Pd e logorare la sempre impellente spallata berlusconiana. Pensando comunque che Prodi ha battuto due volte il Berlusca senza però mai riuscire a portare a termine la legislatura per la litigiosità interna della coalizione, mentre Occhetto, Rutelli e Veltroni no. E ora si sa che Romano, prima di Pasqua, aveva già rassegnato le sue dimissioni da Presidente del Pd certamente amareggiato dal trattamento veltroniano sul suo esecutivo rifiutandolo come colpevole e altro da lui.

Intanto Roma va al ballottaggio e Rutelli fa rischiare addirittura al Pd di perdere anche la Capitale e ciò sarebbe la ciliegina sulla torta di questa débâcle veltroniana. Non solo, ma anche Di Pietro – e ciò sarebbe molto interessante – non andrebbe a fare gruppo unico parlamentare nel Pd, ma rimarrebbe autonomo, contrariamente a quanto annunciato. Nello stesso momento ha bruciato sulla scena siciliana, sapendone già l’insuccesso seppur oggi con un insuccesso così negativo come quello del 30%, della migliore espressione femminile della politica italiana, la Anna Finocchiaro. Lì ‘vicino’, invece, e precisamente in Campania e a Napoli in particolare, per la questione rifiuti, Veltroni non ha avuto né coraggio, né volontà di chiedere a gran voce e in modo determinato la cacciata di Bassolino e della Jervolino: infatti ha perso alla grande anche la Campania. 

Ma tra le tante voci di questo dopo-elezioni ce ne sono alcune che ‘puzzano’ per il loro silenzio, almeno nei primi momenti dei risultati. E una di queste voci è quella dei dalemiani, i veri ‘controllori maggioritari’ di Walter e del Pd attraverso i segretari e le assemblee regionali e la nazionale. Questo silenzio del ‘marxista-leninista pratico’ come Cossiga chiama D’Alema, la dice lunga e può essere inquietante per il Pd. Fatto sta che fuori dalle classiche 4 regioni rosse, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche con l’aggiunta extra della Basilicata, la Sinistra non riesce a vincere e a mantenere quelle regioni che invece aveva conquistato in passato come Puglia, Calabria, Liguria, Campania, Friuli Venezia Giulia e Sardegna. Se poi si va a vedere bene si nota come la Lega sia entrata nel ‘salotto buono’, la sancta sanctorum della Sinistra italiana. Lo rivela la percentuale in Emilia con il 7 e l’elezione per la prima volta di due deputato in Toscana e nelle Marche: un segnale che fa pensare a quale futuro potranno avere le ‘regioni rosse’ nel giro di altre poche altre legislature.

Il programma elettorale veltroniano all’insegna di mancate risposte (come da noi denunciate con la ns. Lettera aperta) sui problemi cruciali con soluzioni concrete e chiare e con la volontà di portare in lista ‘falsi specchietti per le allodole’ generali, prefetti, industriali, il tutto condito in ‘salsa ambigua’, è la ragione del fallimento. Senza contare che il signor Veltroni aveva anche promesso la presentazione della squadra di governo prima del voto ma non è mai arrivata, lo stesso per Berlusconi: la differenza è che Veltroni ha perso e il Berlusca ha stravinto con 9 punti in % in entrambe le Camere grazie a tre milioni di voti in più. Ma se la perdita è di pura marca veltroniana, ciò è dovuta anche grazie a tutti quei collaboratori del Walter che lo hanno lasciato percorrere strade ambigue e non chiare, adeguandosi al suo sistema. Senza contare tutto l’entourage intellettualoide e giornalistico che ha girato a favore del Walter e che non è poco. Le componenti del Pd debbono ripensare l’essere partito proprio per dare spazio a metodi di dialogo e pluralismo interno più evoluti e rispettosi, come pure trovare sistemi di selezione della classe dirigente e delle candidature del partito, non in virtù dell’appoggio delle varie consorterie (diessine o popolari), ma per una meritocrazia necessarissima basata su qualità umane e politiche verificabili non per cordate e gruppi di potere, ma per manifestazioni di chiara, severa trasparenza e verificabilità sul campo della vita e non delle ‘scuole’ di partito.

Intanto però sono scomparsi i socialisti e i comunisti. Per chi c’era dentro non abbiamo perso proprio niente, anzi bene: guardateli in faccia questi ex-parlamentari da Bertinotti, a Mussi a Salvi, a De Michelis a Boselli a Giordano a Pecorario Scanio e così via. Sono inaciditi, stizziti e incavolati con il mondo. Ma se la debbono prendere con se stessi che ancora non hanno capito non solo dove sta andando il nostro Paese, ma neppure di cosa sia la crisi internazionale del Socialismo e della fine del Comunismo. Però alcuni di loro sono ancora ancorati alle falci e martello oltre ad una politica riformista fuori tempo e fuori luogo in un società capitalistica che invece richiederebbe nuove prospettive anche tenendo conto di un contesto mondiale molto complesso e problematicizzato.

E se con queste elezioni – grazie alla nascita solo sei mesi fa del Pd e grazie anche a Berlusconi per la nascita del Pdl (con la fagocitazione di AN), quattro mesi fa, – si è raggiunto uno sfoltimento dello zoo partitico andando verso il bipartitismo (Terza Repubblica), con il prossimo traguardo dovranno essere le Grandi Riforme da quelle costituzionali alle parlamentari a quelle elettorali (Quarta Repubblica).

Questa legislatura dà a Berlusconi e al Centro-destra l’opportunità di dimostrare se in queste tre legislature (dal 1994), abbiano maturato una nuova cultura di governo e di soluzione dei problemi italiani all’altezza delle sfide nazionali e della globalizzazione. Berlusconi cercherà di muoversi bene, da statista maturo come ha voluto dimostrare alla sua prima conferenza stampa, perché ha nel cassetto un ultimo sogno da raggiungere: ‘da grande’ vorrà abitare il palazzo del Quirinale e concludere così al top il suo percorso politico. 

 

Piero Cappelli

cappellipiero@virgilio.it


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