Il castello è lì immobile e con le tegole a terra, i muri scostati e i mattoni staccati osserva imperturbabile, da circa 700 anni, la campagna circostante. Gli oggetti delle sue osservazioni non sono soltanto campi e fontanili, ma anche le opere dell’uomo, in particolare le nuove abitazioni, i quartieri residenziali che sono nati nelle sue vicinanze. Tutto nuovo, bello, pulito, in ordine. Tutto tranne lui, il castello-totem, come lo definisce il sindaco, e il totem con i muri pericolanti lo si scorge da ogni parte alto com’è con la sua svettante torretta musa ispiratrice del Filarete per ideare quella del castello di Milano. Non solo lo si scorge in lontananza, ma lo si vede sullo stemma del comune, sulle brochure dei ristoranti, sui dépliants delle manifestazioni del paese. Insomma è proprio dappertutto. Volete comprare casa all’ombra delle sue vecchie mura? Eccovi allora allettanti nomi che evocano un passato glorioso utilizzato per vendere villette e condomini di pregio «immersi nel verde a soli 6 Km dalla città»: “Giardini Viscontei”, “Milano Visconti”, “Le Residenze Viscontee”. Bello vero? Ci si sente improvvisamente aristocratici e colpiti da improvviso benessere. Ma sì in effetti Cusago è il secondo paese italiano più ricco per reddito pro capite, dista dal capoluogo lombardo veramente 6 chilometri ed è realmente immerso nel verde: ci troviamo nel Parco Agricolo Sud, un Parco voluto dalla Provincia negli anni ’80 che circonda tutto l’hinterland a sud-ovest di Milano e che l’Assessora all’Ambiente e Presidente del Parco, Bruna Brembilla, sta fortemente rilanciando. Ora concentriamoci sulla storia del totem o aspirante rudere, monumento nazionale dal 1912.
Il maniero fu fatto edificare da Bernabò Visconti nel 1370. Non è mai stato un castello difensivo e la sua architettura lo dimostra: a pianta rettangolare possiede ampi finestroni a sesto acuto con davanzali in cotto e un loggiato in angolo, purtroppo murato; l’edificio è a due piani disposti attorno ad una grande corte rettangolare con un portico di foggia bramantesca, sorretto da capitelli stemmati; al centro della facciata sorge la torre sovrastata da un campanile del seicento posto successivamente.
Una bella architettura imponente che si trova in piazza Soncino davanti alla chiesa dei ss. Fermo e Rustico e che connota tutto il paesaggio circostante. Ne è rimasto affascinato perfino Sgarbi che da turista in incognito ha definito la Piazza Soncino l’unica piazza italiana con affaccio sui campi. E difatti il paesaggio che circonda il castello, nonostante i condomini di lusso e i quartieri residenziali è abbastanza bucolico. Ai tempi dei Visconti e degli Sforza c’era perfino un vasto bosco, “bosco di Cusago”, appunto, dove i duchi facevano scorribande venatorie con i falchi a dorso dei loro destrieri. Cusago come luogo di delizie: caccia, pesca per il gran numero di rogge e fontanili, feste, sollazzi, ricevimenti in onore di imperatori e regine. Unico Grande Assente il Leonardo che si sarebbe veramente divertito a sperimentare e a inventare nella quiete della campagna lombarda resa fresca dall’abbondanza di acqua, elemento che tanto lo affascinava. Insomma, Leonardo o non Leonardo, questi duchi non erano affatto stupidi ad aver scelto per le loro vacanze un luogo così incantevole. E poi se pensate che Cusago era veramente vicinissimo a Milano, ma anche ad Abbiategrasso e a Vigevano, altre sedi ducali, capirete la sua importanza. Non solo feste&caccia, ma dal castello Ludovico il Moro, grande amante di Cusago oltre che di belle donne, amministrava il ducato, faceva coltivare i bachi da seta e dal bosco otteneva legna preziosa quanto la nostra benzina. E infatti Cusago era circondata dallo steccatum, delle mura che dovevano preservare le sue ricchezze e difendere la privacy dei Duchi e della corte.
Il 28 gennaio 1494 Ludovico regalò il castello all’amata Beatrice d’Este e dei soggiorni della diletta consorte c’è un divertentissimo carteggio in cui si racconta il viaggio da Milano a Cusago in compagnia del buffone di corte Dioda conteso dalle corti di Ferrara, Mantova e Milano e delle vacanze di tutta la corte.
Ma com’era il castello all’epoca del Moro alla fine del 1400? Uno spettacolo. Sì, doveva essere proprio uno spettacolino il bel maniero. Innanzitutto si restava abbagliati dal suo portale di candido avorio attorno al quale si trovavano le formelle recanti le teste degli imperatori romani. Sopra l’arco del portale era raffigurata la biscia simbolo della famiglia ducale e sopra di essa un affresco con le imprese del Moro. Sulla torre, che ora reca un abbozzo di meridiana, si trovava un orologio. L’atrio era decorato con motivi classici e cristiani e andando verso il portico si trovavano i ritratti degli Sforza. Tra un arco e l’altro del porticato c’erano delle targhe marmoree con le teste dei cavalli e le pareti del porticato erano affrescate con le imprese di Giulio Cesare e Alessandro Magno. Il loggiato a 13 colonne dal quale Beatrice probabilmente spettegolava con le sue damigelle, era affrescato con i volti dei duchi lombardi. Il piano nobile era esposto a ovest, dava sul bosco e si affacciava sul “Naviglietto”. Esso era un canale fatto scavare da Filippo Maria Visconti che, diventato troppo grasso per cavalcare, lo utilizzava per spostarsi da una corte ducale all’altra. All’interno altri affreschi, pregevoli soffitti a cassettoni intarsiati e tanti, tanti camini.
Un luogo di delizie vero e proprio e sembra quasi di sentire il cicaleccio allegro delle dame proveniente dalle grandi finestre mischiato alle grida dei battitori, al calpestio degli zoccoli dei cavalli pronti per uscire nel bosco. E pensare alla notte, a quando, come un faro illuminato, il castello si stagliava nel buio silenzioso della campagna attorno alla quale volavano rapaci notturni… o all’inverno quando la neve lo ammantava candidamente e rendeva ancora più ovattata la quiete del luogo. Un posto particolare e affascinante, ma del resto lo sono tutti i castelli, solo che per molti di loro il destino è stato più favorevole. Per il castello cusaghese con l’estinzione del casato Sforza iniziò una caduta libera che mai avremmo voluto vedere. Specie nella ricca pianura lombarda, a soli 6 chilometri da Milano e dalla metropolitana, immersi nel silenzio e nel verde …immersi nella vergogna per aver dimenticato un monumento così storico, così importante.
Simona Borgatti
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